Scienza e capitale: rischi e ricadute sul mondo del lavoro delle nanotecnologie

Paulo Roberto Martins e Ruy Braga

1. Tecnologia spettacolo

Nel marzo del 2006, un prodotto per le pulizie che prometteva di proteggere i bagni dalla proliferazione batterica per ben sei mesi fu messo in vendita in Germania. Battezzato Magic Nano, il prodotto ha ottenuto un immediato successo. Nonostante ciò appena tre giorni dopo la sua messa in commercio, dovette essere ritirato a causa dei numerosissimi reclami. In molti affermavano che Magic Nano causava problemi respiratori obbligando alcuni consumatori addirittura al ricovero in ospedale (The Economist, 2006). E’ stato attraverso questo spiacevole episodio che la nanotecnologia si è presentata al grande pubblico tedesco: una forte aspettativa alla quale ha fatto seguito una non meno grande apprensione. Naturalmente, sono stati in molto coloro che hanno associato il problema specifico del Magic Nano ai rischi inerenti la nanotecnologia. Ciò nonostante, si tratta di fornire ai lettori un punto di vista problematico, perchè in questo caso la caratterizzazione di questa nuova tecnologia è avvenuta in modo spettacolare e superficiale, mediata in gran parte da strategie di tipo pubblicitario e non dal dibattito pubblico. In fin dei conti, quando parliamo di nanotecnologia a cosa ci riferiamo?

2.Nano... che?

La nanotecnologia può essere spiegata in due modi. In primo luogo, riferendosi al prefisso nano: un indicatore di misura. Un nanometro corrisponde alla miliardesima parte di un metro. Conseguentemente, la nanotecnologia si riferisce alla scala e non necessariamente a oggetti o contenuti, come per esempio invece la biotecnologia, il cui prefisso “bios” significa vita. In secondo luogo, la nanotecnologia corrisponde a una serie di tecniche utilizzate per manipolare la materia sulla scala degli atomi e delle molecole la cui osservazione richiede microscopi speciali. Per alcuni, l’anno di riferimento per la nascita della nanotecnologia è il 1959, anno in cui il fisico Richard Feynman disse alla Riunione Annuale della American Physical Society “Ci sono più spazi là sotto”.1 Il più notevole fisico statunitense di tutta la storia annunciava la possibilità di condensare, nella testa di uno spillo, le pagine di 24 volumi dell’Enciclopedia Britannica per in questo modo affermare che molte scoperte sarebbero state possibili per quanto riguardava la fabbricazione di materiali su scala atomica o molecolare (2002). Ancora sul terreno delle definizioni generali è importante saper differenziare la nanotecnologia dalla cosiddetta nanoscienza. Questa può esser definita come lo studio dei principi fondamentali delle molecole e delle strutture con una dimensione tra 1 e 100 nm (nanometri). La nanotecnologia corrisponde quindi all’organizzazione di queste molecole e nanostrutture in dispositivi nanometrici. I materiali nanostrutturati possono essere classificati in quattro classi principali: A) I materiali a base di carbone: con forme sferiche, elipsoidali o tubolari. I fullereni sferici sono anche detti buckyballs, sia che si tratti di cilindri-tubolari che di nanotubi. Le loro proprietà fondamentali sono il peso ridotto e la loro maggiore durata, elasticità e conducibilità elettrica, tra le altre. B) I materiali a base metallica: possono essere quantum dots (punti quantici o transistors di un solo elettrone) o nanoparticelle di oro, argento o metalli reattivi come il diossido di titanio. C) I dendrimeri: sono polimeri nanometrici costruiti da una struttura ad albero nella quale le ramificazioni si sviluppano l’una dall’altra. Le terminazioni di ogni catena di ramificazioni sono disegnata per eseguire funzioni chimiche specifiche; una proprietà utile per i processi di catalizzazione. Oltre a ciò, dato che vi sono cavità interne, esiste anche un loro uso all’interno del “traffico di droga” (così come succede con alcune strutture di carbone e strutture metalliche). D) I composti: combinano certe nanoparticelle con altre di materiali di maggiore dimensione. Il caso delle argille nanostrutturate è un esempio del loro uso per la fabbricazione di diversi prodotti. Le microparticelle, anche se sono di uno stesso elemento chimico, usualmente si comportano in maniera distinta rispetto alle particelle più grandi, sia in termini di proprietà termodinamiche, sia in termini di conduttibilità elettrica e altre caratteristiche. L’argento, ad esempio, inerte su scala macro diventa invece instabile ed esplosivo su scala atomica. La dimensione della particella in questo senso è molto importante, perchè può trasformare la caratteristica delle interazioni delle forze tra le molecole, alterando così la relazione dei processi o dei prodotti manipolati su questa scala con l’ambiente e la salute dei lavoratori (Grupo ETC, 2005b). Come è facile immaginare, esistono molti interessi dietro le nanotecnologie. Più di 1.200 gruppi corporativi nel mondo si dedicano a sviluppare applicazioni delle nanotecnologie. Ci sono da vecchie conoscenze come 3M, Du Pont, General Electric, Johnson & Johnson, HP, IBM e Intel, fino a competitori super specializzati come NanoInk, Veeco, FEI, Arryx, Luxtera e Nanosys. Gli investimenti realizzati nelle nanotecnologie dai paesi sviluppati e delle 500 maggiori imprese esistenti sul pianeta sono enormi. Secondo la Commissione Europea, nel solo 2004, il totale degli investimenti finanziari globali è stata dell’ordine degli otto miliardi di euro, metà dei quali provenienti dalle grandi corporation.

È importante sottolineare che in termini di investimenti pubblici, l’Europa (35%) e gli Stati Uniti (32%) sono simili. Invece dal punto di vista degli investimenti privati essi sono molto distanti, perchè il settore privato statunitense è responsabile del 40% di questi investimenti, mentre l’Europa arriva appena al 14% dei capitali privati investiti nel 2004. Dal punto di vista della struttura del finanziamento alla ricerca, il Giappone è più vicino agli Stati Uniti che all’Europa, perchè l’iniziativa privata giapponese investe più risorse in nanotecnologia (37% del totale investito) del settore pubblico dello stesso paese (19% del totale investito). Un altro aspetto interessante che riguarda il processo di sviluppo delle nanotecnologie a livello mondiale è che solo tre paesi o blocchi regionali (Stati Uniti, Unione Europea e Giappone) sono responsabili del 91% dei capitali privati e dell’86% dei capitali pubblici investiti. Questo tipo di concentrazione degli investimenti produrrà certamente vari effetti di carattere economico sia nei paesi che guidano il processo sia in quelli che partecipano in forma periferica alla ricerca (Grupo ETC, 2005a). Questo è il caso del Brasile. Non è possibile comparare gli investimenti fatti dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Giappone con le risorse stanziate in Brasile.

3. La nanotecnologia nella semiperiferia capitalista

Secondo il Coordinamento Generale di Micro e Nanotecnologia del Ministero della Scienza e Tecnologia (MCT), le iniziative del governo brasiliano orientate allo sviluppo delle nanotecnologie sono iniziate nel 2001, quando furono create quattro reti di ricerca. Tra il 2002 e il 2005, le reti di ricerca hanno coinvolto circa 300 ricercatori, 77 enti, 13 imprese, con la pubblicazione di più di 2000 articoli scientifici e il deposito di più di 90 brevetti. In questo periodo le reti esistenti hanno ricevuto quasi 3 milioni di reais (MCT, 2007). In maniera disaggregata la tabella in basso indica i risultati di ognuna delle reti: Nonostante la scarsità, le risorse brasiliane investite in ricerca nanotecnologica tendono ad aumentare, coinvolgendo sempre di più le principali istituzioni scientifiche del paese. Due di esse si sono distinte nel processo di ricerca nanotecnologica: il Laboratorio Nazionale di Luce Sincrotrone (LNLS) e l’Impresa Brasiliana di Ricerca Agraria (Embrapa). Il LNLS è un laboratorio finanziato con risorse del MCT e la cui infrastruttura include le linee di luce con stazioni sperimentali istallate nelle fonti di luce sincrotrone, microscopi elettronici ad alta risoluzione e spettrometri a risonanza magnética nucleare. Le sue istallazioni ospitano importanti esperienze micro e nanotecnologiche.2 L’Embrapa, invece, si caratterizza per il fatto di promuovere ricerche nanotecnologiche in uno dei più interessanti settori economici brasiliani: l’agrobusiness (che incide per il 30% del PIL del paese). Il crescente investimento in ricerca nanotecnologica della impresa ha garantito la produzione di diversi brevetti, specialmente nell’area dei nanosensori, e con la creazione del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologia per l’Agrobusiness (LNNA) - installato a San Paolo. Un’altra importantissima impresa brasiliana che investe in nanotecnologia è la Petrobrás (Martins, 2005 e 2006). 4. Il post-umano nelle promesse della nanotecnologia

Le possibili applicazioni delle nanotecnologie sono innumerevoli: medicina e salute, tecnologia dell’informazione, produzione e immagazzinamento dell’energia, scienza dei materiali, alimentazione, acqua e ambiente, strumenti, farmaci, combustibile a idrogeno, esplorazione dello spazio... Sarà difficile trovare un settore economico che, nel prossimo futuro, rimanga ai margini delle scoperte della nanotecnologia.3 Come frequentemente succede con le rivoluzioni tecnologiche, anche la nanotecnologia sorge accompagnata da molte speranze (Foladori e Invernizzi, 2006). Dalla cura delle malattie al disinquinamento dei mari, dalla fine della povertà al rinnovamento delle fonti energetiche del pianeta... Una parte della comunità scientifica crede che il processo di convergenza delle cosiddette tecnologie BANG (Bites, Atomic, Neuro e Genetic) nasconde una chiave per, addirittura, la vita eterna. O, come afferma una espressione affermatasi nella letteratura, la chiave per raggiungere una condizione post-umana (Lecourt, 2003). Da un lato, le nanotecnologie contengono la affascinante promessa di minuscoli robots replicanti, o nanorobots, che potrebbero navigare velocemente nei vasi sanguigni come se fossero dei meccanici della salute per eliminare e distruggere, ad esempio, coaguli di sangue e cellule cancerose, prolungando indeterminatamente la vita umana. E, dall’altro, la nanotecnologia potrebbe offrire la base per lo sviluppo di una ingegneria di calcolo atomica che utilizzi molecole isolate per far funzionare i circuiti informatici, aumentando così indefinitamente le possibilità dei computers e permettendo di trasferire lo spirito umano in un supporto inorganico formato da nanocircuiti. L’idea, non più di assistenza dell’intelletto da parte di un computer, ma di trasferimento dell’intelletto attraverso di esso, è giunta a maturazione con Hans Moravec, che ha sviluppato robots per la NASA. In diverse opere, lo scienziato tracciò la possibilità di “trapiantare” lo spirito umano legando fasce neurali del cervello ai cavi di un computer che permetterebbe allo spirito umano, di essere “scevro dalle limitazioni di un corpo mortale”, ossia, stoccato in un computer, riprodotto in un numero illimitato di esemplari, e “resuscitato” a volontà. Come ben ci ricorda il sociologo francese André Gorz nel suo ultimo testo, intitolato L’immateriale: La convinzione nella possibilità di trasferire lo spirito umano attraverso un supporto inorganico di microcircuiti si è sviluppata, di fatto, come un sottoprodotto della ricerca militare. (...). L’idea, non più di assistenza dell’intelletto da parte di un calcolatore, ma di trasferimento dell’intelletto attraverso di esso, è giunta a maturazione con Hans Moravec, che ha sviluppato robots per la NASA. In Mind Children, e poi in Robot: Mere Machine to Transcendent Mind, egli illustra la possibilità di “trapiantare” lo spirito legando fasce neurali del cervello ai cavi di un calcolatore che permetterebbe, scrive, “allo spirito di sottrarsi alle limitazioni di un corpo mortale”, ossia di essere stoccato in un computer, copiato in un numero illimitato di esemplari, e resuscitato a volontà. (...) Presentati da membri delle università di elite, leader incontestati delle loro discipline, i progetti che legavano l’intelligenza artificiale e la vita artificiale, l’ingegneria genetica e le nanotecnologie furono presentati come l’ultimo stadio del progetto fondamentale della scienza: emancipare lo spirito della natura e della condizione umana (2005, p. 91, 94). In un certo senso, il progetto post umano cerca di emancipare lo “spirito” dalla condizione umana per mezzo della creazione di una supercivilizzazione robotica capace di superare l’umanità e modellare l’universo a immagine e somiglianza del capitale. Naturalmente, si tratta di un progetto - almeno per ora - irreale, polemico e che incontra oggi innumerevoli limiti politici, culturali e tecnologici.4 Ciò nonostante, la semplice esistenza idealizzata di un tale progetto post umano indica già la magnitudine delle speranze prodotte dalla nanotecnologia. In parte, sono le stesse promesse e prospettive che rendono più difficile il riconoscimento dell’esistenza dei rischi socio-ambientali associati alla produzione industriale di nanostrutture e nanoparticelle.

5. Mondializzazione finanziaria: dilemmi e rischi della nanotecnologia

Da un lato, ad esempio, esiste una forte fiducia nel mezzo scientifico secondo la quale la nanotecnologia non è pericolosa perché l’umanità già convive da secoli con le nanostrutture e le nanoparticelle normalmente prodotte che non hanno mai causato problemi. Al forgiare e temperare spade samurai e saracene, gli artigiani armieri giapponesi e arabi producevano inavvertitamente nanotubi di carbonio responsabili dell’eccezionale qualità delle armi e la formazione di ioni - atomi che per un qualsiasi motivo perdevano o acquisivano elettroni - succede naturalmente nell’atmosfera per mezzo di collisioni e movimenti di atomi. Questa convinzione, però, oscura il fatto che la produzione di nanoparticelle o materiali nanostrutturati su scala industriale porta con sé sdoppiamenti imprevedibili quando comparati a quelli conosciuti nel ciclo naturale o nella produzione tradizionale. E ciò senza menzionare l’obiettivo ampiamente dichiarato da determinate istituzioni di ricerca vincolate ai grandi gruppi corporativi multinazionali di fabbricare macchine replicabili di dimensione atomica. Si tratta di una questione di scala: una certa quantità di acqua è assolutamente indispensabile per la conservazione della vita ma acqua in eccesso può affogare e uccidere qualcuno. Dall’altro lato, da quando il processo di mondializzazione del capitale è stato accelerato all’inizio degli anni ’80, il moderno campo tecnoscientifico attraversa un periodo di trasformazione acuta nella sua relazione con il campo economico (Chesnais, 1996 e Chesnais e Sauviat, 2005). Particolarmente, per quanto riguarda la relazione tra il ciclo dell’innovazione tecnoscientifica e il ciclo di investimenti in nuovi mezzi di produzione derivante da queste innovazioni. Tutti sappiamo che approssimativamente due secoli fa i progressi tecno-scientifici hanno costituito i principali strumenti di elevazione dei profitti delle imprese. Nel frattempo, è esistita una nitida separazione tra il ciclo dell’innovazione e quello della commercializzazione dell’innovazione. Alla metà degli anni ‘70, e in risposta alla crisi economica e sociale dell’antico modello di sviluppo fordista, diversi paesi industrializzati, in primo luogo gli USA, decisero di liberalizzare i propri mercati finanziari e di moltiplicare così le possibilità di investimento del capitale. Con ciò, e con l’appoggio del rapido sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione, (computers, satelliti...), una massa enorme di capitali sotto forma finanziaria cominciò a percorrere il mondo in cerca di opportunità di valorizzazione (Chesnais, 1996 e Braga, 2003). Negli Stati Uniti, tali opportunità apparvero sotto forma di cicli di affari permanentemente rinnovati dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Le decadi del 1970 e del 1980 conobbero l’incremento dell’automatizzazione microelettronica e un ciclo tecnologico ampiamente appoggiato dagli ingenti investimenti statali nel settore bellico: il programma “Guerre stellari”. La decade dei ‘90 hanno visto il boom del settore di produzione delle TI (tecnologie dell’informazione) e, posteriormente, la diffusione di internet e degli affari “punto com” mondializzati. Il nuovo millennio inizia appoggiandosi sull’onda degli investimenti nelle biotecnologie e nell’ingegneria genetica. E, ora, sperimentiamo l’inizio della “Rivoluzione Invisibile” rappresentata dalla nanotecnologia e dalla nanoscienza. In appena tre decadi abbiamo sperimentato varie “rivoluzioni tecnologiche” con le loro promesse e le loro suggestioni: la microelettronica, le telecomunicazioni, l’informatica, internet, la biotecnologia e l’ingegneria genetica... Ma abbiamo assistito anche a molte disillusioni. Il collasso delle società di tipo soviético e la fine della Guerra Fredda hanno acceso la speranza sul fatto che gli investimenti in armi cedessero il passo a una scienza diretta allo sviluppo del benessere e al miglioramento delle condizioni di vita. La prima Guerra del Golfo ha messo rapidamente fine a queste speranze. Il ciclo speculativo dell’inizio degli anni ‘90 e che rese fattibile il boom della crescita patrimoniale incentrato sulla “conoscenza” fornita da internet è fallito all’inizio del 2000, portando con sé alcuni trilioni di dollari (Husson, 2007). Non esiste una soluzione tecnologica alle contraddizioni del capitalismo e la speranza di arricchimento per tutti coloro che sappiano impiegare la loro creatività nel “punto com” sono tramontate in fretta. La frenesia sulle biotecnologie e sull’ingegneria genética, a sua volta, è stata placata dallo scandalo della falsificazione dei risultati della ricerca genetica con cellule tronco, precursori della clonazione terapeutica, da parte dello scienziato coreano Hwang Woo-suk. Il caso ha avuto una ripercussione mondiale ed è servito ad illustrare come la competizione esacerbata nel campo scientifico al fine di ottenere risultati spettacolari ha radici in un altro campo: quello economico. Le anticipazioni di risultati futuri, molto comuni nei mercati finanziari, hanno esercitato una forte pressione sulle istituzioni - università e imprese di ricerca tecnoscientifica - del settore scientifico per presentare risultati attraenti per il mercato e ad un ritmo accelerato. Viviamo attualmente una specie di finanziarizzazione della scienza con il ciclo commerciale che traina quello dell’innovazione ed esigendo dal campo scientifico risultati a brevissima scadenza sempre più spettacolari nell’intento di sostenere l’agitazione dei mercati finanziari: La sostituzione del finanziamento pubblico (dell’innovazione) da parte di quello privato e del controllo gerenziale da parte del controllo del mercato, implica cambiamenti di livello, di obiettivi, di priorità e dell’orizzonte del tempo dell’investimento legato all’innovazione. L’essenza di questa sostituzione può essere riassunta nella transizione da sistemi di organizzazioni istituzionali nei quali il capitale finanziario appoggia l’industria verso altri nei quali l’industria é obbligata ad appoggiare il capitale finanziario. Ovviamente, una grande parte di questa sostituzione è attribuibile alla globalizzazione finanziaria provocata da ondate successive di liberalizzazioni e deregulation e dalla innovazione finanziaria privata (Chesnais e Sauviat, 2005, p. 167). Con ciò, il campo scientifico tende a sacrificare la precauzione e la responsabilità nei confronti dei risultati inerente all’officio di ricercatore e quindi a cedere alle pressioni delle istituzioni che finanziano la scienza. Naturalmente, i rischi per la salute dei lavoratori e per la preservazione dell’ambiente derivanti dalla produzione aumentano esponenzialmente.5 Le implicazioni per l’ambiente per quanto riguarda la tossicità e la biodegradabilità delle nanoparticelle e gli effetti di queste sulla salute delle diverse specie (inclusa quella umana), sono considerevoli, una volta che si stima che potranno interferire nelle funzioni vitali. La bioaccumulazione e la persistenza delle nanoparticelle nella catena alimentare è un fattore che occorre osservare attentamente.

6. Considerazioni finali

Le nanoparticelle e le nanostrutture devono essere considerate in questo contesto e non secondo la presente convinzione del campo scientifico secondo cui non vi è nessun motivo di preoccupazione, perché la società convivrebbe già da secoli con queste sostanze. La verità è che sappiamo ancora pochissimo - quasi nulla - sul comportamento delle nanoparticelle industriali già diffuse nell’ambiente (Grupo ETC, 2005a). Cos’è che sappiamo veramente sul movimento di queste particelle a contatto con l’ambiente? Dove vanno a depositarsi? Qual è il suo potenziale inquinante? Ugualmente, sappiamo molto poco sui procedimenti di sicurezza nella manipolazione e nella produzione di queste particelle da parte dei lavoratori. Che fare per garantire la sicurezza di questi? Quali strumenti sono necessari? Quali saranno sufficienti? Nonostante ciò, le grandi corporation internazionali continuano la loro corsa verso la produzione, la più rapida possibile, di prodotti nanotecnologici immessi sui mercati mondializzati e, conseguentemente, nei più diversi ecosistemi (Grupo ETC, 2005b). Protezioni solari, tessuti, refrigeranti, materiali disinfettanti, aerosol, adesivi... Vari prodotti già contengono nanoparticelle prodotte industrialmente e commercializzate mondialmente senza nessun allarme per i consumatori. Alcuni autori, come David Berube, ad esempio, minimizzano i rischi e affermano che: “Una falsa convinzione derivante dagli studi di rischio immagina che le conseguenze future dovranno essere esaminate immediatamente in relazione alle capacità attuali per minimizzare il grado di pericolo. Pertanto, se la nanotecnologia nel 2250 potrebbe includere nanorobots replicanti, potrebbe al tempo stesso prevedere mezzi avanzati che alleggeriscano l’impatto che essi potrebbero generare” (2005, p. 278). Si tratta di una posizione che sfiora pericolosamente l’ottimismo tecnologico e che potrebbe trasformarsi in una posizione politica incapace di riflettere sui rischi delle applicazioni nanotecnologiche a lungo termine. Oltre a ciò, non necessariamente questa posizione è corretta perchè nel prossimo futuro potrebbero rivelarsi forti limiti tecnoscientifici capaci di ridurre le soluzioni tecnologiche menzionate e quindi molte conseguenze negative della diffusione della nanotecnologia potrebbero già essere irreversibili. Ci troviamo davanti, una volta ancora, al paradosso del progresso tecnoscientifico e, come sempre, dobbiamo evitare il catastrofismo ma anche l’otimismo tecnológico. Non si tratta di essere “contro” o “a favore” della nanotecnologia. Non ci piacerebbe poter contare su trasportatori molecolari capaci di portare i medicamenti esattamente all’interno delle cellule malate, ad esempio? O non ci piacerebbe avere a disposizione apparecchi diagnostici superprecisi? Ma nel frattempo, come ben sappiamo, l’uso capitalista della nanotecnologia privilegia il profitto. E, nelle condizioni sociali della finanziarizzazione neocapitalista contemporanea, un tipo di profitto a cortissima scadenza. Avanzare nel dibattito sulla nanotecnologia implica riconoscere la realtà della contraddizione esistente tra le necessità umane e l’accumulazione del capitale.6 E una tale comprensione deve necessariamente partire dalla relazione di dominazione della scienza da parte del capitale. Ossia, dell’imposizione degli obiettivi della valorizzazione su quelli della scienza. È esattamente per mezzo di questa eteronomia che la tecnoscienza sostituisce la routine empirica trasformandosi in forza produttiva per il capitale. Ed é per mezzo di questo riconoscimento che potremo superare alcune delle principali caratteristiche dei valori neoliberisti incorporati dalla problematica nanotecnologica in corso, ossia il disprezzo per il dibattito pubblico e l’enfasi per l’imprenditoria privata come strumento privilegiato dell’innovazione.

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Paulo Roberto Martins è ricercatore dell’Istituto per le Ricerche Tecnológiche dello Stato di San Paolo (IPT).

Ruy Braga è professore del Dipartimento di Sociologia dell’Università di San Paolo (USP).

Alcuni ricercatori preferiscono associare la nascita della nanotecnologia a un’altra conferenza classica tenuta da John von Neumann, nel 1948, durante un colloquio organizzato dalla Fundação Hixon nel Califórnia Institute of Technology (CalTech). Vedere, per maggiori dettagli, Dupuy (2000 e 2006).

Per saperne di più sull’LNLS, vedere: Burgos, 1999.

Al momento, quasi tutte le applicazioni ruotano attorno al perfezionamento dei materiali esistenti e sulla innovazione dei nuovi materiali. Questi vengono utilizzati per prodotti di lusso come le racchette da tennis, palle da golf (per ridurre il numero di rotazioni); nanoparticelle di zinco per la fabbricazione di pneumatici ad alto rendimento; fibre per la fabbricazione di tessuti con proprietà antimacchia o antiruga; nanoparticelle per cosmetici, farmaci e nuovi trattamenti terapeutici; filtri/membrane di acqua nanostrutturate e “rimedio” ecologici; miglioramento dei processi produttivi mediante l’introduzione di materiali più resistenti ed efficienti; disegno di nuovi materiali per usi che vanno dall’elettronica all’aeronautica a tutta l’industria del trasporto, fino al loro uso nelle armi più sofisticate e di nuova concezione (esplosivi, balistica, materiali antiproiettile e stealth).

La preoccupazione politica ha già investito profondamente qualcuno come Francis Fukuyama, ad esempio. Inscrivendo i diritti umani e la proprietà privata dentro la stessa natura umana, il conosciuto e polemico liberale statunitense pone, di fronte al progetto post umano, la seguente domanda: ciò che succederà con i diritti politici per caso modificherà la “uguaglianza umana naturale”? Per lui: “La uguaglianza politica indicata dalla Dichiarazione di Indipendenza è riposta nel fatto empirico della uguaglianza umana naturale. Differiamo enormemente come individui e per cultura, ma siamo tutti membri di una comune umanità che permette a tutti gli esseri umani di comunicare con ogni altro in tutto il pianeta. La domanda fondamentale suscitata dalla biotecnologia è: che succederà ai diritti politici quando saremo effettivamente capaci di generare alcune persone con una sella sul dorso e altre con germogli e spore?” (Fukuyama, 2003, p. 23).

In relazione alla salute dei lavoratori, studi sulla reattività delle nanoparticelle saranno sempre più necessari, non sufficienti le tradizionali analisi tossicologiche (esposizione immediata), come anche ricerche sulle potenziali implicazioni a lungo termine (potenziali modificazioni genetiche ereditarie).

Seguendo l’indicazione di Marx nella sua principale opera: “Le forze intellettuali della produzione (nel periodo manifatturiero) si sviluppano solo in un senso, per rimanere inibite in relazione a tutto ciò che non si inquadra nella loro unilateralità. Ciò che perdono i lavoratori, si concentra nel capitale che si scontra con essi. Alla divisione manifatturiera del lavoro si oppongono le forze intellettuali del processo materiale di produzione come proprietà di altri e potere che li domina. Questo processo di dissociazione comincia con la semplice cooperazione nella quale il capitalista rappresenta di fronte al lavoratore isolato l’unità e la volontà del lavoratore collettivo. Questo processo si sviluppa nella manifattura, che mutila il lavoratore, riducendolo a una mera frazione di se stesso, e si completa nella industria moderna, che fa della scienza una forza produttiva indipendente dal lavoro, reclutandola per servire il capitale” (1984, p. 413-4).