Il sistema italiano dei porti mediterranei e l’integrazione con il traffico terrestre

PIETRO SPIRITO

1. Le alternative di posizionamento nel business portuale Il porto, sempre più, deve essere concepito come un reticolo di attività economiche ad elevato grado di complessità, strettamente interconnesse con il sistema produttivo e con la organizzazione logistica del trasporto terrestre. Nella evoluzione delle logiche strategiche di una organizzazione economica globale, i porti si propongono di essere centri di servizi e non punti di transito della merce, con l’obiettivo di catturare il valore aggiunto della logistica che è strettamente collegata alle attività di carico e scarico della merce1. Questa nuova logica competitiva è possibile, e può essere vincente, solo se si riesce a costruire un modello operativo di sistema, capace di inserire il recinto portuale nel tessuto economico complessivo, su scala nazionale ed internazionale. In Italia, tuttavia, prevale ancora una logica di localismo esasperato, che induce a demoltiplicare i punti di approdo strategici indebolendo il sistema portuale nazionale nella sua interezza. Altrove, si perseguono invece disegni strategici coerenti, capaci di specializzare i sistemi portuali in funzione delle condizioni strutturali, delle opportunità di mercato, dei benefici economici per il tessuto produttivo nel suo insieme. Il profilo competitivo dei porti2 è quindi determinato, oltre che dai servizi offerti e dai soggetti attivi, dal livello di specializzazione, dall’integrazione con il territorio circostante e dalle prospettive di sviluppo. Le principali opzioni di posizionamento possono essere rappresentate in quattro classificazioni, che esprimono un diverso ruolo che la struttura portuale gioca nei confronti dell’area economica circostante: 1. il porto città: in questo caso il porto è un centro di commerci e di attività industriali su scala ridotta; i trasporti marittimi consistono prevalentemente di merci non containerizzate e questo determina attività di carico e scarico di carattere labour intensive; la città che ospita le diverse attività portuali ne costituisce anche il mercato principale; i compiti del gestore del porto si limitano alla fornitura dei servizi nautici; 2. il porto area: il porto funziona come un complesso industriale; il trasporto intercontinentale di materie prime alimenta una vasta serie di industrie attraverso banchine ad utilizzo esclusivo collocate nel porto o in aree limitrofe; il porto offre servizi sempre più capital intensive e la gestione è focalizzata sullo sviluppo di nuove infrastrutture; 3. il porto regione: il porto, in questo caso, opera essenzialmente nel trasporto intercontinentale di container e richiede servizi nei settori del magazzino e della logistica che vengono attivati in aree a basso costo esterne al porto; in un ambiente ad alto tasso di competizione tra i porti limitrofi e tra le attività interne al porto regione; il gestore, in questa configurazione, assegna un ruolo prevalente alle funzioni di marketing; 4. il porto network: il porto funziona come centro di controllo logistico; gli svantaggi strutturali del porto, quali la congestione e l’elevato costo del lavoro, conducono a delocalizzare le attività distributive a favore di altre locations ottenendo così un’estensione del livello di copertura territoriale; il gestore del porto svolge il nuovo compito di coordinare il networking.

Fare sistema è il presupposto determinante per operare nell’ambiente competitivo del nostro tempo, se si vuole avere l’ambizione di catturare quote crescenti di traffico in uno scenario internazionale che continuamente valuta opzioni alternative di posizionamento. Scegliere la vocazione portuale, ed il posizionamento coerente con le effettive opportunità che possono essere colte, è parte integrante di un disegno che voglia essere davvero efficace. Spesso invece si cerca di perseguire disegni incoerenti e contrastanti, simultaneamente attivando tutte le opzioni potenzialmente sul terreno, con il solo effetto di vanificare gli sforzi inseguendo tutte le direzioni senza cogliere poi davvero nel segno.

2. Il quadro normativo della organizzazione portuale in Europa ed in Italia

La situazione attuale vede in Europa quattro modelli di amministrazione portuale: • porti direttamente amministrati dallo Stato, a volte tramite un ente pubblico; è il caso dei porti spagnoli ed italiani; • porti amministrati da municipalità o da stati federali; è il caso dei porti del Nord Europa; • porti amministrati, come nel primo caso, da un ente pubblico, ma che sono caratterizzati da una larga autonomia, ed in particolare da una parziale esenzione dalle imposte; ciò rende possibile l’autofinanziamento di nuove infrastrutture; questi porti sono collocati in Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca; • porti gestiti direttamente da privati, come Felixstowe in Gran Bretagna e Zeebruggen in Belgio.

Il Libro Verde della Commissione della Unione Europea sui porti, pubblicato all’inizio del 1998, insieme alle decisioni relative al ruolo dei porti nel progetto delle reti transeuropee dei trasporti (TEN-T), ha manifestato l’orientamento dell’UE di assegnare ai porti una centralità nella politica dei trasporti europea. Il Libro Verde concentra l’attenzione su due temi di fondo: realizzare corrette condizioni di concorrenza e contenere la sovracapacità esistente o temuta. La soluzione indicata è l’adozione di un’impostazione uniforme nel finanziamento dei porti e delle infrastrutture marittime, da realizzare attraverso un sistema di tariffazione dell’uso delle infrastrutture portuali tale da far sopportare agli utenti il costo reale dei nuovi investimenti (inclusivo del costo del capitale, dei costi operativi e delle cosiddette esternalità, ovvero dei costi ambientali). Legando i nuovi investimenti alla domanda verrebbe inoltre evitato il rischio di determinare una condizione di sovracapacità. Il principio generale è, quindi, quello del “chi utilizza i trasporti deve pagare anche il costo di sviluppo delle infrastrutture”. Tale indirizzo di fondo è attenuato da una serie di eccezioni: esclusione delle grandi opere per l’accesso e la difesa dei porti, gradualità nell’applicazione della nuova normativa, attenzione ai problemi delle regioni sottosviluppate e periferiche, necessità di garantire la congruenza con i sistemi tariffari degli altri modi di trasporto. Per questa via si teme che possano essere avvantaggiati i porti del Nord Europa, che dispongono già di una dotazione di infrastrutture adeguato allo sviluppo di traffici futuri. Lo scenario normativo nazionale della regolamentazione portuale è caratterizzato dalla legge n. 84 del 1994, che costituisce ancora oggi il quadro di riferimento. I principali aspetti della legge sono: • classificazione dei porti in due categorie (porti militari/civili); i porti civili vengono raggruppati in diverse classi a seconda della rilevanza economica; • istituzione dell’autorità portuale con personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia di bilancio e finanziaria nei porti di Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste, Venezia ed in seguito Gioia Tauro. Successivamente, con logica tipicamente italiana, il numero delle Autorità Portuale è ulteriormente cresciuto, ed oggi se ne contano 28. L’Autorità ha compiti di programmazione e controllo e non può avere, direttamente o indirettamente, attività di gestione; • definizione delle operazioni portuali e norme per la concessione da parte dell’Autorità Portuale o, in assenza di questa, da parte della Capitaneria di Porto; il meccanismo di determinazione delle tariffe di concessione non è stato però ancora definito; • individuazione dei soggetti ai quali concedere la gestione delle operazioni portuali. Tra i servizi affidabili in gestione non ci sono i “servizi di prestazione di lavoro temporaneo” affidati alle già esistenti Compagnie dei Lavoratori Portuali.

Quest’ultimo punto è oggetto di un contenzioso con l’UE che ritiene che il principio di concorrenzialità debba essere esteso ai servizi gestiti sinora in esclusiva dalle Compagnie Portuali e soprattutto che queste ultime non possano accedere, contemporaneamente, alle concessioni delle operazioni portuali nei servizi e partecipare a società concessionarie.

3. Il mercato e la concorrenza nei servizi portuali

La struttura del mercato portuale in Europa è caratterizzata da una polarizzazione in tre aree di primaria rilevanza: in ordine di decrescente importanza, si tratta dei porti del nord-ovest d’Europa (il northern range), del bacino del Mediterraneo e dei porti dell’Europa Settentrionale. Tra le seconda metà degli anni Novanta e l’inizio del XXI secolo i porti del Mediterraneo, ed anche i porti italiani, hanno conosciuto una stagione di ripresa di competitività, che tuttavia sembra essersi arrestata negli anni più recenti. Nonostante uno svantaggio competitivo accumulato nel tempo, i porti del Mediterraneo hanno vissuto dunque una stagione di intensa crescita, con particolare riguardo al settore del traffico di container. Questo fenomeno è spiegato, oltre che dal tasso di crescita degli scambi mondiali, dal processo di containerizzazione delle merci: nel periodo 1996-2005 il tasso di crescita del mercato dei contenitori scambiati è stato pari al 134%, rispetto ad un tasso di crescita del 65% nel decennio precedente. Ciò ha determinato una condizione di crescente rilevanza del container nel settore del trasporto delle merci secche, con profonde modifiche ai sistemi di trasporto marittimo e portuali. L’esponenziale sviluppo del mercato ha aperto spazi di posizionamento competitivo a molti sistemi portuali ed ha costituito una occasione di ripresa di presenza per il bacino del Mediterraneo e per i porti italiani. Tuttavia, proprio le opportunità che si sono determinate, hanno innescato una forte competizione, nella quale si affermano i soggetti ed i sistemi che sono in grado di dare risposte di servizio concorrenziali e soluzioni dotate di affidabilità e competitività. I primi 12 porti italiani complessivamente hanno movimentato nel 2005 9,4 milioni di teus, sostanzialmente lo stesso numero di unità di carico movimentate nel solo porto di Rotterdam. I porti spagnoli hanno segnato una forte ripresa di competitività: Algesiras ha superato le movimentazioni di Gioia Tauro, Valencia e Barcellona sono cresciute con percentuali a due cifre, mentre la portualità italiana complessivamente ha registrato un deludente 0,9%. Va sottolineato che il centro propulsore dell’economia e degli scambi resta l’Asia: i fasci di rotte interasiatici rappresentano il 46% dei flussi complessivi, seguiti da quelli transpacifici (25%), da quelli tra Europa e Far East (20%), e da quelli transatlantici (9%). Il porto di Rotterdam, che con occhi italiani sembra un gigante, rischia di sparire se si considerano i numeri dei principali porti asiatici: Hong Kong movimenta 22,4 milioni di teus, Singapore 22,2 e Shangay 18. Ma quali sono i criteri in base ai quali le compagnie armatori decidono l’organizzazione delle rotte? Intanto vale la pena di sottolineare un elemento che, pur se dovrebbe essere immediatamente considerato driver di riferimento, viene spesso posto in secondo piano nelle analisi. I flussi di merce vanno laddove c’è la base di clientela, e nei modi determinati dalle caratteristiche della domanda attivata dalla stessa base di clientela, vale a dire i produttori, ma soprattutto i consumatori delle merci stesse: “L’importanza internazionale di un porto risulta dipendente da un solo aspetto economico: la presenza di vasti mercati di produzione e consumo alle spalle”3. Questo criterio di riferimento comincia a spiegare una delle ragioni che stanno alla base del rallentamento competitivo dei porti italiani: “In definitiva i porti italiani hanno dato gli stessi segnali di debolezza riscontrati nell’intero sistema economico nazionale. Non sono stati né migliori né peggiori del resto del Paese”4. Altro fattore strategico di scelta è dato dalle economie di scala: “Il più importante criterio di scelta dei porti da parte delle compagnie di linea è la raccolta del maggior numero di contenitori in una concorrenza sempre più aspra che vede come prima conseguenza da parte delle liner shipping companies l’occupazione di porti/terminals mondiali per accaparrarsi il flusso dei contenitori”5. È in corso un processo di concentrazione nell’industria armatoriale e nel settore della terminalistica portuale che ha assunto ormai dimensioni di gigantismo paragonabile a quello che accadeva tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo nell’industria ferroviaria ed in quella dell’acciaio negli Stati Uniti. Tre operatori del terminalismo portuale - HPH, PSA e APM - che insieme coprivano il 30% dei containers marittimi mondiali nel 2002, nel 2005 coprono circa il 50%. Nel settore amatoriale la danese Maersk/Sealand, dopo la fusione con P&O Nedlloyd, rappresenta da sola il 24% della flotta mondiale. In uno scenario mondiale di concentrazione su larga scala, è difficile preservare modelli di gestione che non siano in sintonia con le regole dettate dalle grandi imprese che dettano legge sul mercato. “È attraverso le economie di scala e di scopo permesse dalla concentrazione dei terminal operators e delle compagnie in una struttura di concorrenza oligopolistica che si possono condividere ed affrontare forti investimenti ad alto rischio in grandi navi, nuove strutture portuali, costose tecnologie in rapido mutamento. Solo con le economie di scala si raggiungono bassi costi, e non attraverso i metodi tradizionali”6. L’Italia è stata in questi anni oggetto e non soggetto della rivoluzione logistica. Ha enunciato l’obiettivo di essere la piattaforma logistica del Mediterraneo, senza poi riuscire a dare sostanza imprenditoriale ad una intuizione che è stata funzionale alla battaglia competitiva tra i grandi attori del terminalismo portuale internazionale, che hanno utilizzato la piattaforma della portualità italiana in un gioco però evidentemente tattico, pronto a lasciare il campo quando emergono altre opportunità di maggiore convenienza.

4. L’analisi del confronto competitivo tra sistemi portuali a livello europeo: il ruolo della portualità italiana nel Mediterraneo con particolare riferimento alla portualità ligure

Nello scenario competitivo di settore hanno un ruolo essenziale i range portuali, ovvero i porti collocati in una stessa area, che servono lo stesso hinterland e che competono tra di loro per attrarre gli stessi flussi di traffico marittimo. Un range può essere coincidente con i confini di una nazione, ad esempio la Gran Bretagna, oppure può comprendere porti collocati in nazioni diverse. In questo quadro, il northern range costituisce il più competitivo sistema portuale sovranazionale. Il range comprende 10 grandi porti, due dei quali sono in Olanda, due in Belgio, tre in Germania e tre in Francia. Dopo il Sud-Est asiatico, la West Coast americana, il Medio Oriente, l’Europa mediterranea è stata un obiettivo dell’espansione dei grandi terminalisti portuali. L’Italia, in questo quadro, è tornata ad essere ciò che naturalmente è da sempre: una porta verso l’oriente. Tuttavia, dopo una fase di spinta propulsiva, il processo si è prima rallentato, ed ora arrestato. Quali sono le ragioni ? Innanzitutto, non si è completata, nel sistema della portualità nazionale, la gamma dei servizi che sono richiesti dalla merce, prima ancora che dal contenitore, per poter consolidare una scelta di posizionamento portuale che si basa oggi sulla affidabilità complessiva offerta da un insieme integrato di prestazioni. “Per mettersi al passo con i porti del Nord non basta un terminal portuale efficiente e poco costoso, non bastano magazzini e distripark, ma occorrono servizi di collegamento e trasporto retroportuali di eguale efficienza e capillarità”7. Questa è la sfida aperta per la portualità italiana, ed in particolare per la portualità ligure. Senza la costruzione di network di collegamenti terrestri efficienti, si rischia di restare al palo rispetto alla evoluzione che sarà determinata dalla logica portuale dei prossimi anni. Nello scenario dei prossimi anni, di fronte alla portualità italiana c’è una sfida di grande rilievo, dalla quale dipende il futuro assetto della logistica nazionale: “La somma dei costi marittimi e terrestri, usando trasporto camionistico o ferroviario, favorisce chiaramente i porti italiani, soprattutto quelli di Genova e Trieste, per un range geografico che non include tutti i Paesi del Nord Europa e la Russia, ma copre una considerevole porzione delle città meridionali di questi Paesi, come Milano, Monaco, Vienna, Budapest, Berna, Lione e Kiev”8. Le merci che arrivano nei contenitori dall’Estremo Oriente sono sempre più prodotti finiti, e sempre meno semilavorati. Ciò comporta che il transit time richiesto dai consumatori finali, e dai decisori dei piani di inoltro, deve necessariamente ridursi, per effetto di un flusso logistico teso guidato da organizzazione di supply chains alla ricerca della efficacia e della efficienza, Nel “mondo piatto” che descrive Thomas L. Friedman nel suo recente libro9, non c’è spazio per le reti lunghe delle intermediazioni e per le soste dei containers nei porti, magari una settimana in attesa per il successivo collegamento del feeder marittimo. La costruzione di questi network trova la necessità di servire i mercati finali di consumo dal momento che l’evoluzione delle economie occidentali spinge sempre più verso l’assorbimento di merci in importazione rispetto al flusso, in forte riduzione (soprattutto per l’Italia) delle esportazioni. Lo sbilanciamento dei traffici diventa sempre più un riferimento essenziale per la riorganizzazione dei flussi logistici, e le opportunità saranno per chi riuscirà ad interpretare questo cambiamento: “La direttrice Far East - Europa ha volumi che potranno essere quattro volte superiori a quelli della direttrice inversa. L’Europa importerà sempre più di quanto sarà capace di esportare. Il rapporto tra le due direttrici passa da 2,1 alle soglie del nuovo millennio a 2,8 nel 2010”10. Quello che caratterizza i porti italiani rispetto ai porti del Nord Europa è il diverso bacino industriale di assorbimento collocato nella immediata prossimità dei porti stessi. “Nel Nord Europa, a differenza del Mediterraneo, la stretta prossimità dei grandi porti ai mercati di consumo finale nell’immediato hinterland significa che c’è ancora una presenza significativa di collegamenti diretti (direct calls) sulla quota media di transshipment: il transshipment è meno del 40% sul totale della movimentazione dei contenitori”11. È questo lo strutturale vantaggio competitivo dei porti del Nord Europa rispetto ai porti italiani, i quali sono invece strutturati secondo un modello del tipo hub and spokes, con Gioia Tauro e Taranto in funzione di porta di ingresso per le navi madri e la restante parte della portualità nazionale in funzione di distribuzione. Si aggiunge per la scelta di questo modello un passaggio in più, che riduce in qualche modo il vantaggio competitivo del sistema portuale nazionale in termini di minori tempi di percorrenza e di minori costi potenziali.

5. L’interazione tra traffico portuale e traffico terrestre: il ruolo delle ferrovie

Questo è il quadro di sviluppo della portualità italiana del Mediterraneo nel quale deve collocarsi il ragionamento sul futuro strategico della interazione tra sistema portuale e sistema del trasporto terrestre. L’efficacia dei sistemi logistici nelle strutture portuali e la possibilità di uno scambio modale efficiente tra porti e trasporto terrestre rappresentano i principali aspetti che caratterizzeranno nei prossimi anni l’evoluzione competitiva e genereranno la gerarchia tra i diversi progetti di posizionamento sul mercato. Nella costruzione di questi network di collegamenti terrestri, esiste una gamma di opportunità potenziali, che sono funzionali al mercato di riferimento che il porto intende servire. Intanto è possibile costruire reti lunghe o reti corte di collegamento. Sono due approcci che devono essere valutati, o che al limite possono essere anche integrati. L’impressione è che i porti italiani stiano, non capisco quanto consapevolmente concentrandosi solo sulle reti corte. Pare essere questo il senso di un dibattito che, soprattutto nel caso di Genova, si concentra in particolare sul tema della retroportualità. E’ questa l’unica opzione possibile ? Non si orientano in questa direzione le scelte della portualità europea ed internazionale. “I centri intermodali che raccolgono e manipolano le merci usando le telecomunicazioni sono spesso a grande distanza dai porti per servire contemporaneamente porti e territori e così ottenere maggiori economie di scala”12. E’ nella prossimità dei grandi centri di consumo e di produzione che si vanno a collocare le grandi strutture interportuali destinate a smistare le merci, ed anche a lavorarle, nella consapevolezza però che l’obiettivo di effettuare operazioni di lavorazione finale delle merci (il cosiddetto postponement) diventa sempre meno prioritario in considerazione del fatto che dall’Estremo Oriente arrivano sempre più prodotti finiti destinati direttamente ai mercati finali di consumo. La Spagna, con l’appoggio della Francia, sta lavorando per ottenere il consenso della Unione Europea sulla costruzione di un asse ferroviario dedicato che colleghi il centro intermodale di Duisburg con i porti di Algesiras, Valencia, Tarragona e Barcellona. Si vede in questo disegno un ragionamento di sistema con strategia e respiro europeo. Non si costruisce una nuova infrastruttura terminale, che deve poi ripagare faticosamente i suoi costi di costruzione e di avviamento, ma si utilizza un inland terminal già esistente per potenziarne la recettività puntando sui benefici effetti delle economie di scala. Duisburg è l’inland port più grande d’Europa, con una crescita dei containers movimentati, soprattutto su treno ma anche su fiume e camion, di oltre il 30% l’anno negli ultimi 3 anni. Base dello sviluppo è stato lo smistamento e l’handling dei container in arrivo dall’hinterland europeo per servire i porti di Anversa e Rotterdam. Intanto, in attesa della realizzazione di questo progetto, il porto di Barcellona ha acquistato terreni in Francia per costruirvi un centro di distribuzione. Insomma, in Europa sembra prevalere la logica di costruire network di collegamenti terrestri con “reti lunghe”, vicine il più possibile ai mercati finali di consumo o ai mercati restanti di produzione. Diverso è il caso italiano, che negli ultimi anni ha concentrato la sua discussione sulle “reti corte” dei retroporti, vicine alle strutture portuali per dare sfogo di spazi che non sempre sono presenti nel recinto portuale. Nel caso in cui si vada nella direzione di dotare alcuni porti italiani di strutture retroportuali vanno in ogni caso capitalizzate le lezioni che sono ormai dato acquisito della realtà marittima e portuale nel mondo: costruzione di economie di scala, concentrazione dei flussi, capacità di disporre di network precedentemente definiti di relazioni terrestri ad alto grado di affidabilità. Spesso nella storia del nostro Paese, e nelle decisioni di politica industriale sugli insediamenti produttivi, si è fatto l’errore di considerare le soluzioni trasportistiche e logistiche come l’ultimo anello della catena, che deve comunque adattarsi alle scelte assunte per altre ragioni. Se si applicasse questo approccio anche ai retroporti, sarebbe davvero un errore grave, capace solo di ingenerare l’ennesimo svantaggio competitivo per i porti italiani. L’alternativa tra “reti lunghe” o “reti corte” di collegamento terrestre da e per i porti costituisce certamente uno degli elementi che caratterizzeranno la competizione portuale nel corso dei prossimi anni. Se si sceglie, come parrebbe di capire, di adottare per la portualità ligure l’approccio delle “reti corte”, bisogna lavorare per dare il massimo possibile della massa critica e delle economie di scala. Come è noto, la soluzione ferroviaria dispiega i propri vantaggi competitivi rispetto al trasporto su gomma sulle relazioni di lungo raggio. E’ possibile cercare di riequilibrare il rapporto, su distanze di breve o brevissima percorrenza, solo se si costruiscono modelli di servizio basati sulla massimizzazione delle frequenze e su una organizzazione di sistema che consenta il miglior sfruttamento delle risorse, tecniche ed umane. Fare sistema è dunque un elemento determinante per la competitività nel mondo della globalizzazione. L’impressione è che l’Italia dei campanili non abbia ancora interiorizzato la lezione del mondo presente, e che si tenda piuttosto a preservare lo stato presente delle cose, senza avere la capacità di realizzare le innovazioni necessarie in tempi compatibili con le richieste del mercato. In questo quadro il trasporto ferroviario italiano può, e vuole, svolgere un ruolo di attrattore dei traffici che vengono generati dalla crescita della portualità mediterranea. Su questo profilo è opportuno sottolineare alcune linee di tendenza in atto: • le ferrovie stanno operando per utilizzare una rete ferroviaria riconcepita sulla base dello sviluppo della portualità italiana: nell’arco dei prossimi anni sarà disponibile un itinerario alternativo per il traffico che da Gioia Tauro e da Taranto si indirizza verso il Nord Italia ed il Nord Europa, attraverso la rete tirrenica ed adriatica del sistema ferroviario nazionale; • per i porti dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico diventa essenziale non solo consolidare le infrastrutture esistenti, ma porre in essere quegli investimenti selettivi, soprattutto nei recinti portuali, che consentano di incrementare la capacità di traffico sulla rete ferroviaria, anche in relazione con il centro ed il nord dell’Europa; lavorare per minimizzare le operazioni di manovra ferroviaria serve a ridurre costi e transit time della soluzione ferroviaria, si tratta di un passaggio assolutamente strategico, possibile solo se vengono realizzare infrastrutture ferroviarie nei porti coerenti con la formazione di convogli completi direttamente in porto e nei terminali.

In buona sostanza non può esistere una risposta unitaria alla domanda di trasporto terrestre che viene dai diversi punti della portualità italiana, che sono caratterizzati da strutture e posizionamenti di carattere differente. Le ferrovie devono essere in grado di rispondere con una organizzazione dei traffici che sia calibrata rispetto al posizionamento delle diverse strutture portuali italiane, in grado di adattarsi rispetto al modello di specializzazione funzionale dei traffici. Inoltre, non occorre sottovalutare alcune caratteristiche strutturali dell’offerta ferroviaria. Le ferrovie possono essere competitive nel siano le meno traumatiche possibili sotto il profilo della efficienza operativa e della economicità di gestione. È per questa ragione che vanno attentamente considerate e percorse traffico merci su distanze medio-lunghe, a condizione che le rotture di carico le opportunità di feederaggio di medio e corto raggio di carattere marittimo, che possono poi consentire alle ferrovie di svolgere con maggiore efficacia il proprio ruolo specifico di vettore laddove le condizioni di capacità della rete e di economicità di gestione lo consentono.

Amministratore Delegato SERFER E FERPORT GENOVA, Gruppo Ferrovie dello Stato.

Per una analisi attenta ed approfondita su questi temi di evoluzione strategica dei sistemi portuali, cfr. Marketline International, “European seaports: developing integrated transport links”, 1998.

Da H. A. van Klink, Creating port network: the case of Rotterdam and the baltic region, “International Journal of Transport Economics”, vol.XXIV - N.3, Ottobre 1997.

Dionisia Cazzaniga Francesetti, “I criteri di scelta dei porti internazionali e i porti italiani, VIII Congresso SIET, Trieste, giugno 2006, p. 5.

Sergio Bologna, Allegato al documento “Osservazioni e proposte sulla portualità”, dattiloscritto per il CNEL, 2006.

Dionisia Cazzaniga Francesetti, “I criteri di scelta dei porti internazionali e i porti italiani, VIII Congresso SIET, Trieste, giugno 2006, p. 2.

Dionisia Cazzaniga Francesetti, “I criteri di scelta dei porti internazionali e i porti italiani, VIII Congresso SIET, Trieste, giugno 2006, p. 4.

Sergio Bologna, Allegato al documento “Osservazioni e proposte sulla portualità”, dattiloscritto per il CNEL, 2006.

Dionisia Cazzaniga Francesetti, “Italian versus Northern Range port competitiveness; a transportation cost analysis in Chinese trade”, European Transport, n. 30, 2005, p. 37.

Thomas L. Friedman, “Il mondo è piatto”, Mondadori, 2006.

Sergio Bologna, Allegato al documento “Osservazioni e proposte sulla portualità”, dattiloscritto per il CNEL, 2006.

Dionisia Cazzaniga Francesetti, “Italian versus Northern Range port competitiveness; a transportation cost analysis in Chinese trade”, European Transport, n. 30, 2005, p. 41.

Dionisia Cazzaniga Francesetti, “I criteri di scelta dei porti internazionali e i porti italiani, VIII Congresso SIET, Trieste, giugno 2006, p. 12.