Una nuova visione dell’economia dello sviluppo

Rémy Herrera

La domanda che porrò in discussione è quella di comprendere perché, a 15 anni dalla scomparsa del blocco sovietico, la rivoluzione cubana sia sempre in piedi e resista all’imperialismo. Cuba condivide con gli altri paesi dell’America Latina e dei Caraibi similarità profonde, ma se ne distingue anche per i tratti singolari che hanno determinato l’originalità della sua traiettoria storica a lungo periodo.
 Cuba fu la prima grande terra d’oltre-atlantico “scoperta” nel 1492 dall’Europa, e diventò, a partire dal 1510-11 (data della conquista effettiva dell’isola), la base strategica dell’espansione dei conquistadores sul continente americano, e, nel contempo lo snodo marittimo dei convogli transatlantici dell’impero spagnolo.
 È anche il territorio dove la schiavitù è durata più a lungo: seconda colonia ad introdurla (nel 1511, dopo Hispaniola) penultima ad abolirlo, nel 1886, prima solo del Brasile. E è la colonia dove le deportazioni di africani sono state più massicce di tutta l’America ispanica: verosimilmente un milione di persone, forse più. Il picco della popolazione schiava fu raggiunto verso 1840, con 436 000 schiavi, su una popolazione cubana totale di un milione di abitanti, popolazione nera al 60% all’epoca. Schiavitù tardiva dunque, e schiavitù massiccia.
 Cuba fu - e questo è legato certamente alla schiavitù - il primo produttore ed esportatore mondiale di zucchero, fin dalla metà del XIX secolo. E lo resterà per molto tempo. Con lo zucchero, Cuba sarà molto presto collocata, nonostante fosse sotto il dominio politico spagnolo, alle dipendenze economiche degli Stati Uniti. Ritorneremo su questo punto, cruciale.
 Si tratta anche del paese dove la colonizzazione spagnola è stata la più lunga della storia: quasi 400 anni, dal 1492 al 1898. Uscendone solo dopo una dolorosa guerra di indipendenza (1895-1898) ed una serie di occupazioni militari degli Stati Uniti: 1898-1902, 1906-1912, 1917-1919. Gli Stati Uniti ingaggiarono del resto la prima guerra “imperialistica” della loro storia, per rompere il movimento popolare nazionalista ed assicurarsi un controllo totale dell’isola.
 Cuba, è infine, dal 1959, la prima, e fino ad oggi l’unica, rivoluzione socialista vittoriosa dell’America - anche se ci furono altre rivoluzioni popolari, tra le quali quella di Haiti del 1791, di Toussaint Louverture, alla testa di armate di schiavi, e quella del Messico del 1910, di Emiliano Zapata e le sue truppe di contadini. La rivoluzione cubana deve essere intesa come il punto di conclusione di un lungo, difficile e doloroso processo di formazione di una cultura e di un’identità nazionale, profondamente originale; la conclusione delle lotte di un popolo multirazziale che giunse, non senza difficoltà, a formare un fronte operaio-contadino per la fusione delle rivendicazioni anti-imperialistiche ed anti-capitalistiche, alla base del progetto socialista cubano. Più difficile, per noi, stranieri, non è comprendere la storia di Cuba, ma di comprendere che sono i cubani che hanno fatto la rivoluzione cubana, che sono i cubani che continuano la loro resistenza per far vivere la loro rivoluzione. L’importante per noi non è dunque giudicare o condannare, ma cercare di comprendere - e per quelli di noi che sperano di vivere un giorno in un mondo il migliore, cercare eventualmente di comprendere ciò che si può di questa esperienza di “via non capitalista allo sviluppo”. Cuba ha una storia (ed una geografia) che è legata in maniera molto stretta e molto conflittuale alla storia, ed alla geografia, degli Stati Uniti. E l’ipotesi che sottoporrò alla riflessione è che questa piccola isola dei Caraibi ebbe un ruolo non trascurabile e abbastanza significativo, nella marcia degli Stati Uniti verso la loro egemonia sul sistema mondiale, che si può ritenere per acquistata dal 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, a fronte dell’altra superpotenza dell’epoca, l’Unione Sovietica. Nel contesto, in primo luogo delle relazioni con gli Stati Uniti, in secondo con l’URSS, la rivoluzione ha prodotto, a Cuba, delle esperienze assolutamente importanti per il suo popolo, in particolare sul terreno delle esperienze sociali che questo popolo ha fatto e fa ancora con la scelta di resistere alle pressioni straordinariamente violente degli Stati Uniti - per la minaccia di guerra, per l’embargo che è una guerra non dichiarata, per la globalizzazione neoliberista -, per preservare le esperienze della sua rivoluzione. E questo, anche dopo la scomparsa dell’URSS e del COMECON che erano capisaldi per l’economia cubana. La seconda ipotesi che sottoporrò al lettore in questo articolo, è che il conflitto che oppone Cuba agli Stati Uniti, prima ancora che un confronto Est-ovest, deve essere collocato all’interno delle loro relazioni bilaterali, molto particolari come andremo a vedere. Perché è la natura stessa di queste relazioni che spiega al tempo stesso la persistenza del conflitto dopo la scomparsa dell’URSS ed il trattamento differenziato che gli Stati Uniti applicano a Cuba rispetto ad altri paesi “comunisti”, o “non capitalisti”, come la Cina o il Vietnam. La rivoluzione cubana ha una storia (ed una geografia) che presenterò, molto brevemente, in dieci punti.

1. La storia della Cuba moderna inizia con l’arrivo degli Spagnoli il 28 ottobre 1492. Comincia con un immenso caos, un shock demografico di una violenza inaudita. Cuba, grande come l’Inghilterra, e che Colombo scambiò per il Giappone (Cipangu, dai racconti di Marco Polo) era popolata da tribù amerindie. La più importante era quella degli Arawaks (Tainos), società divisa in classi, con un sistema di caciccato, ma senza proprietà privata né Stato. In totale, verosimilmente 100.000 persone vivevano sull’isola nel 1500. Nel 1530, gli Amérindo-cubani non erano più di 15.000; e solamente da 1.000 a 2.000 unità familiari nel 1600. I conquistadores si appropriarono delle terre e di quanto vi fosse sopra e sotto: oro, rame e uomini, gli indiani che furono ridotti in schiavitù, poi soggetti ad un regime di lavori forzati, chiamato encomienda, per lavorare nelle miniere di oro e di rame. Tutto cominciò dunque con un saccheggio.

2. Gli spagnoli crearono a Cuba un’organizzazione sociale nuova, ancora feudale, ma già proto-capitalista, e soprattutto totalmente connessa ai mercati mondiali. Le cose invece erano molto differenti nelle colonie inglesi del Nordamerica, in particolare negli Stati Uniti, dove le classi dominanti hanno imposto fin da subito un metodo di produzione capitalista, con un Stato subordinato fin dall’origine, alla borghesia coloniale. A Cuba, al contrario, vige un’oligarchia di grandi proprietari formatasi, molto presto, accaparrando sia le ricchezze fondiarie e minerarie, che il potere politico locale. Questo sistema sociale di tipo coloniale si distingueva dal feudalesimo europeo per la sua produzione orientata verso l’approvvigionamento del centro del sistema mondiale (l’Europa occidentale, via Spagna) e basato sull’encomienda, o una divisione del lavoro secondo un criterio di razza. Ciò non impedì il meticciato, caratteristica della cubanità. Dagli immensi campi si formarono, i latifondi, per l’allevamento estensivo di bestiame, per l’esportazione del cuoio soprattutto, per molto tempo.

3. La schiavitù a Cuba è istituita fin dalla conquista, ma il suo sviluppo è legato a quello della produzione e dell’esportazione di zucchero, più precisamente all’ascesa al potere dei grandi proprietari fondiari zuccherieri ed alla loro strategia di collegamento al mercato mondiale. Questa strategia si materializzò attraverso l’inserimento della colonia, in posizione dominata, ma molto dinamica, nel sistema mondiale capitalista, grazie ad un’alleanza tra le classi dominanti creole e le classi sotto-dominanti del centro (spagnole, poi soprattutto anglo-americane). Ciò che bisogna comprendere dunque, è l’importanza per l’isola di questa specializzazione nel campo zuccheriero che intervenne tra il 1750 ed il 1850 ed andava a fare di Cuba, fin dalla metà del XIX secolo, il più grosso produttore ed esportatore di zucchero al mondo. Alla base questo sviluppo poggiava sulla schiavitù, estesa su una scala così vasta che deformò tutta la struttura sociale. Insistiamo su questo punto: la schiavitù nelle piantagioni fu un elemento costitutivo del capitalismo nella sua fase di accumulo primitivo, di trasferimento del surplus dalla periferia verso il centro. E questo zucchero cubano, prodotto dagli schiavi deportati, era esportato nel XIX secolo fino in Russia...

4. Se Cuba è stata specializzata nella mono-esportazione di zucchero da queste classi dominanti, è perché le condizioni endogene alla colonia esistevano. Condizioni tecniche, topogafiche, climatiche; condizioni socioeconomiche certamente, come la trasformazione dei proprietari in industriali, lo scioglimento dei vecchi rapporti di produzione, la liberazione di forze produttive. Ma anche perché degli shock esterni imposero questa specializzazione. Il primo fu l’occupazione militare de L’Avana da parte degli inglesi nel 1762 che ruppe il monopolio commerciale mercantilistico spagnolo e provocò un cambiamento di scala del sistema schiavistico cubano. Il secondo la rivoluzione di Haiti (1791-1804) che eliminò una grande concorrente produttrice di zucchero. E, soprattutto, il terzo shock esterno: prima di ciò, fin dal 1776, il collegamento di Cuba al mercato degli Stati Uniti, vicino, vasto, in pieno sviluppo. L’indipendenza escluse gli Stati Uniti dai mercati coloniali inglesi dei Caraibi e è Cuba, colonia spagnola che va a bilanciare la dipendenza economica degli Stati Uniti; o piuttosto la dipendenza dei loro industriali, dei loro negozianti, dei loro fattori, dei loro armatori, dei loro banchieri... e dei loro negrieri. L’isola diventò il principale sbocco esterno dei loro prodotti. Gli Stati Uniti acquistavano dello zucchero (grezzo) a Cuba per raffinarlo e venderlo sulla loro costa orientale; ed essi le fornivano in cambio materiali e mezzi di produzione: schiavi, viveri, sacchi e casse da imballaggio. Verso il 1850, quasi la metà della popolazione cubana era schiava. La crescita dell’economia cubana non ha molto a che vedere quindi con lo sviluppo, se non con lo sviluppo della schiavitù. Alcune cifre: nel 1820, un terzo delle esportazioni cubane era diretto verso gli Stati Uniti; nel 1850, i due terzi; nel 1875, l’85%; nel 1895, il 90%. Cuba era, nel 1895, il secondo mercato internazionale degli Stati Uniti.

5. Le radici lontane, profonde, della rivoluzione sono dunque da ricercare anche nella resistenza degli schiavi: nelle fughe dei cimarrones ribelli verso i palenques (villaggi fortificati nelle regioni interne dell’isola) e nelle rivolte collettive che si moltiplicano nel XIX secolo, e determinano un incrudimento delle condizioni di vita degli schiavi. Ci furono molto presto dei sollevamenti popolari che uniscono i lavoratori indiani ed africani, il primo risale al 1525. Di fronte a questa resistenza, i grandi produttori di zucchero deportarono ancora più di schiavi e, quando la tratta fu abolita, clandestinamente. Provarono anche ad imitare un’innovazione che aveva fatto la fortuna degli inglesi e dei piantatori cotonieri degli Stati Uniti: l’allevamento di schiavi, con accoppiamento di riproduttrici e di stalloni; ma ciò non riuscì tanto bene come negli Stati Uniti... La situazione diventò così preoccupante per i produttori di zucchero che venne discussa anche l’ipotesi di reintrodurre la schiavitù bianca. Di numerosi contadini spagnoli poveri, di peones, ve ne erano; un’ondata di lavoratori bianchi arrivò anche a partire dal 1840, portati dagli inglesi dalla loro colonia europea, l’Irlanda, per lavorare nelle ferrovie, sotto la concessione inglese. Ma molti irlandesi fuggivano. I capitalisti avevano bisogno di braccia. Allora spostarono tutti quelli che trovarono da comprare: dagli indiani maya dello Yucatan che l’esercito messicano aveva fatto prigionieri e ceduti ai trafficanti di uomini dei proprietari zuccherieri; dai “turchi”, come venivano definiti, ma in effetti egiziani e siriani, verso il 1860; poi, in massa, dai cinesi, 150.000 tra il 1847 ed il 1874, venuti da Macao e da Canton, con contratto di salariati forzati, dai coolies, deportati dai vecchi negrieri, inglesi naturalizzati, dopo la guerra dell’oppio contro la Cina. Questi coolies sgobbarono nei campi di canne, al fianco degli schiavi.

6. Ciò che si è costruito di grande e di bello a Cuba lo si è fatto con il sangue ed il sudore del suo popolo. Un popolo meticcio che si è costituito poco a poco in nazione, nello sfruttamento capitalista e nella resistenza a questo sfruttamento, nella violenza della colonizzazione e nelle guerre di liberazione nazionale. Nella guerra dei dieci anni tra il 1868 ed il 1878, poi in quella del 1895-98, guerra dei patrioti cubani contro la Spagna, 300.000 soldati spagnoli, un soldato ogni 6 abitanti, record mondiale nella storia della repressione. Guerra nella quale gli Stati Uniti intervennero, nel 1898, per “confiscare” l’indipendenza di Cuba. Dal 1800, tutti i presidenti statunitensi, o quasi, avevano considerato l’annessione dell’isola come nella natura delle cose, come per una legge di attrazione gravitazionale, che si tradusse nell’espansione territoriale stessa degli Stati Uniti. Dopo lo sterminio degli indiani e la guerra contro il Messico (1845), Cuba rappresentava un snodo strategico fondamentale. L’isola dà sulla foce del Mississipi - asse fondamentale per la conquista dell’ovest -, ma anche sul canale interoceanico di Panama, a partire dall’inizio del XX secolo. Gli Stati Uniti occuparono Cuba nel 1898 dunque, più Porto Rico, le Filippine, Guam; dopo la Hawaii... si impossessarono di Guatanamo, che ancora oggi si rifiutano di restituire a Cuba. Si avvalsero con l’emendamento Platt di intervenire militarmente nell’isola quando stimavano i loro interessi minacciati. Cuba fu dollarizzata. All’epoca, il capitalismo statunitense era dominato dalla finanza, dai grandi capitalisti che avevano operato fusioni tra banche ed industrie. L’imperialismo era nato, conquista dei tempi moderni. Nuovo saccheggio. E è questa finanza statunitense che portava l’assalto a Cuba, anche attraverso l’accesso allo zucchero.

7. Prima del 1959, la grande finanza statunitense - Morgan dal 1914 al 1929-33, Rockefeller dal 1933 a 1958 (i due gruppi Rockefeller, quello di William Rockefeller strutturato intorno al National City Bank e quello di John Rockefeller intorno alla Standard Oil e alla Chase Manhattan Bank)- controlla a Cuba tutto ciò che crea profitto. Assolutamente tutto: la produzione di zucchero (Cuba, primo esportatore di zucchero grezzo al mondo, si era ridotta, verso 1930, ad importare lo zucchero raffinato dagli Stati Uniti), le miniere (nickel), l’energia, le ferrovie, i trasporti urbani, il telefono, il tabacco, i frutti tropicali, i beni di consumo (Coca Cola, Propter & Gamble erano là, come Goodyear), le banche, fino alla Banca centrale, la terra... Cuba era una proprietà degli Stati Uniti. Lo sviluppo delle esportazioni di zucchero fu prodigioso. Nel 1920, le esportazioni pro capite di Cuba erano superiori a quelle dell’Inghilterra. Ma, oramai, i lavoratori erano dei salariati, che formavano nel senso stretto del termine un “proletariato” zuccheriero, impiegati nei tre o quattro mesi di zafra (raccolto) e ridotti alla miseria nel resto del tempo, su terreni che lavoravano, ma non possedevano, senza alcuna occupazione alternativa. Questo sviluppo portò nuovi spostamenti di manodopera stagionale, per decine di migliaia di disperati: haitiani, giamaicani, che riproducono così la divisione capitalistica del lavoro questa volta secondo un criterio di nazionalità; unitamente allo sviluppo del sottosviluppo, alla disoccupazione, alla miseria, alla deindustrializzazione, in un’economia iper-specializzata, mono-esportatrice, vulnerabile alle fluttuazioni e totalmente dipendente, malgrado le virtù decantate nei trattati di libero scambio ed alle quote zuccheriere degli Stati Uniti. È in questa prospettiva del tempo lungo che può essere temuta - se si vuole comprenderla - l’adesione di Cuba al progetto socialista.

8. La Rivoluzione, a partire dal 1 gennaio 1959, dopo una guerra di guerriglia di tre anni, diretta da Fidel Castro. In un tempo storico molto breve, Cuba ha conosciuto una trasformazione sociale radicale che la fece rompere col capitalismo ed impegnarsi nella costruzione di una società socialista. Il 1959 ed il 1960 furono gli anni di liberazione nazionale e di misure prese in favore del popolo, gli anni delle misure di giustizia sociale, di democratizzazione: della lotta contro la corruzione, contro la mafia, contro il traffico di droga, contro la prostituzione; del recupero dei beni alienati; della soppressione degli apparati repressivi dello Stato agli ordini dell’oligarchia; della riduzione dei prezzi dell’elettricità, dei medicinali, degli affitti, dei libri; della fine della segregazione razziale (sempre in vigore negli Stati Uniti all’epoca); dei grandi lavori pubblici e della creazione di posti di lavoro; della scomparsa della mendicità e del lavoro dei bambini; della precedenza accordata alla salute ed all’istruzione pubblica, dell’instaurazione della previdenza sociale, delle pensioni, di un’educazione universale, della campagna di alfabetizzazione, dello sviluppo della ricerca, della cultura, dello sport; della riforma agraria.... Poi a partire dal 1960-65, delle grandi trasformazioni socialiste, con le nazionalizzazioni e la posa in opera di una pianificazione, con l’aiuto sovietico. Certamente, ci furono delle insufficienze - una diversificazione insufficiente del paese negli anni 60 -, degli eccessi - un certo dogmatismo negli anni 70 -, degli errori - si è troppo rapidamente considerato che il socialismo era “finito” che negli anni 80 tutte le spese erano permesse -; ma ci furono, soprattutto in questo processo di liberazione del popolo, delle costrizioni estremamente forti che hanno pesato sulla Rivoluzione cubana: il peso della storia, delle rigidità strutturali che hanno impedito l’uscita della specializzazione zuccheriera, la mancanza di risorse naturali, di obiettivi, di quadri... Ma più la più costrittiva di queste costrizioni è stata la guerra non dichiarata degli Stati Uniti.

9. Questa guerra non dichiarata prese delle forme molteplici. Dagli attentati terroristici condotti dalla CIA che agisce di concerto con gli esiliati cubani controrivoluzionari (attentati che fecero numerose vittime, particolarmente il 4 marzo 1960 all’epoca dell’esplosione della nave La Coubre nel porto de L’Avana). E anche delle aggressioni di tipo biologico mirate ad infestare le colture, il bestiame e la stessa popolazione, come l’epidemia dengue di febbre emorragica nel 1981 della quale è stato provato che il ceppo allora sconosciuto era stato elaborato in laboratorio negli Stati Uniti per essere propagato intenzionalmente a Cuba: 158 bambini cubani ne morirono (alcune organizzazioni anti-cubane hanno riconosciuto pubblicamente la partecipazione degli Stati Uniti a tale azione). Ci fu anche il tentativo di invasione militare della Baia dei Porci nel 1961, poi la crisi dei missili nel 1962 che fece pesare sul mondo un rischio di guerra nucleare tra gli Stati Uniti e l’URSS che difendeva Cuba; Fidel ha detto, a più riprese, che il debito nei riguardi dell’Unione Sovietica “non si cancellerà mai dal cuore dei cubani”. C’è soprattutto l’embargo (un vero e proprio blocco) da 45 anni che non è una finzione, ma una realtà dagli effetti terribilmente nefasti mantenuto nonostante rechi offesa all’integrità fisica di un popolo, un crimine contro l’umanità condannato da tutti, o quasi, i paesi membri dell’ONU. Questo blocco è stato indurito da Bush, facendo pesare una minaccia di guerra reale su Cuba. Un esempio di questa logica di guerra: il governo degli Stati Uniti accorda ad ogni cubano arrivato sul suo suolo, anche illegalmente, anche se ha commesso degli atti di violenza, la nazionalità statunitense - contrariamente alla sorte riservata agli altri stranieri -, ma questo stesso governo non rispetta gli accordi migratori firmati con Cuba sulla concessione di visti legali per entrare negli Stati Uniti; ciò che costituisce un incitamento all’immigrazione illegale, ivi compreso agli atti di violenza. Allo stesso tempo, il governo degli Stati Uniti ha dichiarato recentemente che l’arrivo di flussi migratori non controllati provenienti da Cuba rappresentava una minaccia contro la loro sicurezza nazionale e potrebbe giustificare una guerra: la guerra che cercano!

10. Si comprenderà forse adesso un po’ meglio perché il popolo cubano continua a resistere, fa vivere la sua rivoluzione, sostiene la sua sovranità ed i suoi leader rivoluzionari. I cubani hanno subito lo shock estremamente duro rappresentato dalla scomparsa dell’URSS e del COMECON. Scomparsa che ha fatto crollare le esportazioni e le importazioni di quasi l’80% ed il PIL del 35% in 3 anni. Scomparsa che li ha obbligati a mettere in opera un sistema di doppia circolazione monetaria, ma anche a cambiare i motori della crescita di questa economia, passando dello zucchero al turismo, all’investimento straniero, ecc... E questo, per preservare, costi quel che costi, la sua indipendenza nazionale e l’esperienza della Rivoluzione: la salute e l’istruzione pubblica, l’alimentazione a prezzi modici (libreta), i servizi pubblici, la ricerca scientifica, ma anche le missioni internazionaliste, in particolare quelle dei medici cubani che prestano la loro opera in numerosi paesi poveri, gratuitamente per i loro pazienti. La crisi degli anni ‘90, il periodo especial come si dice a Cuba, è stata molto dura, per tutti i cubani. Ma continuano a resistere. Da 1994-95, l’economia si è ripresa al punto che Cuba registra da 10 anni una delle più forti crescite del PIL di tutta l’America Latina. Sono stati individuati nuovi giacimenti petroliferi. La de-dollarizzazione è una realtà dal novembre 2004, ed ha ridotto le disuguaglianze osservate a partire dal 1990 - disuguaglianze che restano ma ancora oggi, Cuba resta, lungamente, il paese più egualitario dell’America, Stati Uniti compresi. Delle relazioni sono state stabilite col Venezuela, dove una rivoluzione popolare è già in marcia, con la quale Cuba ha appena firmato il trattato di ALBA, Alternativa Bolivariana per le Americhe ed i Caraibi, alternativa all’ALCA, zona di libero scambio delle Americhe, sponsorizzata dal presidente Bush; con la Cina, l’India, l’Africa meridionale, il Brasile, i grandi paesi del Sud, ma anche con la Russia. Ciò che bisogna sottolineare qui, è che i meccanismi di mercato hanno progredito di certo, ma non c’è stato ritorno al capitalismo - ed ancora meno ad un capitalismo neoliberista, mirato contro il popolo, come è stato per quei paesi detti “in transizione”. Non c’è che poca proprietà privata del capitale, pochi salariati privati, poco mercato finanziario. Cuba è rimasta socialista. Ed è per questo che non c’è laggiù, come in tutti gli altri paesi dell’America Latina, un solo bambino per strada, lasciato senza cure né educazione...

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note

* Prof. CNRS e Univ. La Sorbona Parigi.