I guasti della legge Bossi-Fini
Dopo il primo via libera al Senato, il 28 febbraio 2002, la Camera dei Deputati ha approvato definitivamente il 30 luglio 2002, con ulteriori aggravanti, la legge numero 189 sull’immigrazione, la famigerata Bossi-Fini, dal nome dei suoi promotori, che modifica pesantemente, inasprendola, la già contestata legge Turco-Napolitano del 1998. Una legge intollerante, perché tratta gli immigrati extracomunitari che chiedono di lavorare nel nostro Paese come persone non degne di godere degli stessi diritti e trattamento degli altri cittadini. Una legge xenofoba, perché basata su un’infame campagna allarmistica del centrodestra che dipinge falsamente il nostro Paese come sul punto di essere sommerso da “orde’’ di migranti, attizzando la paura e l’odio della popolazione contro gli extracomunitari, accusati di rubare il lavoro ai nostri giovani e di aumentare la delinquenza.
1. Un odioso principio schiavista
Questo carattere razzista che impregna da cima a fondo il provvedimento licenziato dalla Camera dei Deputati emerge fin dai primissimi articoli, dove si subordina la concessione e si minaccia la revisione dei programmi di cooperazione e di aiuto ai governi che non reprimono a sufficienza l’emigrazione clandestina verso il nostro Paese (art.1). Inoltre si attribuisce al Presidente del Consiglio la facoltà di stabilire con decreto le quote annuali di extracomunitari che possono entrare in Italia (art.3), si assegna alle nostre rappresentanze diplomatiche e consolari la insindacabile facoltà di rilascio dei permessi di soggiorno, non essendo tenute “per motivi di sicurezza’’ a motivare l’eventuale diniego (art.4). Il permesso di soggiorno dura nove mesi per i contratti di lavoro stagionali, dodici mesi per i contratti a tempo determinato e ventiquattro mesi per i contratti a tempo indeterminato. Per questi ultimi il rinnovo va chiesto novanta giorni prima della scadenza, sessanta giorni per i lavori a tempo determinato e trenta giorni in tutti gli altri casi (come vale attualmente per tutti i tipi di contratto). Senza il rinnovo si viene rispediti senza possibilità di appello al Paese di provenienza. Solo dopo sei anni di permanenza in Italia il lavoratore straniero può ottenere la carta di soggiorno, che non ha termini di scadenza. Pesanti le sanzioni, da uno a sei anni di reclusione, contro chi altera o falsifica permessi o documenti inerenti. Se si configura il reato di falso la reclusione va dai tre ai dieci anni, con pene aumentate per i pubblici ufficiali.
2. Il ricatto delle espulsioni
Con gli articoli 12 e 13 la nuova legge inasprisce il già barbaro meccanismo delle espulsioni amministrative: “l’espulsione - recita infatti la Bossi-Fini - è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato’’. In altre parole, prima ti espello, poi mi puoi intentare causa. L’autorità giudiziaria può negare il consenso all’espulsione solo in presenza di “inderogabili esigenze processuali’’, in relazione cioè all’accertamento di responsabilità di eventuali coimputati. In ogni caso, se l’ordine di sospensione non arriva entro quindici giorni si procede senz’altro all’espulsione. Lo straniero è quindi detenuto in un “centro di permanenza temporanea’’ (i famigerati lager per immigrati tristemente noti alle cronache, dove si vive in condizioni subumane e, come già successo, si può anche morire). In questi lager si può essere trattenuti fino a trenta giorni, prorogabili a sessanta. Lo stesso trattamento è riservato anche ai clandestini presi senza documenti, ma l’espulsione può essere disposta dal questore in qualsiasi momento con una semplice informativa al giudice. Anche chi viene trovato senza permesso o col permesso scaduto da più di sessanta giorni può essere espulso entro quindici giorni. Ma il questore può disporre l’accompagnamento immediato alla frontiera se ritiene che vi sia “pericolo di sottrazione all’esecuzione del provvedimento’’. Chi è stato espulso non può rientrare in Italia per dieci anni, e comunque per un periodo non inferiore a cinque. In caso contrario c’è l’arresto in flagranza, il rito direttissimo e il carcere da sei mesi a un anno, commutabile in nuova espulsione. Al secondo tentativo di rientro illegale scatta la detenzione da uno a quattro anni. Anche i ricongiungimenti familiari (art.22) sono resi più difficili di quanto già non lo siano stati con la Turco-Napolitano. Sembra anzi che gli estensori della legge ci abbiano messo del vero sadismo nell’escogitare norme che impediscono di fatto agli extracomunitari di ricrearsi una famiglia in Italia e integrarsi. Il lavoratore in regola, infatti, può chiedere il ricongiungimento con coniuge e figli minori, ma non con i figli maggiorenni, a meno che non siano incapaci di provvedere autonomamente al proprio sostentamento. Il che significa che devono avere “uno stato di salute che comporti invalidità totale’’. Impossibile anche chiamare con sé i genitori, se hanno altri figli nel paese di origine. Solo se sono ultrasessantacinquenni e se gli altri figli non li possono sostentare (sempre per i soliti “documentati e gravi motivi di salute’’), allora possono sperare di ricongiungersi con i figli emigrati in Italia. I minori non accompagnati possono ottenere il permesso di soggiorno al compimento del diciottesimo anno purché siano stati ammessi per almeno tre anni a un progetto di integrazione sociale, siano residenti in Italia da almeno quattro anni, abbiano una casa e frequentino corsi di studio, o lavorino o abbiano un contratto di lavoro anche senza aver ancora iniziato a lavorare.
3. Calpestato il diritto di asilo
Anche per il diritto di asilo (artt.32 e 33) la Bossi-Fini rappresenta un grave peggioramento della normativa attuale. Il richiedente asilo viene inviato ai “centri di identificazione’’, dove viene esaminato da una commissione territoriale. Se la domanda viene respinta scatta l’espulsione immediata, e neanche il ricorso al tribunale monocratico territoriale ne sospende l’esecuzione. Può essere fatta richiesta di sospensione solo al prefetto. Non c’è nessuna garanzia neanche sulla composizione delle commissioni, giacché sono istituite presso le prefetture, nominate dal ministero dell’Interno, presiedute da un commissario prefettizio e composte da personale della polizia di Stato, più un rappresentante della Conferenza Stato-città e autonomie locali. A garanzia del rifugiato dovrebbe bastare la partecipazione di un rappresentante dell’Acnur (Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati): un po’ poco, ci sembra, anche perché nell’improbabile caso di una spaccatura della commissione a metà il voto del presidente vale il doppio.
4. Sanatorie e contributi
Nella nuova legge, infine, non è prevista nessuna sanatoria generalizzata per i lavoratori clandestini. La sanatoria è stata inserita solo per le colf (una per famiglia) e per i “badanti’’, gli immigrati cioè che assistono anziani malati e infermi, questi senza limiti di numero. Un occhio di “riguardo’’ è stato concesso anche agli infermieri professionali, un’altra categoria che, come colf e “badanti’’, probabilmente fa comodo al centrodestra nell’ambito della politica familistica e di sussidiarietà. Da segnalare infine il cinismo con cui la Casa delle libertà ha “risolto’’ la questione del recupero dei contributi Inps versati dagli extracomunitari rimpatriati: li potranno recuperare, anche quelli con permanenza inferiore ai cinque anni (che per legge andrebbero perduti) ma solo al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Peccato per loro (e fortuna per l’erario italiano) che nei Paesi d’origine degli immigrati la durata media della vita sia di gran lunga più bassa.
Note
* Giornalista, ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-PROTEO.