Economia politica del periodo “Chavista”

JUAN PABLO MATEO TOME’

Gli inizi del processo rivoluzionario in Venezuela hanno risvegliato le speranze di milioni di poveri in tutto il continente, ma la rivoluzione si è fermata a metà percorso e questo non è possibile. Non si può fare mezza rivoluzione come nessuno può nascere a metà. Una Nascita che si ferma a metà percorso finisce in dolore, aborto e morte. È il momento di lasciare da parte tutte le illusioni. È il momento di guardare in faccia la realtà. È il momento di portare la rivoluzione venezuelana fino in fondo. Alan Woods (2005)

1. Spunti per l’analisi

Nelle seguenti righe tratto metodologicamente un breve ma intenso periodo di tempo segnato dal governo di Hugo Chavez in Venezuela con lo scopo di mostrare i suoi successi, debolezze e potenzialità. Oggi a 6 anni dalla presa di potere nel 1999, è possibile fare un bilancio di questa esperienza guardando alla situazione dell’economia politica. Difesa ferventemente da alcuni per il radicalismo delle sue trasformazioni e permanentemente sabotata in ragione del suo segno totalitario e per la sua manifesta incapacità di generare sviluppo economico1. A questa lettura spetta semplicemente il compito di iniziare un dibattito polemico con diversi filoni a cui si aggiungono le complessità di tanti altri fattori che aprono la porta alla demagogia. In effetti, come iniziare un’analisi di questo tipo? Come limitarla, come paragonarla spazialmente e temporalmente, per potere estrapolare certe conclusioni? In virtù di quali aspetti si può procedere ad una gerarchizzazione di elementi causali che ci permettano di esprimere validi giudizi? Sappiamo che non basta la mera descrizione delle variabili, pur essendo le più pertinenti, esse infatti acquisiscono una percezione di scadenza soltanto in un complesso sistema di rapporti reciproci, che vanno al di là dell’aspetto economico proprio per la sua radicalità. In questo senso, l’economia politica del periodo “chavista” la interpretiamo come un’analisi concentrata sull’economia ma con radici sociopolitiche vitali partendo da una “prospettiva classista” per cui (anche a causa dello spazio limitato), sarà prioritaria l’analisi qualitativa sulla nutrita statistica, fredda e suscettibile di manipolazione.

2. Considerazioni preliminari: contraddizioni del bilancio economico

A. La cronologia dell’evoluzione macroeconomica Per prima cosa effettuiamo un breve ripasso dei risultati macroeconomici del periodo per poter così successivamente introdurre certi apporti che consideriamo imprescindibili. In sintesi, possiamo caratterizzarlo per una profonda instabilità ed un comportamento ciclico. All’inizio, nel 1999, l’economia subì una profonda recessione con un importante crollo del PIL del 6,1% seguito da un periodo di crescita sostenuto da un costo del denaro in media del 3% (2,87 e 3,2). Nei successivi due anni, le debolezze intrinseche e l’insieme di una serie di fattori esogeni portarono ad una repentina crisi. Il crollo delle attività private si aggirò intorno al 9% nel 2002 e 2003, sebbene nella seconda metà di quest’ultimo anno inizi una ripresa economica che porta ad una sorprendente crescita nel 2004 del 17,3%. Risulta importante segnalare che i momenti di crisi sono accompagnati da un incremento dei livelli di disoccupazione, crescita delle attività sommerse, contrazione degli stipendi, aumenti dei livelli di povertà ecc. Segni tutti tipici di economie capitaliste non sviluppate e non esclusive del solo Venezuela. Un aspetto a cui dobbiamo riferirci è l’evoluzione della formazione del capitale lordo. Questa è una componente fondamentale per lo sviluppo delle forze produttive e per porre le basi della crescita futura e con essa il reddito della maggioranza della popolazione. Negli anni della recessione, il suo livello in termini reali è in gran parte crollato: da un 16,4% nel 1999, fino al 22% e 38,9% rispettivamente nel 2002/2003 mentre il recupero nello stesso periodo è stato molto timido e insignificante (1,1%) con una spinta ulteriore del 13,6% nel 20012. La gravità della situazione si intuisce osservando che il livello assoluto reale nel 2003 è appena un po’ di più della metà di quello che esisteva nel 1995 e riguardo al 1998 si colloca al 45%. Sebbene questo fenomeno non sia una novità, non desta preoccupazione e permette di indovinare certe tendenze che implicitamente riflette: l’aggravamento della dipendenza dall’attività esportatrice del greggio, esuberi e sperperi delle eccedenze ottenute dalle risorse naturali delle quali pian piano si sta impadronendo il Venezuela, così come mal ricolloca le prospettive future per una integrazione verticale della economia. Questa è la vera scommessa economica del Venezuela. Per ciò che riguarda gli scambi esterni, c’è continuità nella riproduzione di squilibri storici a cui si aggiungono i meccanismi compensatori corrispondenti: i) nei momenti di espansione più della metà dell’incremento della domanda aggiunta interna è stata soddisfatta con le importazioni, che aumentano di quattro volte il livello di crescita del PIL, perciò la forte spinta della domanda ha ricadute favorevoli soprattutto sulle economie esterne che non sul proprio PIL. Mentre le esportazioni calano di uno 0,9% dovuto fondamentalmente all’evoluzione sfavorevole della vendita del petrolio, dovendo far fronte ancora all’apprezzamento del tipo di cambio reale (dipendenza dal petrolio, malattia olandese); ii) seguendo ancora la peculiare dinamica d’accumulazione, nelle fasce discendenti del ciclo, la straordinaria diminuzione delle importazioni che accompagna la crisi è quasi del 30% del PIL e aiuta ad ottenere un surplus della bilancia di conto corrente per il valore di 7.711 milioni di dollari (7,4% del PIL), con il deficit del conto capitale e finanziario che si avvicina ai 9 miliardi di dollari. Come conseguenza, non raggiungendo i livelli attesi, l’inflazione è aumentata sorpassando leggermente il 30%. Il contenimento dell’inflazione è stato uno dei successi per quanto riguarda le variabili macroeconomiche3. Con la crisi economica del febbraio del 2002, è entrato in vigore il sistema di libero scambio. La conseguenza è stata un deprezzamento altalenante del bolivar dell’85%, con lo scopo d’incrementare le riserve internazionali della BCV e i redditi da petrolio e anche correggere la storica tendenza alla sopravvalutazione del tipo di cambio con implicazioni inflazionarie e crescite nei tassi d’interesse4. Il governo dunque, è stato costretto a implementare un piano d’adeguamento in ambito fiscale, sociale e produttivo. Le ripercussioni hanno inciso negativamente sulla domanda aggiunta e sui progetti sociali, soprattutto quando una parte sostanziale di un budget già scarso è stato destinato al pagamento degli interessi da debito pubblico interno ed esterno (ai quali ancora non si rinuncia), sebbene nell’ultimo biennio i risultati siano stati nettamente favorevoli.

B. Il Bilancio sociale: povertà e distribuzione del reddito Uno dei dibattiti più intensi fra chavisti e oppositori si è centrato sull’evoluzione della distribuzione del reddito e la povertà5. Entrambe le parti producono cifre che suffragano le rispettive posizioni di parte. Due aspetti si devono tenere in conto in qualsiasi analisi sugli standard di vita. Al primo posto il reddito in natura che lo Stato ha distribuito nell’ambito delle politiche di protezione dei meno abbienti, come l’accesso alla sanità pubblica e all’alimentazione garantita6. Cosi Magallanes (2005: 86) constata che fra il 1995 e il 2002 “Si percepisce un miglioramento degli indicatori di povertà più usati, come la percentuale delle famiglie in situazione di povertà, la distanza fra il reddito medio delle famiglie povere ed il costo del paniere di beni e servizi, o l’intensità della povertà (che riguarda l’estrema povertà) e che comprende la distribuzione del reddito all’interno dei gruppi più poveri”. D’altronde, metodologicamente, si deve tenere in conto che gran parte dell’incremento della povertà è accaduto fra il primo trimestre del 2002 ed il primo del 2003. Vedremo in seguito ciò che si nascondeva dietro questo risultato così sfavorevole e la presupposta legittimità che certi settori dell’opposizione possono cogliere per utilizzarla come argomento di contenzioso.

3. Elementi per l’analisi (ovvero ciò che è dietro le cifre) Di seguito enumereremo una serie di fattori divisi in tre classi che non si possono evitare per dare un giudizio sul governo bolivariano: i) fattori storici ereditati dal passato; ii) fattori esterni rispetto alle dinamiche interne del paese; iii) fattori interni, in particolare il conflitto di classe attualmente in essere. Quando nel 1998 il Polo Patriottico di Hugo Chavez vince le elezioni si trova di fronte un paese in fallimento, precipitato in una profonda crisi sociale, politica ed economica. I meccanismi che sostenevano il sistema di alternanza, dopo l’accordo di Punto Fijo, svaniscono con il fallimento dei partiti tradizionali COPEI e AD7. Al loro posto sorge la volontà di cambiamento promossa dal Movimento V Repubblica, con l’impegno di una trasformazione per via democratica sotto la bandiera dell’opposizione al neoliberismo8. Fra i fattori esterni dobbiamo segnalare un contesto un po’ scoraggiante. Agli inizi del periodo la recessione si estende a diverse economie latinoamericane, in particolare la crisi finanziaria del Brasile e, per suoi legami economici, la discesa del 4,5% del PIL nella vicina Colombia, dove il deprezzamento della moneta pregiudica la stabilità di cambio del bolivar9. Per quanto concerne i fattori interni, quelli più negativi e influenti per il Venezuela sono stati il tentato golpe dell’aprile del 2002 ed il blocco del settore petrolifero che ha paralizzato l’industria principale del paese fra il dicembre dello stesso anno e il febbraio del 2003 (eventi non casuali scatenati per deviare le prospettive di classe). Nel novembre del 2001 il governo, in ragione delle facoltà straordinarie garantite dall’Assemblea Nazionale, dà il via all’approvazione del Decreto Legge su terre, idrocarburi e pesca, iniziando timidamente con la regolarizzazione dell’attività privata in settori economici giudicati chiave per la nazione. Successivamente si sono prodotti una serie di eventi, compreso lo sciopero generale del 10 dicembre del 2001 che è sfociato nel golpe dell’11 aprile 200210 e che ha portato con sé la paralisi delle attività petrolifere e quindi il crollo della produzione di marzo al 19,8% secondo la CEPAL (2003). Pochi mesi dopo, il 2 dicembre, è iniziato il blocco-sabotaggio petrolifero “che ha portato a invocare la causa di forza maggiore dinnanzi a suoi clienti internazionali, per l’improvviso crollo della produzione, del 67,1% rispetto al mese di novembre dello stesso anno (BCV: 2003), che in termini annuali ha raggiunto il 15,7%. Secondo fonti ufficiali, il costo finanziario del blocco raggiunge i 10 miliardi di dollari (Magallanes, 2005:92). Dobbiamo aggiungere che mentre il Venezuela soffriva il blocco nella produzione del greggio, il prezzo ha registrato il suo maggiore innalzamento a dicembre, raggiungendo i 28,61 dollari a barile. Quel che è grave dunque è stato che invece di guadagnare si perdeva in termini assoluti. Nel 2002, il Venezuela ha subito un’importante fuga di capitali, stimata dal CEPAL in 12 miliardi di dollari che ha creato un disavanzo di Bilancio di Conto Corrente11 e durante il primo trimestre del 2003 il prodotto petrolifero è crollato del 47,3% mentre il PIL totale del 27,8% (CEPAL, 2004). Le conseguenze economiche, insieme ai noti squilibri macroeconomici (disoccupazione, inflazione ecc.), si sono riflesse nel fallimento delle imprese che, al contrario di quel che è stato detto dall’opposizione, ha interessato parte della base sociale piccolo borghese ed imprenditoriale, pregiudicando le conseguenze delle manifestazioni future.

4. Questioni relative all’attività petrolifera Nel settore petrolifero si colloca la principale via di raggiungimento del plusvalore, che condiziona lo svolgimento delle restanti sfere interne e l’interesse delle potenze capitalistiche dominanti consumatrici del greggio, perciò si erge al centro delle lotte di classe e, pertanto, come elemento di riflessione per la particolare caratterizzazione della politica economica. Resta da segnalare, en passant, che le principali trasformazioni di fondo nell’ambito economico, si circoscrivono all’attività petrolifera ed al ciclo interno delle sue entrate vale a dire nelle modalità di ottenimento delle entrate e successiva spesa delle rendite. Prima del arrivo di Chavez, il Venezuela era, rispetto all’OPEC, il paese che superava maggiormente le quote di produzione di petrolio, mentre l’impresa PDVSA evolveva verso uno status di mera agenzia di gare d’appalto. Inoltre era ostaggio delle multinazionali petrolifere, del FMI e della Banca Mondiale, e quindi sempre meno dipendente dal controllo dello Stato. Per effetto del piano di adeguamento iniziato nel 1989, la “politica petrolifera di apertura” inizia il percorso verso la riprivatizzazione dell’industria, e con questo verso la minimizzazione del reddito fiscale petrolifero (vedi Mateo, 2004). Il collasso dei prezzi nel 1998 è stato un esempio dei rischi che comportano le azioni della PDVSA12. Il trionfo di Chavez ha rafforzato l’OPEC e le sue quote di produzione con la prospettiva di dilatare le eccedenze interne, per questo si approvò la Legge sugli Idrocarburi che dà priorità agli utili rispetto alle tasse sui benefici modellando quindi il fondamento della strategia della politica economica. Per ciò che si riferisce ai modi d’utilizzo di questo flusso, si deve riconoscere che per la prima volta, oltre all’istruzione, si è guardato alla sanità generale, con riguardo ai gruppi più svantaggiati della società, come un sincero obiettivo della politica economica. Malgrado la carenza di trasformazioni, esse dimostrano comunque una giusta direzione. L’instabilità prodotta risponde alla tradizionale dipendenza venezuelana che trascende l’attuale congiuntura, tale che si è vista pregiudicata da eventi perturbatori che hanno risposto alla volontà di determinati settori e non sono pertanto imputabili alla politica economica13. Tuttavia, la carenza di trasformazioni radicali nelle relazioni produttive colloca queste azioni in un posto subordinato rispetto alla possibilità che la crescita economica produca fondi per le casse pubbliche ed il pagamento previo del debito estero. Quanto esposto non deve farci dimenticare che, sotto l’economia capitalista, il risultato di una crescita economica passa “contraddittoriamente”, prima o poi, per un’offensiva di fronte alle differenti istanze delle relazioni salariali (remunerazioni assolute, indirette, condizioni di lavoro, diritti lavorativi, pensioni, etc.) e sarà questa sfida quella che né questo governo né la rendita petrolifera potranno posticipare indefinitamente.

5. Riflessioni finali Quanto sostenuto non ha la pretesa di un giudizio completo su un processo tanto ampio, contraddittorio e complesso come l’esperienza del Venezuela Bolivariano, piuttosto vuol contribuire a collocare nei giusti termini le questioni in discussione. La prospettiva critica con la quale si è analizzato il divenire macroeconomico di questo Paese non implica una valutazione simile in altri campi. Il senso delle affermazioni non deve nascondere che risponde ad un processo dinamico, incompiuto, risultante di una molteplicità di forze contrapposte che talvolta fanno trabordare la politica economica per terreni discutibili o comunque non permettono che il processo avanzi per la strada desiderata. Quello che cominciò come un movimento tipicamente populista, oggigiorno pone nuove questioni, almeno in certi proclami, sulla identità capitalista e sono sempre di più le voci che incominciano a parlare della costruzione del socialismo, tenendo a modello i principi della Rivoluzione cubana. Si riconosce nelle istanze governative che la sfera economica non è stata oggetto di trasformazioni sottolineabili, le stesse hanno preso il via dalle istanze giuridico-politiche14. Conseguentemente, non esistono, senza alcun dubbio, prove che la crisi si vincoli alle politiche economiche decise in maggiore misura prima del 1999, cioè, non si può addossare una responsabilità addizionale agli attuali responsabili economici nelle difficoltà descritte proprio per il continuismo mostrato con i precedenti, per cu va denunciata l’ipocrisia quando questo discorso falso viene dalla cosiddetta opposizione “democratica” della Confindustria, del clero e della burocrazia corporativa. Lo testimonia l’anno 2002. Aldilà della radicalità dell’oratoria rivoluzionaria, obiettivamente ed a dispetto della verbosità critica dell’opposizione, i fondamenti essenziali di politica economica si sostengono principalmente in una via riformista della presenza regolatoria e riformatrice del settore pubblico opposta alla deriva dell’accomodamento neoliberista, ma che non interferisce, ancora, con il primato del ruolo dell’iniziativa privata nell’accumulazione di capitale. È un fatto che la politica economica ha mostrato in larga misura tinte continuiste, ma sono molte le precisazioni da fare al riguardo. Inoltre non si deve ignorare che una virata nella strategia macroeconomica c’è stata, nonostante sia ancora insufficiente, relativa al miglioramento e ad una nuova distribuzione del reddito dell’industria petrolifera. Si è evidenziato che, nel caso della politica industriale petrolifera vincolata all’OPEC e l’estensione della spesa sociale che ne deriva, si è sulla strada giusta. L’instabilità prodotta risponde alla tradizionale dipendenza venezuelana che trascende l’attuale congiuntura, e se si è aggravata per eventi perturbatori aggiuntivi ciò ha risposto alla volontà di determinati settori e non è attribuibile pertanto alla politica economica. La possibilità di evitare la fuga dei capitali dell’industria petrolifera si è costruita con un meccanismo che ha facilitato il coniugare il predetto continuismo con la vocazione di legittimarsi dei settori sociali più svantaggiati. Il problema resta la percorribilità della strada delle trasformazioni progressiste che poggia su una base precaria, l’entrata petrolifera, che sebbene può posporre temporalmente la scelta di una via capitalista o socialista, non l’elimina e perfino in una congiuntura sfavorevole può accelerare le contraddizioni sociali e così il corso degli avvenimenti. In definitiva, il bilancio economico del periodo recente non è particolarmente brillante, ma è stato necessario approfondirne le sfumature, senza le quali, crediamo, non si può comprendere nel suo vero aspetto l’economia politica del periodo “chavista”, specie in questi tumultuosi anni.

Bibliografia Alvarado, Neritza (2003). “La atención a la pobreza en Venezuela, del “Gran Viraje” a la “V República, 1989-2002”, Revista Venezolana de Análisis de Coyuntura, nº 2, vol. IX, (jul-dic), pp. 111-150. Banco Central de Venezuela (varios años): Informe Económico. Caracas [BCV]. Boué, J. C. (2.002), “El programa de internacionalización de PDVSA ¿triunfo estratégico o desastre fiscal?, Revista Venezolana de Economía y Ciencias Sociales, nº 2, vol. VIII, may-ago, pp. 237-282. Comisión Económica para América Latina y el Caribe (varios años): Estudio Económico de América Latina y el Caribe. Santiago de Chile [CEPAL]. Harnecker, Marta (2.002): Hugo Chávez Frías. Un hombre, un pueblo. Hirugarren Prensa, San Sebastián. Magallanes, Rodolfo (2005). “La igualdad en la República Bolivariana de Venezuela (1999-2004)”, Revista Venezolana de Economía y Ciencias Sociales, nº 2, vol. XI (mayo-ago), pp. 71-99. Mateo, Juan Pablo (2.004). “Las claves económicas del proceso bolivariano”, Filosofía, Política y Economía en el Laberinto (Universidad de Málaga), nº 16, dic., pp. 65-81. Mommer, Bernard (1.999), “Venezuela, política y petróleos” en Valecillos, H. & Bello, O. (1.999), La economía contemporánea de Venezuela (tomo V), pp. 141-191. Banco Central de Venezuela, Caracas. (2.003). “Petróleo subversivo”, Soberanía.info, ed. digital, 8 de enero. Munckton, Stuart (2005) “Venezuela: The Fight Against Poverty”, Green Left Weekly (http://www.greenleft.org.au/), 4 de Julio. Parker, Dick (2003). “¿Representa Chávez una alternativa al neoliberalismo?”, Revista Venezolana de Economía y Ciencias Sociales, nº 3, vol. IX (may-ago), pp. 83-110. Ríos, Víctor (2004). “Apuntes sobre el papel de las Misiones en la política social en la Venezuela Bolivariana, Filosofía, Política y Economía en el Laberinto (Universidad de Málaga), nº 16, dic., pp. 57-64. Riutort, Matías (2002): La pobreza en el trienio 1999-2001 (mimeo). Universidad Católica Andrés Bello, Caracas. Weisbrot, Mark (2005). “A Note on Venezuela’s Economic Performance”, Venezuelanalysis.com. Venezuelan Views, News and Analysis (http://www.venezuelanalysis.com), 27 de mayo. Woods, Alan (2005): La revolución bolivariana. Un análisis marxista. Fundación Federico Engels, Madrid.

Note

* Dipartimento di Economia Applicata I Universidad Complutense de Madrid.

1 Per esempio un giornale importante come il Washington Post (24.4.2005) dava a Chavez la responsabilità del fallimento economico (citato in Weisbrot, 2005);

2 Dovendo tener conto che l’investimento si concentrò fondamentalmente nel porre in essere opere contrattate dalla PDVSA, sviluppi residenziali portati a termine dal governo e piani d’investimento che, come nel caso delle telecomunicazioni, sono stati previsti e realizzati (i dati esposti sono, fino a prova contraria, rintracciabili sulle Relazioni Economiche del BCV).

3 Si è preteso ottenere risultati mediante una politica di cambio basata sul sistema di oscillazione in bande. Vigente già dal 1996, fu prolungata fino al 2002 mantenendo l’ampiezza della banda in +/- 7,5% ed un tasso di accomodamento mensile alla parità centrale dell’ 1,28%. Si presumeva, erroneamente, che l’ancoraggio cambiario avrebbe abbattuto i tentativi speculativi o le svalutazioni e permesso la discesa dei tassi di interesse e con essi l’impulso all’investimento.

4 Questa forte svalutazione del bolivar è, a nostro giudizio, sintomo di un certo (e parziale) fallimento economico con sottolineabili ripercussioni per il livello di vita dei lavoratori e che frena le importazioni dei cosiddetti beni di capitale e di consumo dalle quali il Venezuela è eccessivamente dipendente. In virtù di una potenziale partecipazione maggiore dello Stato, avrebbe potuto frenare le insufficienze denunciate durante il cambio, importazioni messe in atto sotto la tipica forma della cosiddetta estroversione dell’eccedenza, ma contemporaneamente evidenzia attualmente le potenzialità trasformatrici esistenti.

5 Al riguardo Alvarado (2003: 137) commenta la vera “battaglia campale” tra l’organismo statale OCEI e la CENDA, con cifre dissimili sulla grandezza della povertà, la precarietà o la disoccupazione, il che ostacola l’acquisizione di una corretta opinione sull’argomento. Mentre l’opposizione allude al famoso studio di Riutort (2002) che sostiene il deterioramento degli indicatori sociali negli ultimi anni, Magallanes (2005: 87) lo critica per le gravi deficienze metodologiche e le contraddizioni che sviano il senso delle conclusioni da trarre.

6 Il quale, secondo Weisbrot (2005) è ignorato da alcuni, come A. Oppenheimer sul Miami Herald (31.3 e 7.4.2005) o sul Monitor Editorial (“Latin Oil Romance”, 24.5.2005), che enfatizzano il fallimento dell’Esecutivo Bolivariano.

7 I partiti democratico-cristiano e socialdemocratico, rispettivamente, parte integrante e distinta dell’oppositrice Coordinadora “Democratica” di imprenditori, burocrati sindacali e cattolici.

8 Questa bandiera non è esclusiva, dato che dal 1989 tutti i candidati che hanno vinto le elezioni hanno ottenuto la vittoria con questo tipo di proclami ma rappresenta una novità in quanto a forza e vocazione decisionale della base sociale che lo sostiene. I tentativi neoliberisti sotto l’egida fondomonetarista, come “El Gran Viraje” del 1989 ed il suo corollario di crisi finanziaria nel ’94, o la “Agenda Venezuela” del 1996, portarono il paese al fallimento. Nonostante che agli inizi del 1999 Chavez si imbatta in una precaria situazione del bilancio preventivo che obbligò a portare a termine un piano di accomodamento fiscale.

9 Tutto ciò favorisce la restrizione dei flussi di commercio interregionali (crollo del 41,2% delle esportazioni verso i partner commerciali sudamericani come Ecuador, Colombia e Brasile) ed il rialzo del tasso di rischio della regione al quale va sommato il rialzo dei tassi di interesse negli USA che pregiudica l’accesso di capitale nei mercati internazionali (si veda BCV, 2000).

10 Osserviamo il nesso notando che una delle prime misure prese dal governo dell’imprenditore di Federcamere, Carmona, fu la deroga mediante decreto di tutte le leggi approvate con la Legge “Habilitante” del 2001. Un’altra delle poche decisioni del governo golpista fu curiosamente quella di porre alla guida della PDVSA il generale Guacaipuro Lameda, precedentemente rimosso da questo incarico per la sua pubblica opposizione alla Legge sugli idrocarburi. Segnaliamo che, a dispetto di talune insufficienze, questa legge poneva un freno alle tendenze privatizzatici cercando di massimizzare le rendite dell’industria petroliera.

11 La CEPAL calcola questa uscita di capitali come la somma dei Conti Finanziari e degli “Errori ed Omissioni”. Per il triennio 2000/2002 assicura che ammontarono a 26mila milioni di dollari (ibid. 2004) a maggiore beneficio dei settori della borghesia che appoggiano le forze reazionarie dell’opposizione.

12 Il suo obiettivo esplicito era finire con l’impronta politico-istituzionale imperante e procedere alla privatizzazione. Questa pratica risponde alla massimizzazione della sua produzione, come al trasferimento nascosto di risorse economiche verso le sue filiali, in assonanza con la pratica che difende l’Associazione Internazionale dell’Energia (AIE). Si vedano al riguardo soprattutto Mommer (1999, 2003), Boué (2002) e un riassunto in Parker (2003).

13 Nonostante tratti continuisti, deve riconoscersi l’importanza delle missioni nella politica sociale (si veda Rios, 2004). Al riguardo, citiamo un’inchiesta realizzata nel febbraio del 2005 da Datanalysis, compagnia contigua agli oppositori di Chavez. Il risultato, sorprendente, indicò un appoggio popolare al governo del 70,5%, superiore alla percentuale (60%) ottenuta nel referendum di agosto del 2004. la ragione era motivata dal fatto che il 73% della popolazione aveva tratto beneficio dalle missioni sociali (Mukton, 2005). Finalmente, l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale della Legge di Previdenza Sociale dà il via ad una vera rottura con la politica di accomodamento economico precedente.

14 Chavez lo commenta in Harnecker (2002) e si difende affermando che le trasformazioni socioeconomiche richiedono cambiamenti importanti nell’apparato politico-istituzionale.