1. La complessità di classe
La principale attività del capitalismo oggi è quella di nascondere la sua nascita europea e colonialista - le Crociate Cristiane che rompono le nazioni e provocano genocidi, le “scoperte” Colombiane, le conquiste e lo schiavismo - e di conseguenza la sua attuale natura coloniale ed imperialista. Ora, con questa mentalità, cerchiamo di aprire e, orrore di orrori, proviamo a dare un senso a questo mucchio di parole che è “la Situazione Internazionale”. Prima di tutto mettiamo in chiaro che cosa intendiamo per classe e lotte di classe, in quanto tutto questo esiste in realtà e non nell’immaginario eurocentrico. La borghesia è una parolaccia per la sinistra europea. In realtà la classe capitalista borghese è piuttosto complessa. Esiste la borghesia imperialista del “Primo Mondo” (W1), che è unita contro i popoli del “Terzo Mondo” (W3) ed è divisa in tanti fronti in USA, nell’Unione Europea (UE) e in Giappone. Questa borghesia del W1 in alcuni casi usa, ed a volte invece crea, le guerre guidate dalle borghesie del W3, come accadde in India e come avviene oggi in Iraq ed in Iran. La classe operaia è ugualmente complessa. Ci sono degli operai del W1, chiamati “proletariato borghese” da Marx e Lenin (in apparenza una categoria molto marxista), che partecipano alla divisione dei super-profitti ottenuti dallo sfruttamento di classe imperialista degli operai di Asia, Africa, ex Unione Sovietica ed Europa orientale. In “America Latina” (cioè nell’America colonizzata dagli europei), in Israele ed in Sud Africa, esiste invece una multi-classe di coloni che sono i mediatori sociali e politici senza quali probabilmente il W1 non potrebbe sfruttare le classi operaie ed i contadini del W3. Questi coloni sono l’avanguardia imperialista del razzismo. La complessità della cosiddetta (principalmente da pseudo-marxisti eurocentrici) “classe operaia internazionale” include principalmente il proletariato ed i contadini ancora coloniali. Questa classe si leva nelle lotte nazionali anti-imperialiste ed anti-coloniali che sono non solo anti-razziste, ma, come in Bolivia, Ecuador e Venezuela dal 1990, sono lotte armate contro governi di coloni che agiscono principalmente negli interessi dell’esercito statunitense e di investitori americani. La lotta palestinese contro lo Stato razzista ebreo ed i coloni appartiene alla stessa categoria contemporanea della lotta di classe internazionale.
2. La guerra al “Terrore”
Il secolo XXI - il sesto secolo capitalista dai tempi di Enrico il Navigatore e Colombo - è cominciato da quando Fukuyama ha dichiarato “la fine della storia”, cioè il proseguimento perenne del capitalismo, vittorioso sul comunismo e sulle lotte antimperialiste. Le controrivoluzioni imposte da USA e UE che hanno eliminato la Yugoslavia, il “socialismo reale” in Europa dell’est e l’URSS stessa nel 1989-93, che sono stati subito seguiti dalla conquista dell’Afghanistan e dell’Iraq nel 2002-2005, e dalla “guerra al terrore” degli USA appoggiata dalla UE, dopo che Al Qaida ha buttato giù le due torri a New York, sembravano confermare l’ipotesi della “fine della storia”. Tale ipotesi potrebbe veramente essere vera, ma nel senso opposto a quello inteso dagli autori. L’imperialismo potrebbe stare combattendo le sue ultime battaglie. Se così fosse, ed il blocco UE-USA-Giappone con le loro NATO e Banca Mondiale (WB) fallisse in questa guerra contro le nazioni del W3 ed il mondo in generale, allora staremmo veramente vedendo la fine del capitalismo colonialista. Ma c’è un grande SE, e questo SE è l’ultima speranza dell’imperialismo: cioè che le nazioni e classi del W3 non riescano ad ottenere la vittoria nella guerra politica, economica e militare contro l’imperialismo. Ciò a sua volta dipende da: (1) finirla una volta per tutte con le divisioni nazionali; (2) capire che non vi è una via nazionale alla liberazione né al socialismo (come dalla dichiarazione del Marzo 2005 di Castro e Chavez a L’Avana, che andrebbe letta come parte del presente articolo)1. La guerra al terrore portata dagli USA ed appoggiata dalla NATO e dalla UE sta lentamente andando a pezzi in Afghanistan. Tale resistenza ancora soffre per la collaborazione di Osama Bin Laden con gli USA nella sua guerra per cacciare l’armata rossa da Kabul. Similmente la grande resistenza in Iraq ha ferite che risalgono alla collaborazione di Saddam Hussein con gli USA, la Gran Bretagna e la CEE quando hanno armato l’Iraq in una guerra durata dieci anni contro l’Iran dopo la rivoluzione anti-Shah del 1979.
3. Non collaborazione come antimperialismo armato La guerra americano-britannico-italiana (ed ora anche polacca e di alcuni Stati del Terzo mondo) al terrore in Iraq ha ucciso direttamente più di 150.000 iracheni, ma l’Iraq ha fatto diventare body-bags più di 1.500 invasori USA dalla “fine della guerra”. Il terrorismo imperialista ha portato caos sociale, economico e politico che ci vorranno alcuni decenni per rimettere a posto. Ma questa guerra al terrore sta fallendo sotto i colpi sanguinosi quotidiani della Resistenza come macchina di non collaborazione, che con i kamikaze sta attaccando la polizia, i soldati e gli amministratori dell’occupazione straniera e boicottando le “elezioni” del Gennaio 2005 (ufficialmente 7 milioni di votanti - metà dei quali curdi, e senza sunniti - dei 32 milioni possibili)
4. Non-collaborazione e socialismo
Nel Febbraio e Marzo 2005 il settimanale americano “Newsweek” ha riportato con chiara evidenza la sconfitta politica della guerra al terrore americo-britannico-italiana da parte della resistenza che ha unito Zarqawi, il luogotenente di Bin Laden, il “triangolo sunnita”, il partita Baath pro-Saddam e reclute saudite ed arabe in genere. La reputazione di Saddam rimane alta alla vigilia del suo processo stile fascista da parte dei criminali collaboratori pro-USA. Quanto a noi, proprio come Trotzky difese il tiranno Haile Sellasie contro il dittatore imperialista Mussolini nell’invasione italiana del 1935-1940, così noi abbiamo difeso Saddam Hussein contro il democratico e socialista Tony Blair, ed il suo capo super-terrorista Bush jr. Né era per noi un caso di “male minore”, ma un principio generale: (1) la guerra antimperialista condotta dalle classi operaie ancora coloniali è la sola strada al socialismo (2) la prima e principale cosa per la rivoluzione sociale e degli Stati socialisti è lo smantellamento e distruzione di tutte le strutture e relazioni imperialiste. (3) Come ha spiegato Fidel Castro in un discorso di 6 ore alla International Conference of Economists in Habana il 10 -11 Febbraio, questo principio non può essere applicato da una sola nazione, ma richiede sforzi unitari su tutti i piani di azione fattibili, di tutti gli Stati che hanno già fatto una rivoluzione nazionale o sono preparati a farla2. Castro ritiene che la presente unità di azione tra Cuba e Venezuela contro il blocco imperialistico USA è necessaria perché non vi è via nazionale al socialismo.
5. La lotta di classe in Iraq, Palestina ed altrove La resistenza irachena sta facendo lotta di classe. Similmente, la lotta palestinese per la distruzione dello stato di Israele e per il diritto al ritorno è una lotta di classe. Per quanto populista sia la lotta (per es. le azioni di kamikaze della classe media) queste sono lotte di classe perché sono dirette contro uno stato o potere di classe capitalista e coloniale straniero. Ai nostri tempi ogni lotta di liberazione nazionale del terzo mondo contro l’imperialismo è una lotta di classe di significato storico se conduce ad una sconfitta di un potere o stato del primo mondo. La maggior parte delle lotte di classe economiche nei paesi imperialisti non hanno la stessa rilevanza storica. Tuttavia, se si uniscono alla lotta di classe anti-imperialista, allora tali lotte di classe possono divenire storiche. Questo è proprio quello che è avvenuto con le lotte di classe contro lo zarismo, dal 1905 alla grande vittoria del 1917.
6. Le elezioni “Divide et Impera” in Zimbabwe In tutti i paesi del “Terzo mondo” (W3) l’imperialismo finanzia ed arma un “partito di opposizione” al regime ufficiale (che a sua volta è usato o abusato dalle stesse potenze imperialiste per giocare un criminale gioco di “divide et impera”). Tale è stata la politica Britannica in Nigeria-Biafra negli anni ‘60. Oggi questa è la politica britannica in Zimbabwe, ove la semi-borghesia semi-tribale di Mugabe ha gestito per 25 anni lo sfruttamento dei lavoratori e dei contadini dello Zimbabwe da parte di imprese britanniche e coloni e da parte di imprese del Sud Africa “bianco” e razzista. È perciò in tono il fatto che dal 1994 questo regime abbia fatto una alleanza con il regime del Sud Africa guidato dall’ANC che, gonfiato economicamente dalla debole frode del “Black empowerment” (“potere ai neri”), è completamente sottomesso al vero potere economico del Sud Africa: quello degli investitori stranieri britannici, dell’UE e degli USA, e dei coloni bianchi. I partiti di opposizione di cui si parla in Zimbabwe sono il Movement for Democratic Change (MDC) e gli “indipendenti” guidati da Jonathan Moyo, che è uscito dal ZANU-PF. Questi partiti sono per loro stessa ammissione collaboratori del capitale e dei coloni britannici e sudafricani. L’MDC fu formato e finanziato da coloni razzisti meritatamente e giustamente espropriati da Mugabe. Nel periodo che ha condotto alle elezioni del 31 Marzo 2005 l’MDC e la cricca “indipendente” hanno fatto vuota eco alla propaganda freneticamente imperialista della stampa britannica e Sud africana che le elezioni sarebbero state “truccate” e violente. Di fatto nessuna delle due possibilità si è verificata, e lo ZANU-PF ha vinto una facile e schiacciante maggioranza di 2/3 dei voti. La massa di chi vive in campagna e più di 1/3 delle popolazioni urbane ha appoggiato Mugabe, malgrado la massiccia propaganda dei coloni ed estera. L’ironia è che la crisi socio-economica (una caduta del 35% del PIL, una inflazione al 500%, il collasso del sistema sanitario ed il quasi collasso di quello scolastico, le croniche carenze di mais ed altri prodotti agricoli, ecc.) è stata causata dalla rivolta economica e politica dei 4500 coloni razzisti “rhodesiani”, e non dalla redistribuzione, per quanto inadeguata e di piccola scala, della terra a partire dal 2000. I contadini non hanno dimenticato che questa terra era stata rubata da quando Rhodes sconfisse brutalmente Lobengula e conquistò il paese Ndabele e Shona nell’ultimo decennio del secolo XIX. Se l’imperialismo ci provasse seriamente, un terribilmente sfortunato Zimbabwe ripeterebbe la recente sfortunata storia di Sierra Leone, Costa d’Avorio, Sudan e Congo. In quel caso l’ “opposizione”, una volta al potere, proverebbe che il quarto di secolo gestito da Mugabe è stato solo una lunga gita scolastica.
7. Sudan People Liberation Movement: secessione o liberazione? Metà del mondo sta venendo imbrogliata dalla propaganda condotta dai britannici sui 2 milioni uccisi in Darfur e dalla dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che il regime di Khartoum ospita dei “criminali di guerra” che dovrebbero essere portati alla “Corte di Giustizia” de L’Aia (dove il patriota Yugoslavo Milosevic e non i fascisti croati e bosniaci si trovano accusati di fronte ad una falsa “corte”), mentre il Sudan Peoples Liberation movement (SPLM) viene proclamato come liberatore dalla nuova “guerra etnica”. Nel 1965 ho incontrato i fondatori del SPLM a Nairobi. Li ho trovati tribalistici e servili nei confronti dei missionari britannici ed irlandesi che cristianizzavano il Sudan del sud, prima e dopo l’ “indipendenza” del 1956. L’ “indipendenza” (leggi neo-colonialismo) fu dichiarata da quello stesso governo britannico di Eden che proprio in quell’anno si era unito con Francia ed Israele per una guerra contro l’Egitto. La falsa indipendenza portò ad una domanda per un “autogoverno del sud”, che fu concesso. Esso fu eliminato nel 1983 a Khartoum dal governo Numeiri dopo 23 anni di “guerra di liberazione” del SPLM. La guerra ebbe una fine nominale con un accordo di pace il 9 Gennaio 2005 che comprendeva un referendum per il 2011 sull’autonomia del sud. Il presidente dell’SPLM, John Garang, intende diventare presidente di tutto il Sudan. Ma tutto ciò non è che una farsa politica messa in atto a coprire una scena che è piuttosto diversa. Il palco per questa farsa è piuttosto scivoloso, come quello in Nigeria, Angola, Guinea Equatoriale, Gabon e Chad, e consiste principalmente di petrolio. L’SPLM ha fatto un accordo nel Febbraio 2005 con Phil Edmonds della White Nile company. L’accordo ha concesso a White Nile 67.000 chilometri quadrati (28.000 miglia quadrate) di terra per esplorazioni petrolifere nel sud del Sudan. L’offerta di lavoro verrebbe dai 12 milioni di persone che vivono con 6 Rand al giorno, senza un servizio sanitario e con un tasso di alfabetizzazione del 6%. Questo accordo viola i contratti del governo nazionale con Chevron che ha scoperto il petrolio in Sudan nel 1980 ed ora pompa 300.000 barili al giorno, con la francese Total, ed in questo ultimo periodo con la Cina, la Svezia, l’Austria ed il Qatar. L’accordo dell’SPLM è un accordo 50 - 50 con White Nile. Essi affermano vi siano 5 miliardi di dollari di riserve petrolifere. Per mostrare quanto grande sia questa cifra si può notare che i giganti del petrolio come Shell, Chevron e BP controllano riserve di petrolio di dieci milioni di dollari in tutto il mondo. La Shell, dice Garang, adesso “parla con l’SPLM” (Evening Standard, London, 1 Aprile 2005). Il vantato accordo SPLM - White Nile copre più terra petrolifera dei blocchi unitari Cina - Sudan. Edmonds ed il suo socio, Andrew Groves, sono connessi con il platino in Sud Africa e Zimbabwe attraverso la Southern African Resources e la Zimplats. Chiaramente, il capitale britannico e sudafricano armerà la “auto-determinazione” dell’SPLM (leggasi “secessione”).
8. Le prossime guerre del terrore
La resistenza con non-collaborazione irachena ha certamente ritardato la prossima invasione imperialista di un paese del Terzo mondo. Ma la coalizione diretta dagli USA ha chiaramente già messo gli occhi su vari paesi. È ugualmente chiaro che le Nazioni Unite, condotte da un cieco africano, non possono fermare l’invasione, né lo faranno. L’invasione dell’Iraq ha provato, se prove erano necessarie, che l’ONU, con tutte le sue strutture, è una macchina imperialista USA-UE. Non mancherà di dare possibilità ad un’altra guerra al terrore condotta dagli USA. Gli obiettivi sono già stati trovati al Pentagono, alla Casa Bianca, alla CIA o al Congresso e dai loro alleati: Siria,Nord Corea, Iran. Dopo quello che la combinazione USA-UE ha fatto alla ex-Yugoslavia, sta facendo in Iraq, e dopo la morte di Arafat, con l’aiuto dell’ONU, sta preparando per la Palestina (per salvare lo Stato colonizzatore ed imperialista di Israele per mezzo di una soluzione a due stati) ci possiamo aspettare un’altra guerra del terrore in qualsiasi momento. Né si può dimenticare il Giappone. Sarebbe certamente stupido aspettarsi qualcosa dal World Social Forum - co-formato da coloni ancora colonialisti del sud America condotti dal collaboratore Lula e dalla “sinistra” eurocentrica, che ora parlano di una “Europa sociale” - come se questa mascherata possa nascondere 600 anni di colonialismo europeo. No, gli afghani, gli iracheni, i palestinesi e gli indigeni anti-coloni ed anti-razzisti ci hanno mostrato la strada. Si tratta di una strada difficile. Ma se i rivoluzionari del Terzo mondo si combinano unificando il loro pensiero e le loro azioni, allora l’antimperialismo mostrerà le sole strade che portano al socialismo3.
Note
* Prof. Univ. di Cape Town Sudafrica.
1 La possibilità per Chavez di fare un’altra rivoluzione alla Castro dipende dalla rottura con i coloni e dal basare il proprio partito sugli indigeni sfruttati dall’imperialismo e dai coloni. Vi è stato un simposio su questo tema in Middlesex University l’11 Marzo 2005. Si veda anche Gott, R., Hugo Chavez: The Bolivarian Revolution in Venezuela, Verso, London, 2005, ed una dichiarazione di un Boliviano Quechua: “Prima abbiamo lasciato che altra gente ci parlasse. Ora diciamo che le nazioni originarie sono pronte a condurre i propri affari”, in International Socialist Journal, no.104, October 2004. Gli anti-imperialisti sudafricani prendano nota che vi è una crescente lotta di classe nelle Ande ed in America Centrale tra i non-europei, come li si chiamava un tempo, ed i coloni europei.
2 L’autore ha tenuto un intervento su “Latin American, South African and Israeli Settlers” a questa conferenza. Era presente al discorso di Castro che è stato ascoltato da 1,500 economisti.
3 Vasapollo, L., Jaffe, H., Galarza, H., Introduzione alla Storia ed alla Logica dell’Imperialismo, Jacabook, Milan, March 2005, e Madrid, Paris, 2005.