La privatizzazione dell’acqua.

Dario Stefano Dell’Aquila

Il caso campano

A Nando Iannetti che mi ha insegnato la libertà.

1. Il quadro generale

Il processo di privatizzazione che negli ultimi quindici anni ha investito l’Italia sembra inarrestabile. Eppure immaginare che esso avrebbe riguardato anche i beni comuni sarebbe stato, solo qualche anno fa, difficile. Oggi è in atto un processo di privatizzazione delle risorse idriche che riguarda l’intero paese, ma che è parte di una strategia internazionale di investimenti privati cominciata con l’acqua minerale e poi estesosi all’acqua di uso comune. Il caso campano, ancora in corso di opera e quindi ancora suscettibile di essere modificato, è significativo di come la privatizzazione delle risorse idriche sia un processo trasversale agli schieramenti politici. Una Regione che vive la sua seconda legislatura a guida di una personalità di rilievo come il presidente Antonio Bassolino, in cui il centrosinistra è al governo di tutte e cinque le province (e nella città di Napoli), poteva certamente scegliere una via diversa da quella nella quale si è incamminata. In questa nostra breve panoramica il lettore deve sapere due cose. La prima è che le fasi che determinano il prezzo finale dell’acqua sono tre: l’acquisizione alla fonte, l’adduzione, la distribuzione al dettaglio. La seconda è che ciascuna di queste fasi sta subendo in Campania, come altrove, un processo di privatizzazione. Il quadro normativo sulle acque è dato dalla cosiddetta legge Galli che nel 1994 ha normato il settore idrico, introducendo il concetto di ciclo idrico intergrato e quello degli ATO, ambiti territoriali ottimali. Al fine di razionalizzare l’intervento pubblico la legge prevede che i comuni si consorzino, in ambiti territoriali “ottimali” dal punto di vista della gestione delle risorse idriche. Lo sviluppo della rete degli acquedotti italiani è avvenuta in più fasi nel corso di un secolo, senza un piano di infrastrutture unitario e coerente. La giunta regionale della Campania, nel marzo 2003, approva il piano regionale delle acque in cui prevede esplicitamente l’ingresso dei capitali privati nella gestione del sistema idrico. È una delibera di giunta, approvata all’unanimità, che non vincola i comuni che sono soci degli ATO (in Campania sono quattro), ma che ha un importante valore di indirizzo normativo e politico.

2. Le grandi opere e il business dell’acqua La nostra storia comincia nel dicembre del 2001, a dicembre, quando il governo Berlusconi, appena insediato riceve la delega dal parlamento in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi. La legge, è quella delle cosiddette grandi opere, la n. 443 del 21 dicembre 2001, e dà mandato al governo di individuare le infrastrutture e gli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione del paese. Il governo non perde tempo e a soli dieci giorni dalla delega, il Comitato interministeriale della programmazione economica approva il primo programma delle infrastrutture strategiche. Uno dei primi obiettivi è costituito dagli «interventi per l’emergenza idrica nel Mezzogiorno». Come avviene quasi sempre la parola emergenza è una voluta forzatura. La rete idrica è certamente insufficiente in Sicilia, dove il connubio tra interessi mafiosi, impresa e politica ha sempre impedito di completare un sistema di acquedotti efficiente, ma non c’è emergenza. C’è invece la necessità di garantire alle imprese del settore costruzioni uno dei più consistenti importi di spesa dopo quelli stanziati per il ponte sullo stretto. Gli importi complessivamente ammontano a 4.641 milioni di euro, che aumentano progressivamente sino alla data delle elezioni del 2006. La Campania, con 1.085,592 milioni di euro è la regione cui sono destinate le maggiori risorse. È una notizia che all’opinione pubblica non arriva, ma che invece è attesa con molte aspettative dal mondo imprenditoriale.

2.1 La privatizzazione dei depuratori Si avvia dunque, tra la fine del 2002 e il 2003 la privatizzazione del sistema idrico campano. In primo luogo si procede all’affidamento ai privati di 5 dei 15 bacini di depurazione della regione Campania, oltre due milioni di persone interessate. I bacini sono affidati in gestione ai privati per almeno 15 anni. Il consorzio di imprese è guidato dalla Termomeccanica Ecologica Spa, che già negli anni Ottanta aveva gestito alcune reti idriche campane e che, dopo la bufera di Tangentopoli, si affaccia sulla scena campana con un nuovo assetto proprietario. L’affidamento della gara è segnato da ricorsi al tribunale amministrativo e da scioperi dei lavoratori del settore preoccupati per l’incertezza del loro futuro. Termomeccanica si è impegnata al mantenimento dei precedenti rapporti di lavoro, circa 500 lavoratori, ma le nuove assunzioni saranno determinate con criteri da impresa privata.

2.2 La privatizzazione degli acquedotti Il secondo passaggio del processo di privatizzazione riguarda la rete dell’acquedotto campano. Sin dal 1980 EniAcqua gestisce, con una concessione ventennale, l’acquedotto occidentale della Campania. Una concessione che si giustificava con il fatto che l’Eni era un soggetto pubblico e che, quindi, era garantita la pubblicità della gestione dell’acquedotto. Ma oggi EniAcqua non è più un soggetto totalmente pubblico e uno dei suoi azionisti è il costruttore edile Francesco Caltagirone. Un elemento che non sembra essere di ostacolo per la giunta regionale di centrosinistra, che, all’unanimità, il 31 dicembre del 2004 rinnova la concessione dell’acquedotto occidentale della Campania e la estende anche all’acquedotto campano. La nuova società si chiama ora Acqua Campania e si trova di fronte un affare conveniente. Oltre alla gestione, alla società saranno affidate le opere di costruzione e manutenzione della rete degli acquedotti, ampiamente finanziate dalla legge sulle grandi opere. Lo schema è anche qui quello del project financing, metà investimenti con capitali pubblici, l’altra metà dei privati che in cambio gestiranno il bene per circa vent’anni. Gli investimenti sono considerevoli, ma anche i profitti. Infatti, ad aprile 2004, Francesco Caltagirone dichiara alla stampa, nel corso dell’assemblea in cui è stato approvato il bilancio 2004: «penso che la Caltagirone Spa abbia la possibilità di arrivare al 50% o alla maggioranza di Eniacqua Campania». La Vianini Lavori, la società con cui il gruppo Caltagirone partecipa ad Acqua Campania, mira anche alla gestione dell’acquedotto pugliese in una cordata con ACEA.

2.3 La privatizzazione degli Ato Gli ambiti territoriali ottimali (ATO), come abbiamo detto, costituiscono i bacini di utenza ottimali previsti dalla legge Galli e sono gestiti dall’assemblea dei comuni di ambito. Dei quattro bacini campani quello sarnese-vesuviano è già nelle mani della Icar Costruzione di Marilù Faraone Mennella, più nota come la compagna di vita dell’ex presidente di Confindustria D’Amato. Quello salernitano è invece gestito anche dalla Vianini Costruzioni del gruppo Caltagirone. La scelta di affidamento della gestione ai privati è passata, di fatto senza nessuna opposizione. Diversamente sono andate le cose quando si è concretizzata la possibilità che l’acqua della città di Napoli, oltre a quella di altri 135 comuni, per un totale di 2.500.000 abitanti, venisse privatizzata. L’assemblea dell’ente di ambito ha deliberato, il 23 novembre del 2004, di affidare ai privati la gestione del servizio idrico integrato di Napoli-Volturno. L’assemblea, composta dai sindaci di 136 comuni per un bacino di oltre 2 milioni di abitanti, ha stabilito di affidare la gestione del servizio a una società a capitale misto, 60% pubblico, 40% privato. Ma la delibera di affidamento, approvata con 96 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astenuti, prevede che entro il primo anno l’ATO ceda il 9% delle sue azioni, portando così a 49% la partecipazione del privato ed entro il secondo avvii il procedimento di dismissione della propria quota azionaria. L’atto è evidentemente il primo passo per la privatizzazione della gestione della rete idrica della prima città della Campania, ma molti sindaci, compreso quello di Napoli, Rosa Russo Iervolino, negano che si tratti di privatizzazione e parlano di scelta imposta dall’Unione Europea. Il Comitato italiano contratto mondiale per l’acqua, presieduto da Riccardo Petrella, Emilio Molinari e Rosario Lembo, non ha esitato a parlare di privatizzazione e di scelta grave e inaccettabile, così come hanno fatto la Rete Lilliput e il padre comboniano Alex Zanotelli. In effetti, già da fine ottobre, comitati e associazioni avevano sollecitato con una lettera-appello i sindaci componenti l’assemblea. Il Comitato, movimenti e associazioni, confortati dalla legge, ritengono infatti che alla luce dell’attuale normativa siano possibili tre tipi di gestione, una affidata ai privati, una mista ed una interamente pubblica, cosiddetta in house. Alla lettera ha fatto seguito un ordine del giorno, presentato dal gruppo regionale del PdCI, approvato all’unanimità dal Consiglio regionale, in cui si impegnava la giunta a garantire che la gestione dell’acqua rimanesse completamente pubblica. Ma questi appelli, così come l’ordine del giorno regionale sono rimasti lettera morta. Anche quando la questione è stata sollevata dal gruppo PRC nell’aula del consiglio comunale di Napoli i risultati sono stati negativi. La mozione che impegna la giunta del comune di Napoli (che dell’assemblea ATO è il “principale azionista”) a rivedere la scelta è bocciata. Mentre il gruppo consiliare del PRC abbandonava l’aula per protesta contro la scelta della società mista, Rosa Russo Iervolino dichiarava: «l’acqua è un bene e non si deve perdere il controllo pubblico. Non è il caso di creare una spaccatura all’interno dell’azienda, perché il problema è quello di rivendicare questa unità di intenti. Poi si può discutere sul come applicarla». Ma la discussione su come garantire che l’acqua rimanga un bene pubblico non si mai aperta e prima di ogni chiarimento è giunta la decisione d’assemblea. Infatti, nonostante le proteste politiche e gli appelli del Comitato Italiano, l’assemblea dell’ATO ha deliberato in senso inverso. L’assemblea, così come quasi tutto il centrosinistra, ha difeso la sua scelta come un’opzione dettata dagli obblighi normativi. Mancherebbero infatti i decreti ministeriali attuativi e sarebbe stata rimessa alla corte di giustizia europea la questione della compatibilità del servizio in house. Un’argomentazione tecnica che non ha convinto né rassicurato nessuno. In Italia, ad esempio, le province di Torino, Milano, Alessandria, Savona, Ancona, Ascoli, Lecco, Lodi, hanno adottato il sistema della gestione pubblica diretta e la gestione diretta del servizio è chiaramente contemplata dalle normative. E così, mentre il sindaco Rosa Russo Iervolino si è impegnata a dichiarazioni di apertura nei confronti delle richieste di Rifondazione in Consiglio Comunale, il suo partito plaude alla scelta della società mista. La decisione dell’assemblea è stata infatti accolta con grande soddisfazione da tutta la Margherita, cittadina e provinciale. «La decisione consente di non perdere i finanziamenti europei, ha dichiarato il segretario cittadino Nino Bocchetti. La preoccupazione che si possa avere tra due anni una dismissione di capitale pubblico è infondata». Convinti di questa scelta anche i Democratici di Sinistra che, per bocca dell’assessore provinciale di Napoli Luca Stamati, la difendono come una scelta che garantisce la pubblica fruibilità dell’acqua. Non la pensa così Rosario Lembo del Comitato Italiano secondo il quale «questa scelta aprirà l’ingresso alla gestione delle risorse idriche di imprese multinazionali, e le conseguenze a livello di aumento del tariffe dell’acqua potabile saranno inevitabili. Il caso di Arezzo già sperimentato dal 1999 attesta chiaramente con le dichiarazioni dello stesso Presidente dell’Ato all’assemblea dell’ottobre 2003, che la gestione mista aperta a gara non ha funzionato e non funziona». Al Comitato non hanno dubbi, «gli amministratori locali non possono più difendersi dicendo che la privatizzazione è imposta dalla Commissione Europea. Sono scelte politiche di cui devono dare conto ai cittadini» e si sono rivolti direttamente ai segretari nazionali del centrosinistra perché dicano una parola chiara sulla privatizzazione dell’acqua a Napoli e chiedendo di farne punto di programma nazionale. Riceveranno risposta solo da Fausto Bertinotti, segretario del PRC e da Oliviero Diliberto, segretario del PdCI. Successivamente anche i Verdi, pur non contrari in linea di principio ad una società mista, si schiereranno contro questa privatizzazione. La gara per la concessione del servizio è prevista per febbraio, ma la scadenza elettorale delle regionali e la crescente mobilitazione dell’opinione pubblica, spinge ad una proroga della gara. Se ne parla dopo le elezioni. La riconferma del governo regionale, apertamente favorevole alla privatizzazione del sistema idrico, sembra non dare molto spazio alle speranze di movimenti e comitati. Ma il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, dopo il grande lavoro di immagine e mobilitazione dei movimenti e comitati, guidati da un inossidabile Alex Zanotelli, ha un ripensamento. La gara prevista a giugno, che avrebbe dovuto consentire ai privati l’ingresso nella gestione del servizio idrico di Napoli e Caserta, viene rinviata in extremis. Lo decide l’assemblea dell’ATO 2 dopo che il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino ha invitato, in una lettera scritta insieme al presidente della provincia di Napoli Dino di Palma e quello della provincia di Caserta Sandro De Franciscis, a prorogare i tempi. Nella lettera, indirizzata al presidente del consiglio di amministrazione, il sindaco chiede una «congrua proroga dei termini» per l’individuazione di un socio privato e prospetta la formazione di una commissione che valuti «le possibilità di affidamento in house (cioè pubblico, n.d.r.) del servizio pubblico integrato». In un Hotel Oriente blindato, con molte decine di agenti impegnati a presidiare la hall e a “selezionare” i manifestanti in base a criteri misteriosi (buoni e cattivi?), l’assemblea dell’ATO 2 delibera quindi una proroga, nonostante il parere contrario del presidente del consiglio di amministrazione Giuseppe Bruno, da sempre convinto sostenitore della privatizzazione. Una quarantina i sindaci che si sono schierati contro la società mista pubblico-privato. Il rinvio, in autunno, e la formazione di una commissione di valutazione sembrano più un modo per guadagnare tempo che una reale posizione contraria alla privatizzazione. La stessa assemblea che ha votato per il rinvio ha approvato il bilancio di previsione dell’assemblea ATO 2 stanziando 300.000 euro nel 2005 per la gestione della società mista, e prevede dal 2007 che il servizio sia affidato al gestore privato. Il contributo dei comuni di circa 1.500.000 euro, secondo lo schema del bilancio, dal 2007 sarebbe versato dal nuovo soggetto privato, che subentrerebbe così in toto nella gestione del servizio idrico.

3. Breve conclusione

La mobilitazione di movimenti, comitati e associazioni ha in qualche modo rallentato il processo di privatizzazione, ma non ha certo invertito la direzione delle politiche regionali sul sistema idrico campano. I rallentamenti sono determinati più da alcune difficoltà delle imprese private ad organizzare i propri interessi e a raggiungere accordi, che da scelte politiche. I fautori della privatizzazione la argomentano con l’esigenza di una maggiore efficienza e garantiscono che le tariffe non subiranno variazioni. Gli studi di settore e gli interventi di esperti legati alle stesse imprese, sottolineano come sia inevitabile un aumento delle tariffe per rendere remunerativi gli investimenti. Se il processo di privatizzazione si completasse, in ciascuna delle tre fasi, l’aumento delle tariffe nei prossimi tre-cinque anni è inevitabile. E, soprattutto, se l’acqua potabile diviene oggetto di attività imprenditoriale e un bene di mercato come tutti gli altri, ci si chiede a quale altra rischiosa attività si rivolgeranno le imprese, forse l’aria?

Note

* Dottorando in Istituzione, Ambiente e Politiche per lo sviluppo economico, Università di Roma III; ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-PROTEO.