Le aree metropolitane nel contraddittorio sviluppo economico-produttivo italiano

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Il lavoro metropolitano (prima parte)

1. Collocazione storica

Dopo la rivoluzione industriale si è assistito ad un radicale cambiamento dell’aspetto urbano e si è avuta una grande estensione delle città in territori più ampi attraverso l’assorbimento di zone rurali e di centri urbani piccoli. Si è assistito così allo sviluppo e alla forte espansione delle città che, beneficiando di un buon assetto infrastrutturale supportato da una efficiente rete di mezzi di trasporto, si sono potute ingrandire fino a comprendere nelle proprie dinamiche gravitazionali socio-economico-produttive i centri minori e aree rurali. Sono nate così le “città metropolitane”. Lo sviluppo delle città, ha beneficiato dell’evoluzione dei mezzi di trasporto (invenzione della locomotiva a vapore e quindi delle ferrovie) che ha permesso alle industrie di collocarsi anche a notevole distanza dalle fonti di materie prime e di energia. Il raggruppamento di persone e fabbriche ha riguardato il territorio adiacente la città definendo così relazioni di legame culturale, produttivo e socio-economico tra le città e il suo contorno e quindi tra le persone, le informazioni e i beni. In questo modo si è avuta la creazione di “aree metropolitane” che si espandono molto al di là dei confini territoriali della città e che si distinguono per l’alta densità di abitanti e per le relazioni socio-economiche molto strette che si instaurano tra la grande città e i piccoli centri ad essa legati, e dal fatto che il centro e la periferia sono uniti da rapporti di interdipendenza, da informazioni, da scambi di beni e persone, da simili assetti economici e produttivi. Nel nostro Paese il concetto di “area metropolitana” inizia a definirsi concretamente soltanto nel secondo dopoguerra, quando la crescita economica fa si che si formino poli urbani caratterizzati da un alto sviluppo socio-culturale demografico, ed economico-produttivo. Così nel primo ventennio del secondo dopoguerra si è avuta la convinzione che “il mondo sarebbe diventato un complesso di città”; gli anni ‘50 e ‘60, sono gli anni del “miracolo economico italiano” e si ha un ampliamento della concentrazione territoriale della produzione, con movimenti di capitali e di lavoro verso le aree più sviluppate. Si estendono in questi anni le idee della modernizzazione,delle grandi città,dell’impresa di grandi dimensioni, che provocano forti ripercussioni sugli operatori sia privati (imprese e famiglie) sia pubblici. Nei primi anni ‘70 invece si ha un capovolgimento di tendenza nel modello di sviluppo territoriale, e inizia una strategia di decentramento produttivo con la nascita di produzioni su piccola scala, ad alto livello di specializzazione, elevata produttività, e il bisogno di una maggiore flessibilità nelle grandi imprese e nelle aree metropolitane. Questi fenomeni sono continuati in tutti gli anni ‘70 e ‘80 producendo un notevole sviluppo industriale in determinate aree “periferiche” ma anche fenomeni di crisi nelle aree “centrali” del Paese. Negli anni ’70 e ’80 infatti inizia il fenomeno della controurbanizzazione che ha prodotto: 1) Processi di depolarizzazione produttiva ossia una diminuzione dell’importanza dei cosiddetti “poli” industriali a favore di nuove aree economiche nelle regioni del Centro-Nord; 2) uno sviluppo non metropolitano che si attua sia a livello economico che demografico; 3) dinamiche di deindustrializzazione con la conseguente deurbanizzazione; 4) la delocalizzazione e il conseguente decentramento della produzione industriale; 5) lo sviluppo demografico periferico che ha interessato zone lontane da quelle tradizionali di concentrazione urbana; 6) fenomeni di deconcentrazione produttiva ossia una diminuzione delle dimensioni d’impresa e degli impianti, contrariamente a quanto avvenuto nei decenni precedenti; 7) ed infine la formazione e sviluppo di Sistemi Produttivi Locali, altamente specializzati soprattutto dei “settori tradizionali”quali tessili e abbigliamento, cuoio e calzature, legno e mobilio. In definitiva: negli anni ’70 e ’80 emergono come caratteri fondamentali del modello di sviluppo italiano un più intenso processo di industrializzazione diffusa e la crescita della piccola impresa,legata alla formazione di una nuova imprenditoria locale, dotata di autonomia ed innovazione. Il risultato di tali cambiamenti sarà il cosiddetto “modello della specializzazione flessibile”, alternativo al precedente modello della produzione standardizzata di massa, legato alle grandi dimensioni e all’utilizzo delle economie di scala. Dall’inizio degli anni ’90 invece è tornata ad essere prevalente l’idea dello sviluppo delle grandi città e aree metropolitane. Attualmente l’area metropolitana viene generalmente definita come “un territorio più o meno esteso,che comprende diverse città, tanto da costituire un sistema urbano... caratterizzato da realtà diverse correlate tra loro e poste in un rapporto di interdipendenza”3. Il territorio metropolitano è in sostanza “un sistema di centri e relative aree di influenza che, interagendo, si ripartiscono tra loro l’incarico della formazione e di un armonico funzionamento di un sistema urbano”4. Per definire le “aree metropolitane” si devono considerare 3 fattori: le dimensioni della città principale e delle città minori, la mobilità delle persone tra città principale e città minori ed infine la contiguità degli insediamenti sul territorio. Una prima definizione istituzionale-amministrativa a carattere statistico-economico di ‘area metropolitana ‘ considerava i centri abitativi che negli anni ‘80 avevano più di 300 mila abitanti (Torino, Milano, Genova, Bologna, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo e Catania). La prima legge riguardante la definizione e l’ordinamento delle aree metropolitane è la legge 142, dell’8-6-1990, secondo cui “sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali”5 In ogni area metropolitana la provincia prendeva la denominazione di “città metropolitana”.

2. Ambiti definitori istituzionali

La legge 142/90 prevedeva che nell’area metropolitana, l’amministrazione locale si svolge su due livelli:
 Le città metropolitane, a cui si applicavano le norme relative alle province.
  I comuni. Alla città metropolitana spettavano le funzioni di:
  Pianificazione territoriale dell’area
  Viabilità, trasporti
  Tutela dell’ambiente e dei beni culturali
  Difesa del suolo e delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti
  Raccolta e distribuzione delle risorse energetiche
  Servizi per lo sviluppo economico
  Sanità, scuola e altri servizi urbani6 La legge 142 del 1990 introduce il concetto di “area metropolitana” e riguarda le più grandi città italiane; in specifico: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, definite “città metropolitane”, alle quali si sono aggiunte più tardi Cagliari, Catania e Palermo. In specifico la legge così cita7: “ Articolo 22 Aree metropolitane 1. Sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonchè alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali. 2. Su conforme proposta degli enti locali interessati la regione procede entro centottanta giorni dalla proposta stessa alla delimitazione territoriale dell’area metropolitana. Qualora la regione non provveda entro il termine indicato, il Governo, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, invita la Regione a provvedere entro un ulteriore termine, scaduto il quale procede alla delimitazione dell’area metropolitana. 3. Restano ferme le città metropolitane e le aree metropolitane definite dalle Regioni a statuto speciale”. E continua nell’Articolo 23: Citta’ metropolitane 1. Nelle aree metropolitane di cui all’articolo 22, il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguita’ territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attivita’ economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali possono costituirsi in citta’ metropolitane ad ordinamento differenziato. 2. A tale fine, su iniziativa degli enti locali interessati, il sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia convocano l’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati. L’assemblea, su conforme deliberazione dei consigli comunali, adotta una proposta di statuto della citta’ metropolitana, che ne indichi il territorio, l’organizzazione, l’articolazione interna e le funzioni. 3. La proposta di istituzione della citta’ metropolitana e’ sottoposta a referendum a cura di ciascun comune partecipante, entro centottanta giorni dalla sua approvazione. Se la proposta riceve il voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto al voto espressa nella meta’ piu’ uno dei comuni partecipanti, essa e’ presentata dalla regione entro i successivi novanta giorni ad una delle due Camere per l’approvazione con legge. 4. All’elezione degli organi della citta’ metropolitana si procede nel primo turno utile ai sensi delle leggi vigenti in materia di elezioni degli enti locali. 5. La citta’ metropolitana, comunque denominata, acquisisce le funzioni della provincia; attua il decentramento previsto dallo statuto, salvaguardando l’identita’ delle originarie collettivita’ locali. 6. Quando la citta’ metropolitana non coincide con il territorio di una provincia, si procede alla nuova delimitatone delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di nuove province, anche in deroga alle previsioni di cui all’articolo 21, considerando l’area della citta’ come territorio di una nuova provincia. Le regioni a statuto speciale possono adeguare il proprio ordinamento ai principi contenuti nel presente comma. 7. Le disposizioni del comma 6 possono essere applicate anche in materia di riordino, ad opera dello Stato, delle circoscrizioni provinciali nelle regioni a statuto speciale nelle quali siano istituite le aree metropolitane previste dalla legislazione regionale. ...”8 Alla legge 142/90, che non trovò una effettiva realizzazione, seguirono nel 1999, la legge 265/1999, e in seguito il decreto leg. 267/2000, attualmente in vigore. Questo decreto ratifica la definizione di aree metropolitane della legge 142/90, e assegna alle Regioni l’autorità di procedere alla delimitazione dell’area, su proposta degli enti locali interessati. All’interno di ciascuna area metropolitana “il comune capoluogo, e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale, e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali, possono costituirsi città metropolitane ad ordinamento differenziato”9. I contenuti della legge 265/1999 relativi alle aree metropolitane vengono integralmente ripresi nel decreto legislativo 267 (D.Lgs. 18/8/2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), emanato sulla base della delega al Governo prevista dall’art. 31 della stessa legge 265/99. Il decreto legislativo 267/2000, attualmente vigente, dispone quanto segue: L’art. 22, conferma le stesse zone comprendenti le nove città individuate dalla L. 142/90 quali aree metropolitane sulla base dei rapporti di stretta integrazione territoriale in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali, e prevede che, su proposta degli enti locali interessati, la regione proceda alla delimitazione territoriale dell’area metropolitana entro 180 giorni dalla proposta stessa. In caso di inadempienza della Regione provvede a delimitare l’area metropolitana il Governo. Le aree metropolitane e le città metropolitane definite dalle regioni a statuto speciale sono fatte salve. L’art. 23 dispone che nelle aree metropolitane di cui all’art. 22, il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato. La città metropolitana acquisisce le funzioni della provincia, attua il decentramento previsto dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali. Quando la città metropolitana non coincide con il territorio di una sola provincia, si procede alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali, considerando la città metropolitana come territorio di una nuova provincia. Le regioni a statuto speciale possono adeguare il proprio ordinamento in tal senso. L’art. 24 prevede che, fino alla istituzione delle “città metropolitane” e previa intesa con gli enti locali interessati, la regione può definire ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative e di cooperazione, nelle seguenti materie: a) pianificazione territoriale; b) reti infrastrutturali e servizi a rete; c) piani di traffico intercomunali; d) tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento atmosferico; e) interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica; f) raccolta, distribuzione e depurazione delle acque; g) smaltimento dei rifiuti; h) grande distribuzione commerciale; i) attività culturali; j) funzioni dei Sindaci ai sensi dell’art. 50, comma 7. L’art. 25 prevede che la Regione, istituita la città metropolitana e previa intesa con gli enti locali interessati, può procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni compresi nell’area metropolitana. L’art. 26 fa salve le leggi regionali vigenti in materia di aree metropolitane e prevede che la legge istitutiva delle città metropolitane stabilisca i termini per il conferimento, da parte della regione, dei compili e delle funzioni amministrative in base ai principi dell’art.4, comma 3, della L. 59/97 e le modalità per l’esercizio dell’intervento sostitutivo da parte del Governo in analogia a quanto previsto dall’art. 3, comma 4, del D. Lgs. 112/98. La revisione della Costituzione, approvata definitivamente con legge costituzionale (L. 18/10/2001, n. 3 - Revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione), conferma l’introduzione, nell’ordinamento italiano, delle “città metropolitane”. L’art. 114 afferma infatti che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città Metropolitane, e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. In sintesi il decreto legislativo 267/2000 prevede che:
  le nove città centrali (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli), già individuate dalla L.142/90 vengono confermate;
  alle Regioni viene attribuita la competenza di procedere alla delimitazione territoriale dell’area metropolitana, su proposta degli enti locali interessati;
  le aree metropolitane e le relative città metropolitane, definite dalle Regioni a statuto speciale, vengono confermate;
  nelle aree metropolitane il Comune capoluogo e gli altri Comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato;
  su iniziativa degli enti locali interessati, il Sindaco del Comune capoluogo e il Presidente della Provincia convocano l’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati, che, su conforme deliberazione dei Consigli Comunali, adotta una proposta di statuto della città metropolitana, che ne indichi il territorio, l’organizzazione, l’articolazione interna e le funzioni;
  la proposta di istituzione della città metropolitana sia sottoposta a referendum a cura di ciascun comune partecipante, entro centottanta giorni dalla sua approvazione e che se la proposta dovesse ricevere il voto favorevole da parte dei cittadini dei comuni partecipanti, essa venga presentata dalla Regione, entro novanta giorni, ad una delle due Camere per l’approvazione con legge;
  l’elezione degli organi della città metropolitana venga effettuata al primo turno utile;
  la città metropolitana acquisisca le funzioni della provincia, attui il decentramento previsto dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali;
  quando la città metropolitana non coincide con il territorio di una sola provincia, si possa procedere alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali, considerando la “città metropolitana” come territorio di una nuova Provincia;
  fino alla istituzione delle “città metropolitane” e previa intesa con gli enti locali interessati, la Regione possa definire ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative e di cooperazione, nelle materie di carattere sovracomunale;
  la Regione, istituita la città metropolitana e previa intesa con gli enti locali interessati, possa procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni compresi nell’area metropolitana;
  la legge istitutiva delle città metropolitane stabilisca i termini per il conferimento, da parte della Regione, dei compiti e delle funzioni amministrative in base ai principi della L. 59/97 e le modalità per l’esercizio dell’intervento sostitutivo da parte del Governo come previsto dal D. Lgs. 112/98. Al fine di rendere operative le previsioni introdotte nella Costituzione, nel 2003, la legge 131 (L. 5/6/2003, n. 131 - Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18/10/2001, n. 3) da mandato al Governo di emanare appositi decreti legislativi. Per quanto attiene le “città metropolitane” i decreti dovranno definire le funzioni fondamentali per il loro funzionamento, nonché per il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento. Pertanto andranno valorizzate la potestà statutaria e regolamentare, individuate le funzioni fondamentali, adeguati i procedimenti di istituzione, fermo restando il principio di partecipazione degli enti e delle popolazioni interessati, individuati e disciplinati gli organi di governo e il relativo sistema elettorale. A tutt’oggi il Governo non ha ancora emanato i decreti legislativi.”10 Vi è da dire che dopo di 15 anni dalla entrata in vigore della L.142/1990 la “città metropolitana”, ente di governo delle aree metropolitane, non riesce a decollare. Questo nonostante la città metropolitana sia ormai regolata nell’ordinamento dello Stato italiano anche dalla Costituzione, insieme a Comuni, Province e Regioni. Questo avviene perché i Comuni, le Province e le Regioni non sono portate ad accettare questo nuovo ente che ha la tendenza a cambiare a seconda della trasformazione dei movimenti interni alla stessa area metropolitana e alle diverse questioni da affrontate. “La stessa definizione di comprensorio metropolitano resta incerta e concettualmente indefinita. Con la velocità di espansione del costruito e il mutare delle logiche di localizzazione, sembra limitato definire metropolitano l’insieme di una grande città e la sua corona di centri periferici. È difficile pensare metropoli Venezia-Mestre ed escludere Treviso, dove tanti risiedono pur operando nell’area veneziana, ovvero Padova la cui piattaforma logistica o la cui Università divengono altrettanti centri di riferimento per la più vasta conurbazione. Molti esempi simili si possono portare nella Regione lombarda, nella “piccola Los Angeles” della costa romagnola, nella multipolarità fiorentina-pratese. Basti pensare alle strategie localizzative dei centri commerciali, delle multisale cinematografiche o degli Outlet, per comprendere come sia ricercata una logica di rete insediativa sovrapposta a quella delle accessibilità e dei trasporti. Per poter continuare a produrre ricchezza in condizioni favorevoli, derivanti dalle ampie dimensioni dei diversi mercati metropolitani, non serve tanto ricreare una ormai stanca e deludente sanzione istituzionale, ma applicare strategie di governance locale coordinate territorialmente e programmi di integrazione funzionale nei servizi, primo fra tutti quello della mobilità e del trasporto pubblico locale, ma anche dell’energia, dello smaltimento dei rifiuti, della gestione dell’acqua”11.

3. L’articolazione delle città italiane secondo lo studio RUR-CENSIS Lo studio effettuato da RuR-Censis 2004 sulle città italiane ha fornito una classificazione delle città italiane secondo i requisiti che le accomunano; considerato che in Italia vi sono 103 comuni capoluoghi di provincia sono stati individuati sei gruppi: “1. le aree metropolitane (le aquile - 7, pari al 35,0% della popolazione residente nei capoluoghi), gruppo che comprende le metropoli direzionali di Roma e Milano, le città venete di Venezia e Verona, Torino, le città medie Bologna e Firenze, caratterizzate tutte da potere economico, alto livello di benessere e complessità sociale. 2. Le città dello sviluppo (i falchi - 25, pari al 12,1% della popolazione), città medie del nord (Aosta, Belluno Bergamo, Biella, Bolzano, Brescia, Como, etc.), più le marchigiane Ancona e Macerata e le toscane Pisa e Siena, caratterizzate da alti livelli di sviluppo economico, di benessere e di attività culturale. 3. I centri produttivi (i pellicani - 11, pari al 7,6% dei residenti), oltre alla new entry Latina, si tratta di città collocate prevalentemente nelle regioni Toscana (Arezzo, Prato), Emilia Romagna (Forlì, Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini), e Marche (Ascoli Piceno, Pesaro), che mantengono una forte caratterizzazione industriale e con il più elevato tasso di attività della popolazione. 4. Le città del benessere maturo (i gabbiani - 25, pari al 16,1% della popolazione insediata), città in prevalenza del Centro Nord e marittime. In particolar modo, tutte le città liguri (Genova, Imperia, La Spezia, Savona) e umbre (Perugia e Terni), la maggior parte delle toscane (Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara e Pistoia), e, procedendo verso Sud, Pescara, Campobasso e Lecce. Si tratta di città dall’economia solida ma statica, caratterizzate soprattutto dalla tendenza all’invecchiamento della popolazione. 5. I poli della rincorsa (le rondini - 20, pari al 9,6% dei residenti), sono in massima parte le città del Sud che non fanno parte della quota di città lontane dallo sviluppo (Avellino, Bari, Benevento, Cagliari, Caserta, Catanzaro, etc), che tentano un allineamento con i valori medi italiani e presentano una realtà dinamica, ma lamentano l’assenza di una solidità di fondo. 6. Le città arretrate (le anatre - 15, pari al 19,5% dei residenti), sono le restanti città del Sud, che rimangono in posizione arretrata su tutti i fronti, sebbene più vivaci rispetto al passato (tra le altre, Agrigento, Foggia, Messina, Napoli, Palermo, Reggio Calabria).”12 (Tabella 1) Le tabelle 2 e 3 mostrano i dati del tessuto produttivo nei capoluoghi di provincia suddivisi secondo la classificazione data da RUR-CENSIS e nella tabella seguente il livello di occupazione e la ricchezza prodotta. Seguendo la classificazione del RUR-CENSIS la tabella 4 analizza vari indicatori delle aree metropolitane (si ricorda che le aree metropolitane secondo questa classificazione sono Roma, Milano, le città venete di Venezia e Verona, Torino, Bologna e Firenze); è importante evidenziare in primo luogo l’alto valore del PIL pro-capite (32.700 euro); anche il tasso di disoccupazione è inferiore alla media generale (6,2% a fronte di un 9,1%). Da rilevare anche l’alta percentuale dei lavoratori interinali e co.co.co rispetto alla media nazionale (62% a fronte di un 45,8%). (Tabella 4) Le città con il numero di abitanti maggiore sono Roma (più di 2.500.000 di persone), Milano e Napoli (superano un milione di abitanti), Torino e Palermo; in queste cinque città da sole vivono il 37,5% del totale della popolazione che vive nelle città capoluogo. (Tabella 5) La tabella seguente mostra i tassi di occupazione e disoccupazione nelle 11 grandi aree metropolitane; basta guardare le percentuali di disoccupazione per evidenziare subito la grande disparità esistente tra i comuni del Nord e quelli del Sud Italia. Molto significativa è anche la percentuale di occupazione che, vicina al 50% in alcuni comuni (Milano, Bologna, Roma, Torino), è invece molto al di sotto a Catania, Palermo e Napoli. (Tabella 6) Nella tabella seguente si mostrano le aree metropolitane e i dati relativi al Censimento del 200 per un confronto con i dati RUR-CENSIS. (Tabella 7) La rinnovata importanza delle aree metropolitane è legata alla realtà più complessa che fa seguito ai cambiamenti intervenuti nella società nella cosiddetta epoca della globalizzazione. Torna il fascino delle grandi città che da un punto di vista di popolazione e reddito si possono distinguere in due modi: da un lato vi sono le grandi aree metropolitane (GAM) in cui si trovano Roma, Milano, Napoli e Torino; dall’altro lato vi sono le aree metropolitane standard (SAM) che comprendono Bologna, Genova, Venezia, Firenze, Bari, Palermo e Catania. È importante sottolineare il ruolo fondamentale di Roma che produce circa il 7,1% del PIL totale, e che si caratterizza per la sua economia in crescita soprattutto nelle aree delle tecnologie, della comunicazione, del turismo e dei servizi privati.

5. Panoramica statistico-economica sulle aree metropolitane italiane Di seguito si riportano alcune elaborazioni sui dati demografici ed occupazionali per fornire un prima configurazione delle singole aeree metropolitane; nelle altre puntate di questa analisi-inchiesta proseguiremo l’indagine sui fenomeni economico-produttivi e sociali in grado di caratterizzare su più piani la struttura e le dinamiche delle aree metropolitane.

5.1. L’area metropolitana di Roma L’area metropolitana di Roma ha registrato negli anni che vanno dal 1981 al 2001 una vera e propria “fuga dalle città” in quanto la popolazione dell’hinterland è aumentata del 34,7% a fronte di una diminuzione della popolazione residente nel centro metropolitano di circa il 10%; questo fenomeno è da attribuirsi in larga parte alle condizioni economiche dei lavoratori in quanto spostarsi al di fuori del centro metropolitano significa soprattutto trovare case con affitti minori e costo della vita inferiore a quello romano. (Tabella 8) Roma è il comune con più alto numero di abitanti mentre il PIL in migliaia di euro per abitante (29,4) è inferiore a quello di Milano (43,8), Firenze (32,6), Bologna (31,6). La densità (abitanti /Km2) è molto inferiore rispetto alle altre grandi città (basti pensare a Milano che ha 6.900 abitanti per km2, Torino 6.647 mentre Roma si attesta sui 1.982). Negli anni che vanno tra il 1991 e il 2001 (confrontando i due censimenti) si registra una diminuzione degli abitanti nella Capitale, infatti gli abitanti del Comune di Roma passano dal 72,7% al 68,8% degli abitanti residenti nell’intera provincia. Analizzando ora i vari indicatori economici risluta immediatamente che la struttura produttiva dell’area romana è secondo solo a quello di Milano; nel 2004 si sono rilevate circa 390.000 imprese con una crescita dell’1,8% rispetto all’anno precedente. Va ricordato che Roma costituisce un’area economica diversa dalle altre in quanto il suo sistema economico è rappresentato da un unico grande polo nel quale si trova il 92,6% delle unità locali presenti nell’intera provincia. Per quanto concerne la struttura del mercato del lavoro nel 2001 si registra un altissimo numero di occupati nel settore dei servizi, un numero più esiguo nel settore industriale e una parte molto ridotta nel settore agricolo. Anche il tasso di disoccupazione è elevato (si registra un 9,9% a fronte di un 9,5% nazionale). (Tabella 9) Il mercato del lavoro a Roma si caratterizza sia per l’alta percentuale degli addetti occupati nel terziario diffuso cioè certamente in settori diversi dall’agricoltura e dall’industria, sia per l’alta incidenza degli occupati alle dipendenze. Quasi l’80% dei lavoratori (si esclude il settore agricolo) è occupato in una attività collocata nella Capitale anche se il “peso demografico” dei residenti è del 68%; questo dato conferma il flusso di spostamenti dal centro alla periferia (pendolarismo) di cui si è scritto e la capacità economico-produttiva della città metropolitana. Anche la percentuale del lavoro non regolare è molto alta e mette Roma al sesto posto tra le aree metropolitane dopo le aree del Sud Italia. È molto interessante notare il peso della popolazione femminile e di quella maschile nella fascia tra i 25 e i 54 anni. (Tabella 10) Confrontando i dati 2004 con quelli rilevati nel Censimento del 2001 si registra un notevole incremento delle forze di lavoro, inoltre si nota che la forza-lavoro maschile è superiore a quella femminile (946.000 a fronte di 729.000) ed anche il tasso di attività considerato nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni è molto superiore per i maschi (75,9 a fronte di 55,4). (Tabella 11) Anche il tasso degli occupati nel complesso evidenzia una superiorità nell’occupazione maschile (899.000 a fronte 659.000 femmine). Il tasso di occupazione nell’età compresa tra i 15 e i 64 anni è del 60,4% (di cui il 71,3% maschile e il 50,1% femminile). (Tabella 12) Nell’anno 2003 il tasso medio disoccupazione è stato dell’8% anche se vi è una situazione fortemente critica nella fascia di età giovanile fino ai 29 anni. Continua la altissima percentuale di addetti ai settori dei servizi (82%). È interessante mostrare gli occupati per settore di attività economica, sempre nell’anno 2004. Si vede subito che il settore agricolo è molto ridotto ed anche il settore industriale è poco significativo, mentre è nel settore terziario che si registra il numero più alto di occupati (1.294.000 a fronte di 241.000 occupati nell’industria); questa situazione si spiega facilmente con la presenza a Roma di Ministeri e servizi in genere della Pubblica Amministrazione, e oltre a ciò la grande presenza di un terziario riconducibile ad attività quali bancaria, l’assicurativa, finanziaria, commerciali e turismo. Nel 2004 il tasso medio di disoccupazione ha una percentuale del 7,5% in diminuzione rispetto al 2003 in cui si era attestato all’8% (nel 2001 era del 10%); questo tasso è inferiore rispetto alla media nazionale. (Tabella 13)

5. 2. Area metropolitana di Torino Il Comune di Torino ha una popolazione di oltre 860.000 abitanti ed una densità molto elevata con un PIL pro-capite uguale a quello di Roma (29,7mila euro) ed inferiore a città come Milano, Bologna, Firenze. (Tabella 14) Gli indicatori economici relativi al lavoro mostrano per il 2001 una situazione di alta occupazione nel settore industriale e nei servizi mentre molto ridotto è il livello occupazionale nel settore agricolo, con un tasso di disoccupazione che è al 5,8%, un valore molto inferiore alla media nazionale. Anche nel 2003 continua il trend positivo in quanto pur arrivando al 6% il tasso di disoccupazione è sempre molto inferiore a quello nazionale che è dell’8,7%. Un dato da evidenziare: sempre nel 2003, Torino risulta essere dopo Alessandria la seconda provincia piemontese ad avere il più basso livello di occupazione giovanile (28,4%) Gli occupati nel settore industriale sono il 38%, nel settore agricolo solo il 2% e nel settore dei servizi il 60%. Questa percentuale risulta essere una tra le più basse tra le aree metropolitane (Roma ha l’82%) mentre la percentuale degli occupati nell’industria è la più elevata. Per quanto riguarda il settore agricolo Torino risulta al di sotto della media tra le aree metropolitane, anche se tra le 6 aree del Nord Italia si colloca al terzo posto dopo Venezia e Bologna. Di seguito si evidenziano i dati per l’anno 2004. (Tabella 15-16-17-18-19)

5.3. L’ area metropolitana di Venezia L’area metropolitana di Venezia presenta un’alta percentuale di popolazione residente nel territorio che circonda la città (solo il 45,7% della popolazione infatti risiede nel comune capoluogo). Questo valore è inferiore solo alle città di Napoli e Milano che risultano anch’esse provviste di un hinterland molto popolato. Solo l’1,8% delle persone residenti è composto da stranieri; infatti Venezia risulta essere l’area metropolitana con il minor numero di extracomunitari del Centro -Nord. Il tasso di disoccupazione in quest’area metropolitana è nel 2003 pari al 4,0%, (inferiore di molto rispetto al dato nazionale), mentre si rivela il terzo più alto (dopo quello di Rovigo e Belluno) in ambito regionale. Negli anni che vanno dal 1995 al 2003, comunque l’indicatore totale della disoccupazione è diminuito continuamente, passando dall’ 8,1% al 4,0%. In specifico per la classe di età compresa tra i 15 e i 24 è passato dal 23,2% al 10% e per la classe di età compresa tra i 25 e i 29 è passato dal 17,2% al 7,4%. La disoccupazione femminile è del 7,9% nel 2004 (nel 2002 era del 6,8), la disoccupazione maschile è del 2,9% (nel 2002 era del 3,1%). Il lavoro nell’area metropolitana di Venezia è molto terziarizzato e quindi un ruolo preminente lo assumono le forme di lavoro flessibile. Nell’anno 2004 la percentuale dell’occupazione è arrivata al 61,4%; nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni nel 2004 si è avuto un valore del 64,6% del tasso di attività. (Tabella 20-21-22-23-24) 5.4. Area metropolitana di Genova Quest’area metropolitana dagli anni ottanta in poi ha subito un forte ridimensionamento negli addetti nel settore industriale. Negli anni precedenti infatti faceva parte del triangolo industriale Genova-Milano-Torino ma la crisi del fordismo e delle imprese di grandi dimensioni ha cambiato fortemente la produzione in questa area. (Tabella 25) Si segnala che nel decennio tra il 1991 e il 2001 si è avuta una diminuzione degli occupati nel settore industriale di quasi il 26% (dati ISTAT). La diminuzione del lavoro nel settore industriale è stata in parte fronteggiata attraverso l’aumento del lavoro nel settore terziario e soprattutto nel comparto del turismo. Va segnalato poi che la presenza del porto è fondamentale nell’economia dell’area in quanto colloca Genova come importante punto di incrocio del traffico commerciale tra i paesi del Centro -Nord Europa e l’Estremo Oriente. Nell’anno 2002 la popolazione dell’area era di 873.000 abitanti anche se con una marcata prevalenza di persone con età maggiore ai 65 anni. Nell’analisi del mercato del lavoro si evidenzia che negli anni che vanno dal 1995 al 2003 si è avuta una significativa riduzione del tasso di disoccupazione anche per il proliferare del lavoro atipico. Nel 2002 infatti, il tasso di disoccupazione è del 7,2%, valore inferiore alla media nazionale, ma il più elevato dell’intera area settentrionale del Paese. Da segnalare che fra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni il tasso di disoccupazione è diminuito dal 45,2% del 1995 al 26,2%, ed anche tra gli appartenenti alla classe d’età 25-29 anni (si è passati dal 30% al 16,7%). Il settore in cui si ha un maggiore numero di occupati è quello di extra-agricoli, nei quali troviamo circa il 78% degli addetti totali. Molto ridotto è il ricorso al lavoro irregolare: Genova si inquadra entro le ultime nove posizioni della graduatoria a livello nazionale. (Tabella 26-27-28-29-30)

5.5. Area metropolitana di Milano Milano risulta essere un buon polo di attrazione per gli stranieri che rappresentano il 3,96% dei residenti e si caratterizza per l’alta densità di popolazione distribuita soprattutto nella periferia e nella provincia. (Tabella 31) Milano si è caratterizzata sempre come uno dei principali poli economici e sociali del nostro Paese; si tratta della prima città italiana pienamente post-industriale, con una percentuale di occupati nel terziario corrispondente pienamente alle più importanti metropoli europee. La quasi totalità delle imprese presenti nell’area (94%) sono di piccola grandezza (con meno di 10 addetti); dagli anni 80 ad oggi infatti è cambiata molto la composizione delle imprese che da grandi sono diventate di piccole e medie dimensioni. La distribuzione dell’occupazione segnala che circa il 65% è impiegato nel settore dei servizi mentre gli addetti nell’industria (acciaio, chimica, meccanica) rappresentano il 34% degli occupati; gli occupati nell’agricoltura sono meno dell’1%. La percentuale di lavoro non regolare è bassa (8,5%). Il tasso di disoccupazione è stato nel 2003 pari al 4,5% (4,6% nel 2004), contro il 5,2% del 2000, di poco superiore a quello medio della Lombardia (3,6%), ma sicuramente meno elevato al dato medio nazionale (8,7%). Questa percentuale è il risultato di un trend decrescente che, negli anni che vanno dal 1995 al 2003, ne ha definito una riduzione di ben 3,6 punti percentuali, grazie al forte ricorso al lavoro atipico. Significativamente alti sono i tassi di attività e di occupazione. La distribuzione per età del tasso di disoccupazione non evidenzia differenze significative rispetto all’analoga distribuzione relativa alla Lombardia e all’Italia intera, anche se vi è una certa difficoltà per le classi più giovani (15-24 anni). (Tabella 32-33-34-35-36)

5.6. Area metropolitana di Bologna L’area metropolitana di Bologna è formata dal centro metropolitano più 19 comuni; gli abitanti totali sono 610.265. La percentuale presente nel centro metropolitano è alta (il 61%). Il 3,5% della popolazione è rappresentato da stranieri,vi è quindi un alto movimento migratorio a testimonianza di una certa attrattività socio-economica dell’area. (Tabella 37) Nell’area metropolitana di Bologna il tasso di disoccupazione complessivo della metropoli registrato nel 2003 è del 2,3% (in calo di mezzo punto percentuale rispetto al dato relativo al 2002); si segnala una situazione positiva rispetto al 1995, quando il tasso si attestava al 4,8%, anche se la diminuzione della disoccupazione si accompagna ad un’alta crescita del lavoro precario. Un tasso che si attesta al 2,3% (3,1% nel 2004) è quasi quattro volte inferiore a quello nazionale e permette all’area metropolitana bolognese di rimanere anche al di sotto della media del Nord-Est. Si deve inoltre segnalare che un’alta presenza di lavoro autonomo sia a tempo determinato sia a tempo temporaneo; la percentuale di lavoro non regolare è dell’11,7%; pertanto l’area metropolitana di Bologna si inquadra al quintultimo posto in Italia ed al penultimo posto nel Nord-Est (dopo Trieste), nella graduatoria provinciale relativa alla diffusione del lavoro irregolare. Se si esamina il trend della disoccupazione sotto i 24 anni, si registra un notevole miglioramento; si è passati infatti da un valore del 12,6% nel 1995 al 7,7% del 2003. Nella classe di età compresa tra i 30 e i 64 anni il tasso di disoccupazione è diminuito sensibilmente negli ultimi otto anni, passando da un livello del 2,7% ad uno pari al 2,3%, sempre però è evidente il continuo ricorso al lavoro atipico. Se si esaminano i vari settori produttivi si rileva che gli occupati nell’agricoltura (riferiti all’anno 2003) sono il 2,9%, nell’industria sono il 33,9% e nei servizi il 63,2%; si aggiunga che il 73,3% degli occupati sono lavoratori dipendenti a fronte di un 26,7% di lavoratori indipendenti. (Tabella 38-39-40-41-42) La percentuale di occupati nel settore industriale di Bologna è molto alta (segue l’area metropolitana di Torino), e per quanto riguarda il lavoro irregolare Bologna registra il valore più basso subito dopo Milano a fronte di un livello molto alto nel Sud d’Italia.

5.7. Area metropolitana di Firenze

L’area metropolitana di Firenze è collocata tra le province di Firenze, Pistoia e Prato. Oltre la metà della popolazione residente in quest’area si trova nel centro metropolitano (provincia di Firenze) di Firenze (54%). Il 22% della popolazione dell’area ha un’età superiore ai 64 anni mentre solo il 18% ha un’età compresa tra 0 e 14 anni. Quest’area ha un’alta percentuale di presenze straniere; con il suo 4% infatti (di cui l’86,3% sono extra comunitari con permesso di soggiorno) si pone al secondo posto tra le province dell’Italia centrale per presenza di immigrati. Gli studi dell’ISTAT del 2003 segnalano che la forza lavoro che si è dichiarata occupata nella provincia di Firenze è di circa 400.000 unità in termini assoluti, di cui oltre i 2/3 sono impiegati nel terziario come lavoratori dipendenti. Il tasso di disoccupazione nel 2003 dell’area è del 3,9%,(5% nel 2004) valore al di sotto sia al dato toscano (4,7%), che a quello italiano (8,7%). Dal 1995 al 2003 questo tasso si è ridotto di 4 punti percentuali (ottava migliore prestazione del Centro Italia), indicatore di una situazione occupazionale in continuo miglioramento in termini assoluti, ma che evidenzia un consistente ricorso alle varie forme di lavoro atipico. Va rilevato che vi è un ridotto ricorso al lavoro irregolare, il cui valore (14,4%) colloca a Firenze nella quartultima posizione nella classifica relativa alle province del Centro Italia. Le tabelle 44-45-46-47 indicano alcuni degli indicatori occupazionali principali per il centro metropolitano di questa area metropolitana per il 2004. È importante evidenziare che oltre il70% degli occupati lavora nel terziario. (Tabella 48)

5.8. Area metropolitana di Napoli L’area metropolitana di Napoli è molto popolata e quasi l’83% delle persone abitano nei 37 centri con più di 20.000 abitanti; ha una bassissima percentuale di lavoratori stranieri residenti. Questo dato si può spiegare anche con il fatto che in quest’area c’è una forte tendenza al lavoro sommerso e irregolare e quindi una cospicua parte della forza lavoro rimane non presente nelle statistiche ufficiali. (Tabella 49) L’area metropolitana di Napoli registra un alto livello di disoccupazione; nel 2002 registrava un tasso di disoccupazione pari al 24,7%, e nel 2003 del 23,6%, e 18,9%(2004) nella sola provincia. Questa situazione è particolarmente difficile per le classi più giovani; nel 2003 nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni si ha un tasso di disoccupazione di circa 65%, e la situazione migliora solo di poco nella fascia di età successiva ossia dai 25 ai 29 anni, fascia in cui il tasso si attesta intorno al 52%. Anche nella fascia di età tra i 30 e i 64 anni si ha un tasso di disoccupazione di quasi 3 volte il corrispondente dato nazionale (14,3% a fronte del 5,6%) Va segnalato poi che quasi il 60% (58,2%) dei lavoratori è occupato al di fuori dei settori dell’agricoltura e dell’ industria, cioè in un terziario differenziato, diffuso e articolato; se si guarda il centro metropolitano (la provincia) tale percentuale sfiora il 75% (2004) (vedi Tab.53). Un altro dato da segnalare è la percentuale di lavoro non regolare (27,7%) che mostra chiaramente quale sia la reale situazione lavorativa in questa area. Gli indicatori principali dell’occupazione nell’area metropolitana sono esaminati nelle tabelle seguenti. (Tabella 50-51-52-53-54)

5.9. Area metropolitana di Palermo “La perimetrazione dell’area metropolitana di Palermo muove dalla considerazione che gli scambi nel sistema palermitano interessano un’ampia area che va dal territorio del comune di Termini Imerese al territorio del comune di Partinico, coinvolgendo anche i comuni più interni delle prime pendici dei monti di Palermo. Le attività principali sono segnate dall’esistenza di due aree industriali abbastanza consolidate, quasi agli estremi dei territori dell’AM, definite dal nucleo di Carini e dall’area di Termini Imprese. Queste due localizzazioni inducono spostamenti per occasioni di lavoro, erogazione di servizi e localizzazione della residenza di carattere quotidiano, ormai di notevole entità. Il patrimonio abitativo dell’area, oltre a contare sulla realtà delle grandi concentrazioni urbane, ha definito una consistente presenza di abitazioni stagionali, utilizzate appieno per un periodo variabile dai quattro ai cinque mesi dell’anno. Ciò accresce gli spostamenti ed i fenomeni di pendolarismo interno nei periodi dell’anno con temperatura più elevata ed ha avviato abitudini stanziali diffuse che tendono a radicarsi nel costume corrente ed a crescere. Il forte peso definito dalla realtà della città di Palermo quale polo erogatore dei principali servizi di attività commerciali e di occasioni di lavoro nelle attività terziarie, condiziona fortemente i flussi verso una direzione centripeta che tende a crescere nonostante l’incapacità di Palermo di definire una politica adeguata al centro capoluogo della Sicilia. ... I comuni interessati dalla delimitazione dell’area sono 27.... Oltre alle funzioni direzionali e dei principali servizi che Palermo offre, anche se complessivamente carenti rispetto al peso della popolazione esistente e gravitante, l’area metropolitana contiene un sistema delle attività industriali principalmente dislocate lungo la costa, dove trova posto in alternanza anche il sistema delle principali aree turistiche e/o a vocazione turistica. L’unico polo turistico un poco spinto verso l’interno, costituito dalla realtà di Monreale, non possiede alcuna attività alberghiera che permetta il radicamento di economie, oltre quelle legate alle visite giornaliere”19. (Tabella 55) L’ area metropolitana di Palermo è rappresentata dal centro metropolitano, che ha un alto livello di popolazione e da 12 comuni che ne compongono l’hinterland ma che comprendono solo il 20 per cento della popolazione. Come si è già visto il centro metropolitano è sempre predominante, sia per quanto riguarda la popolazione residente sia per il PIL pro capite e anche per Palermo si registra una concentrazione molto alta. Questo fa sì che quest’area metropolitana arriva a classificarsi terza, solamente dopo Roma e Genova, essendo superiore di ben 21 punti percentuali alla media calcolata su tutte le aree metropolitane. Nonostante la suddetta alta concentrazione della popolazione nel capoluogo di regione l’area metropolitana palermitana si differenzia molto dalle altre aree, per il ridotto numero di abitanti per chilometro quadrato. La percentuale di popolazione lavoratrice straniera è molto bassa; si attesta infatti all’1%, al di sotto di circa il 2% della media delle altre aree metropolitane. Questo valore può essere giustificato sia dalla presenza di stranieri non in regola sia dal fatto che, essendo comunque un’area con ridotte possibilità di impiego i cittadini stranieri sono più portati ad andare al Nord per cercare lavoro. Analizzando ora il mercato del lavoro si nota che il tasso di attività lavorativa nella provincia di Palermo nel 2003 è moderato (40,1%), ma in tendenziale crescita dal 1995 (+ 2%). La disoccupazione, che nella seconda metà degli anni ‘90, era arrivata a un valore del 24,6%, ha recuperato 1,7 punti percentuali nel 2003, raggiungendo un tasso di disoccupazione medio pari al 22.9% (valore che tuttavia costituisce ancora il quarto maggior livello d’Italia) e nel 2004 nel solo centro metropolitano si attesta al 20,3%. Non molto alta è in apparenza la presenza del lavoro irregolare: la percentuale delle unità di lavoro non regolare sul totale (26,5%), è più bassa sia al dato regionale (38,1%), sia a quella del Mezzogiorno (34,3%), anche se risulta ancora maggiore al valore nazionale di circa 4 punti percentuali. Circa il 70 % della popolazione occupata è impiegata nel settore terziario, mentre solo il 3,4% è impiegato nel settore agricolo (anche se questo dato è superiore al valore medio delle 11 aree che si attesta intorno al 2,3%). Nel centro metropolitano per il 2004 la percentuale degli occupati nei servizi è di circa il 78%. Di poca rilevanza invece, è il numero di lavoratori impiegati nell’industria. I principali indicatori occupazionali di Palermo centro metropolitano (provincia) sono rappresentati nelle tabelle 56-57-58-59-60.

5.10. L’area metropolitana di Bari La provincia di Bari con circa un milione e mezzo di abitanti è la quinta provincia per numero di abitanti a livello nazionale (rappresenta il 2,7% della popolazione italiana). Molto ridotta è la presenza di lavoratori extracomunitari nella provincia; infatti Bari risulta essere all’80° posto a livello nazionale. Nel 2003 la percentuale di occupati (38,9%) (46,8% nel centro metropolitano per il 2004 nella classe 15-64 anni) anche se inferiore alla media nazionale (44,4%), è la più alta nella regione e nel Mezzogiorno in generale; il tasso di attività (forza lavoro/ popolazione residente) si conferma al 43,7% e risulta essere inferiore di 5 punti al valore medio italiano pari al 48,8%. Il tasso di disoccupazione si attesta nel 2003 al 11,5% (su un totale, in termini assoluti, di 62.000 persone in cerca di occupazione), e anche se rappresenta un valore moderato nella realtà pugliese e meridionale complessiva, è comunque superiore di quasi 3 punti percentuali rispetto al tasso medio italiano. La disoccupazione nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni, è maggiore al livello nazionale di circa 5 punti percentuali, mentre l’incidenza del lavoro irregolare (pari al 23,9%) mette Bari in evidenza come tutte le province del Mezzogiorno. Da rilevare che è molto alto il numero di occupati nell’agricoltura (primo posto in Italia, con circa 40.000 addetti nel 2003 e 36.000 nel 2004). Le tabelle 62-63-64-65 mostrano i dati sui principali indicatori dell’occupazione.

5.11. L’area metropolitana di Catania “La perimetrazione dell’area metropolitana di Catania si configura come il sistema dei comuni sud-etnei e muove dalla considerazione che gli scambi nel sistema catanese interessano un ampio territorio che ha come principali capisaldi, oltre al polo del capoluogo, i centri di Acireale a nord e di Paternò a ovest....I comuni interessati dalla delimitazione dell’area sono 27. L’ampiezza demografica dell’area, pur se il peso di Catania rimane preponderante, dimostra come si configuri un’articolazione di tre cittadine con una dimensione di abitanti superiore alle 40mila unità e di altri nove centri che superano i 15mila abitanti. I comuni, aggregati a grappolo, che definiscono il sistema etneo, direttamente a contatto con la città di Catania e che sono localizzati nelle prime pendici a nord del centro capoluogo, definiscono un sistema insediativo complesso che rappresenta più di un terzo della popolazione dei comuni gravitanti. L’agricoltura è ancora un’attività delle aree più interne, configurando, di fatto, un sistema che, con iniziative legate alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti, potrebbe polarizzare anche aree più ampie, esterne all’area metropolitana.”20

Una caratteristica molto importante in quest’area metropolitana è l’alto valore dell’offerta di lavoro indirizzata al terziario (72,8%, ottavo maggior valore in Italia). Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione si registra una diminuzione di circa un punto percentuale dal 2002 al 2003 passando dal 23,1% al 22%. Anche per questi alti valori l’area metropolitana di Catania si posiziona al nono posto in Italia, fra le province con il più alto livello di disoccupazione. Va evidenziato che la situazione è molto critica per i lavoratori appartenenti alla fascia di età compresa tra i 30 e i 64 anni: la disoccupazione in questa fascia di età arriva al 15,6%, il quarto valore più elevato del Paese. In quest’area metropolitana è poi molto pressante il problema della cosiddetta “economia sommersa”; si pensi che il 35,9% degli occupati totali sono irregolari (23-esimo valore più elevato del Paese), dato che risulta più basso solo di quello medio siciliano pari al 38,1%. Le tabelle 66-67-68-6970 mostrano i valori dei principali indicatori occupazionali rilevati a Catania. Nel 2004 nel centro metropolitano circa il 73% degli occupati apparteneva ai servizi, e l’80,2% del contributo al valore aggiunto proveniva da questo settore, mentre il 16,9% dall’industria manifatturiera.

Note

1 Ricercatrice socio-economica, membro del Comit. Scient. di CESTES e del Comit. Progr. Scientifica di PROTEO.

2 Prof. Univ. “La Sapienza”; Direttore Scientifico CESTES e della rivista PROTEO.

3 Cfr. A.Fubini e F.Corsico(a cura di), Aree metropolitane in Italia, p.565.

4 Cfr. E.Del Colle, Le aree metropolitane nel processo di internazionalizzazione p.160.

5 Legge 142/90, Gazz. uff. suppl. ord. n°135 12/6/1990, capo IV, art. 17, comma 1.

6 Per approfondimenti: Gazz. uff. suppl. ord. n°135 12/6/1990, Legge 142/90, capo IV articoli 17, 18, 19, 20, 21.

7 Cfr. http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/00267DL.htm; la legge continua con l’art. 24 :” Articolo 24 Esercizio coordinato di funzioni 1. La regione, previa intesa con gli enti locali interessati, puo’ definire ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative e di cooperazione, nelle seguenti materie: a) pianificazione territoriale; b) reti infrastrutturali e servizi a rete; c) piani di traffico intercomunali; d) tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento atmosferico; e) interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica; f) raccolta, distribuzione e depurazione delle acque; g) smaltimento dei rifiuti; h) grande distribuzione commerciale; i) attivita’ culturali; l) funzioni dei sindaci ai sensi dell’articolo 50, comma 7. 2. Le disposizioni regionali emanate ai sensi del comma 1 si applicano fino all’istituzione della citta’ metropolitana.

8 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/00267DL.htm

9 Legge 267/2000, capo III, art. 23, comma 1.

10 http://www.areeurbane.apat.it/site/_contentfiles/00037200/37230_aree_metropolitane.pdf

11 Cfr. www.censis.it La ricchezza del territorio italiano; La ricerca delinea la geografia del benessere e stima il PIL per tutti i comuni italiani, 16 Gennaio..., op. cit.

12 Cfr. ”Municipium” RUR-CENSIS, Roma, novembre 2004, pag. 8.

13 Cfr. ”Municipium” RUR-CENSIS, Roma...”, op. cit. pag. 15.

14 Cfr. ”Municipium” RUR-CENSIS, Roma...”, op. cit. , allegato statistico

15 Cfr. ”Municipium” RUR-CENSIS, Roma...”, op. cit. , allegato statistico.

16 Cfr. ”Municipium” RUR-CENSIS, Roma...”, op. cit. pag. 24.

17 Nostra elaborazione da ”Municipium” RUR-CENSIS, Roma...”, op. cit. pag.39.

18 http://temi.provincia.mi.it/statistica/html/rapporto2001/popolazione01/areemetropolitane.htm

19 http://www.anci.sicilia.it/aree/area_ct.htm; Fonte: Nicola G. Leone e Andrea Piraino “Le aree metropolitane siciliane” Edizioni Incipit - Collana Ancisicilia (1996).

20 http://www.anci.sicilia.it/aree/area_ct.htm; Fonte: Nicola G. Leone e Andrea Piraino “Le aree metropolitane siciliane” Edizioni Incipit - Collana Ancisicilia (1996).