Cuba: l’isola che... c’è!

Emidia Papi

Sono stata a Cuba lo scorso Febbraio, per la prima volta, su invito dell’Associazione degli Economisti Cubani che tenevano il loro Congresso annuale, con una delegazione del Cestes. Mai avrei pensato di scrivere su questo mio soggiorno sull’isola ma la pubblicazione dell’appello sottoscritto da oltre 200 intellettuali, artisti e Premi Nobel, con cui si chiede alle Nazioni Unite di non permettere “che si legittimi l’aggressione anticubana” da parte del Governo degli Stati Uniti e la polemica che ne è seguita sui maggiori quotidiani mi hanno spinto a riflettere su quanto avevo “vissuto” a Cuba e sulle perplessità che ne erano derivate. Parto subito dalle perplessità: nell’isola mi aspettavo di trovare una situazione economica e sociale di gran lunga peggiore di quella che ho potuto constatare de visu: le vecchie automobili americane degli anni 50 non la fanno più da padrone nelle strade; circolano molte macchine nuove e anche se il problema della mobilità e dei trasporti è ancora lungi dall’essere risolto in maniera soddisfacente non è più un problema rifornirsi di benzina; i negozi sono abbastanza riforniti e frequentati, per quel che ho potuto vedere, anche dai cubani e non solo dai turisti; le gelaterie sono prese d’assalto dagli indigeni; qualche problema in più per i panini dato che i bar ed i chioschi non brillano per varietà di gusti ma insomma una birra e qualcosa da mangiare si trovano ovunque; ho fotografato una coda di gente che aspettava di entrare in una libreria stracolma di persone. Certo i cubani non esibiscono la stessa quantità di cellulari che è possibile sentire trillare qui da noi, in strada e dappertutto, ma ciò non può che far bene ai loro neuroni, visto che non ci sono difficoltà a trovare telefoni pubblici funzionanti. Sono andata alla Fiera del Libro che aveva luogo in un grande enorme spazio, l’antica Cavana, una fortezza spagnola che è un insieme di caserme, fossi, edifici, che il Che prese nei primi giorni del Gennaio 1959 e dove organizzò un’accademia militare/culturale. Ho letto che oltre ad organizzare corsi di alfabetizzazione tenuti dagli studenti dell’Avana, quasi obbligava gli stupiti guerriglieri a praticare uno sport e ad assistere a concerti e spettacoli con i più famosi attori, poeti, cantanti, pittori e musicisti cubani dell’epoca. Ma più stupita ancora sono rimasta io alla vista di migliaia e migliaia di persone - arrivate con macchine private che riempivano un grandissimo parcheggio o sbarcate da quegli improbabili autobus chiamati cammelli e dalle uaua - che si riversavano nei vari padiglioni o assistevano, a decine, con un’attenzione incredibile, alle presentazioni dei libri. Interi gruppi familiari, vestiti modestamente, certo, ma dignitosamente, tutti con un libro fra le mani che poi approfittano della bella giornata per fare un picnic all’aria aperta. Mi hanno detto che le ultime tre edizioni, ognuno delle quali ha fatto il giro dell’isola con 34 tappe nei centri maggiori, sono state visitate complessivamente da oltre 9 milioni di cubani con 15 milioni di libri venduti, un bel traguardo se pensiamo che la popolazione di Cuba è pari a circa 11 milioni di abitanti. In giro per l’Avana vecchia una folla di gente a tutte le ore, moltissimi giovani - quando siamo arrivati erano gli ultimi giorni di una settimana di vacanze a scuola - e due sole anziane che mi hanno avvicinata per chiedere l’elemosina. Insomma, mi dicevo, possibile che non riesco a vedere quelle terribili condizioni, quella prigione a cielo aperto in cui è rinchiuso il popolo cubano, che vengono così abilmente propagandate dai politicanti nostrani, dai nostri intellettuali, dai nostri organi di stampa? E mi veniva il dubbio che forse non ero capace di vedere, che forse non ero stata nei posti giusti (ma le strade non sono i posti giusti?) e nelle situazioni vere, che mi ero accontentata delle apparenze. È per questo che l’articolo del maestro Claudio Abbado, apparso sul Corriere della Sera del 18 Marzo scorso mi ha stimolato; perché non si parla delle cose positive di Cuba? Della ricerca medica, dell’istruzione pubblica, della sanità, tutte cose per cui Cuba è all’avanguardia, nonostante i decenni di embargo e nonostante, non dimentichiamolo, sia un paese povero, di quella parte del mondo non sviluppato economicamente. Si attacca Cuba dicendo, sapendo di mentire, che esistono leggi per la repressione dell’omosessualità, ho parlato di questi con conoscenti cubani che mi hanno confermato che esistono pregiudizi, non leggi nei confronti degli omosessuali, che non è facile sradicare ma all’Università di Pinar del Rio ho visto un manifesto con la foto di un giovane ed un adulto che diceva: “Non è del tutto uguale a te ma questo non lo fa diverso. Non giudicare tuo figlio dalle sue preferenze sessuali. Tu l’hai portato per mano, sta a te comprenderlo ed amarlo” Se paragoniamo Cuba al nostro o ad altri paesi dell’occidente sviluppato, la differenze esiste eccome; il paragone va fatto con i paesi dell’America Latina, Argentina compresa, e allora la realtà balza all’occhio: non esistono meninos de rua, anzi si avverte una cura particolare verso l’infanzia: negli ultimi due anni ha preso il via una campagna per il sostegno alimentare ai bambini appartenenti a famiglie indigenti; due milioni di bambini sono stati pesati e misurati, a quanti trovati sottopeso, il 5% del totale, è stato assegnato un sussidio alimentare; oltre quattrocentomila famiglie con disabili ricevono un sostegno economico; gli operatori sociali sono passati dai 790 di dieci anni fa ai 21.000 di oggi e ciò ha permesso di estendere a migliaia di cubani ultreriori sostegni rispetto ai servizi pubblici gratuiti per tutti, senza considerare che Cuba offre attualmente a 69 paesi l’assistenza di 24.000 operatori sanitari. Da tre anni è in vigore un programma per il recupero dell’abbandono scolastico (fenomeno particolarmente rilevante per le studentesse molte delle quali lasciano la scuola perché incinte); incentivati dall’erogazione di un sussidio economico in 120.000 sono tornati sui banchi di scuola e in 35.000 all’Università. Il programma è stato deciso sulla base di più considerazioni: il 98% dei giovani che commettono reati proviene da famiglie con genitori non laureati; l’abbandono scolastico favorisce fenomeni di devianza sociale; si è lavorato sul recupero dell’autostima da parte di questi giovani. Il recupero è arrivato anche nelle carceri: l’80% dei giovani reclusi studia e molti di loro si preparano per l’Università; elevare il livello culturale, mi hanno detto, è la cura migliore per creare benessere ed ordine sociale. Nella scuola è in atto una nuova rivoluzione: dopo l’eliminazione dell’analfabetismo la cura maggiore sta nell’incentivare l’ingresso nelle Università; negli anni 90, nel periodo especial, molti insegnanti e professori hanno lasciato la scuola per lavorare nelle strutture turistiche con la conseguenza che si era giunti a 40 alunni per classe, oggi il miglioramento della situazione economica ha permesso di tornare ad una media di 20 alunni per classe; ma da noi con i tagli della Moratti non siamo oltre i 30? Certamente il PIL in costante crescita, nonostante gli uragani e la siccità come non si erano mai visti a memoria delle ultime generazioni, la ripresa della ricerca farmaceutica e delle biotecnologie, gli accordi economici con la Cina e con il Venezuela, l’aumento della produzione di gas naturale, petrolio e nichel, oltre alla risorsa del turismo, hanno contribuito sensibilmente ad alleviare i disastri provocati dalla caduta degli scambi con i paesi dell’Est, dal crollo del prezzo dello zucchero sui mercati esteri, tanto che oggi se ne produce quel tanto che basta al consumo interno. Altro aspetto interessante: le coltivazioni biologiche. Già sapevo per conoscenza diretta che a Cuba operano ONG con il compito di promuovere l’agricoltura urbana, ovvero adibire anche piccolissimi appezzamenti a produzioni “organoponiche”. Ne abbiamo visti parecchi, alla periferia di Pinar del Rio ci siamo avvicinati a curiosare ed Hector, il contadino, ci ha spiegato che usano solo composti organici o provenienti da lombricocoltura; producono e vendono direttamente nella calle, dividono l’acqua con il vivaio adiacente con cui l’orto organoponico vive quasi in simbiosi; nei dintorni un Liceo, i cui studenti provvedono a coltivazioni organoponiche per la loro alimentazione. Abbiamo saputo che questo tipo di colture viene incentivato anche allo scopo di modificare le abitudini alimentari dei cubani, per promuovere il consumo di vegetali freschi per ridurre, credo, il colesterolo che deve essere particolarmente diffuso se è qui che è stato inventato il PPG, un ritrovato medico naturale, molto ricercato anche dai colesterolici nostrani! A Santa Clara tutto parla del Che, dal treno blindato la cui cattura segnò la fine di Batista alle strade che percorse, alla casa dei suoceri, in Calle Cespedes 15, dove alloggiava nei suoi frequenti soggiorni. Nel Mausoleo dove riposano i suoi resti, circondato dai guerriglieri che furono con lui nell’ultima battaglia, emozioni troppo grandi e troppo intime per parlarne. Per contrasto, nella piazza principale di santa Clara uno splendido quintetto, Los Fachiros, ci incanta: il solista avrà avuto 70 anni e una pergamena di rughe ricopre il suo viso, ma ha una voce che ti fa muovere senza che te ne accorgi e infatti subito veniamo coinvolti insieme ad una piccola folla di ballerini che ci fanno vergognare della nostra legnosità! Altri episodi tornano alla mente, ma la cosa che più mi ha colpito è che parlando con la gente che incontri, anche casualmente, ti sembra di ripercorrere un pezzo della storia recente: Antonio, che fa servizio di proteccion alla Fiera del Libro, ci racconta del suo passato militare in Etiopia e del suo ricordo più amaro: i bambini, nudi con il corpo ricoperto di mosche; altri ci parlano della partecipazione alle lotte d’indipendenza dell’Angola, della Namibia, del Congo. Tutto bene, dunque? Nemmeno un neo? Certo che non è così; Salaria mi parla dei problemi causati dal crollo dell’economia seguita alla caduta dell’Unione Sovietica, delle difficoltà del periodo especial, del ricorso al turismo che ha creato disegualianze sociali: chi lavora nel settore può guadagnare in pochi giorni quanto un cubano impiegato in altri lavori guadagna in un mese; della prostituzione che va alla grande nei centri turistici e a cui si è cercato di porre un freno negli ultimi tempi con controlli serrati sull’immigrazione interna ma che è lontana ancora dall’essere eliminata; della corruzione; dei problemi della donna (anche qui si comincia a non fare più figli per non compromettere il benessere raggiunto), della penuria di case. All’Avana Vecchia, quartiere bellissimo dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, c’è un gran lavorio, ristrutturazioni di vecchi magnifici edifici, ma molti altri sono malandati, molte strade avrebbero bisogno di manutenzione ma l’embargo, nel solo 2004 ha sottratto risorse per 1800 milioni di dollari; con gli stessi soldi si potevano costruire 130.000 alloggi! Non vorrei finire con la solita statistica del tasso di mortalità infantile inferiore a quello degli Stati Uniti e lontano abissi da quello dei paesi latinoamericani, ma insomma tutto ciò varrà pure qualcosa sul piano del rispetto dei diritti umani e allora a Valerio Merola - che a Cuba ha trovato riparo a seguito di uno scandalo e che oggi viene intervistato quale opinionista, sic!, dal Corriere della Sera - che scopre che sì “ la gente a Cuba studia, non è l’India dove i bambini stanno in mezzo alla cacca, ma insomma un chirurgo qui guadagna solo 30 dollari al mese”, consiglierei un giro nelle favelas messicane o a scelta brasiliane o ad Haiti, tanto per citare solo alcuni. E poi ne riparliamo.

Note

* Federazione Rappresentanze Sindacali di Base - RdB/CUB.