La povertà nell’abbondanza

Dario Stefano Dell’Aquila

Povertà e disuguaglianza negli USA

L’America ha due grossi problemi economici: la lenta crescita e l’aumento della povertà (che è la conseguenza sia dell’inadeguato incremento della produttività, sia della crescente sperequazione dei redditi). A loro confronto ogni altro problema appare secondario oppure del tutto inesistente1. Paul Krugman

1. Trentasei milioni di poveri

Se a qualcuno le parole di Paul Krugman possono apparire eccessive, basta scorrere le statistiche per dire che ha pienamente ragione ad individuare nella povertà negli Stati Uniti un «grosso problema economico». Gli Stati Uniti sono una paese dalle molte sfumature, con una indubbia quanto contestata supremazia mondiale, nelle cui università insegnano le migliori menti del pianeta. Eppure, nonostante la concentrazione dei saperi, quanto del potere, gli Stati Uniti sono il paese industrializzato che conta più bambini poveri di ogni altro e in cui le condizioni di povertà sono tali da fare dire allo stesso Krugman, a proposito di un possibile aumento della spesa sociale «tutto ciò avrebbe un costo, ma non eccessivo, perché i nostri poveri sono così poveri che una spesa modesta sarebbe sufficiente per migliorare sensibilmente le loro condizioni»2. Di fatto il panorama che l’US Census Bureau, il dipartimento di statistiche statunitense, offre è, anche nella sola semplice enunciazione dei numeri, tanto dettagliato quanto indicativo. I dati del triennio 2001-2003 indicano una recrudescenza della povertà e delle disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. I dati stimano che il tasso di povertà sia nel 2003 del 12,5%, una percentuale che in termini assoluti rappresenta 35,9 milioni di persone3. Gli Stati Uniti sono il paese occidentale con il più alto numero di poveri, ed essendo anche la prima potenza mondiale, questo dato, nella sua crudezza lascia aperta la porta ad una riflessione sul rapporto tra economia di mercato e stato sociale, che negli USA, notoriamente, vede la prima prevalere sul secondo. I tassi di povertà riflettono anche un elemento di discriminazione etnica (sono più alti per la popolazione afro-americana e per quella di origine ispanica e asiatica) e colpiscono ben il 17,6% della popolazione con meno di 18 anni. Il tasso di povertà tra le persone comprese tra i 18 e 64 anni è del 10,8%, quello delle persone con più di 65% anni è del 10,2% A questi dati va aggiunto un altro elemento importante che è il numero di persone che si trova appena sopra la linea di povertà4. Sono 12,5 milioni le persone che superano di poco la linea di povertà e sono definite come “near poor”, cioè quasi poveri. Sono persone che vivono in famiglie generalmente monoreddito, per le quali un evento critico (un divorzio, una malattia, un infortunio) può determinare un rapido peggioramento delle condizioni di vita. Se sommiamo le persone economicamente povere con quelle vulnerabili arriviamo ad una stima di 48,4 milioni di persone che versano in precarie condizioni economiche. Un fenomeno che rappresenta una costante per la società statunitense. Infatti, con una felice parentesi negli anni Sessanta, i tassi di povertà sono sostanzialmente invariati negli ultimi trenta anni, con profonde discriminazioni razziali e di genere. L’attuale tasso di povertà è di circa 10 punti percentuali inferiore a quello del 1959, anno in cui negli Stati Uniti sono state introdotte le statistiche sulla povertà, ma analogo a quello del 1970. Va poi sottolineato che negli ultimi due anni, dal 2001 al 2003 il numero di persone povere è aumentato da 32,9 a 35,9. Ciò vuol dire che, con una linea di povertà rimasta invariata, in soli tre anni, ci sono tre milioni di nuovi poveri.

2. La composizione della povertà

Il tasso di povertà delle persone comprese tra i 18 e 64 anni è rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi tre anni in termini percentuali, mentre in valori assoluti è aumentato passando da 18,9 milioni del 2002 a 19,4 nel 2003. Il tasso di povertà e il relativo valore assoluto è invece rimasto invariato per le persone con più di 65 anni, mantenendosi al 10,2%, per un totale di 3,6 milioni di persone. Cresce invece la percentuale tra i giovani, con età inferiore a 18 anni. Ben 12, 9 milioni di ragazzi, per una percentuale del 17,6%. Il dato era di 12,1 milioni nel 2002, 16,7%. I ragazzi rappresentano il 35,9% della popolazione in povertà, mentre sono il 25,4% della popolazione statunitense. Il tasso di povertà di ragazzi al di sotto dei 6 anni di età è del 19,8% e di 4,7 milioni; nel 2003 era del 18,5%. Il 52,9% di bambini al di sotto dei 6 anni, che vivono in famiglie in cui il “capofamiglia” è donna, versa in stato di povertà: ben cinque volte il tasso di coetanei poveri (9,6%) in famiglie in cui sono presenti entrambi i genitori. Emerge poi prepotente un elemento di discriminazione razziale. Il tasso di povertà per i bianchi non ispanici è rimasto stabile, 8,2% nel 2003, ben 15,9 milioni. I “bianchi” rappresentano il 67,6% del totale della popolazione, ma solo il 44,3% delle persone in povertà. Il tasso di povertà per le persone di origine afroamericana è del 24,4% nel 2003, pari ad 8,7 milioni di persone. La percentuale di persone di origine ispanica è pari al 22,5%, 9,1 milioni di persone. Tra le persone di origine asiatica il tasso di povertà è di 1,4 milioni, una percentuale equivalente all’11,8%. La distribuzione della povertà appare uniforme nelle quattro macroaree, Northeast (11,3%), Midwest (10,7%), South (14,1%), West (12,6%) in cui si suddividono gli Stati Uniti, ma aumenta per le persone che risiedono nelle aree metropolitane. Il tasso di povertà di persone che abitano in aree metropolitane è pari al 12,1% nel 2003 (era l’11,6% nel 2002), è cresciuto di un milione e trecentomila unità, dai 27,1 milioni del 2002 ai 28,4 del 2003. Il tasso di povertà tra persone che vivono al di fuori di aree metropolitane è rimasto inalterato, 14,2%, 7,5 milioni di persone. Inalterata anche la percentuale di poveri che vivono nei suburbi, 9,1%. Cresce però il valore assoluto, 13,8 milioni contro i 13,3 del 2002. È aumentata anche la povertà tra coloro che vivono nelle città, 14, 6 milioni nel 2003, 17,5%, contro il 13,8 del 2002, pari al 16,7%. Il 10% delle famiglie americane vive in povertà. Sono, in valori assoluti, 7,6 milioni di famiglie rispetto ai 7,2 milioni del 2002. Le famiglie con entrambi i genitori non mostrano cambiamenti nel loro tasso di povertà o nel loro numero. Per contro il tasso di povertà e il numero è aumentato sia per le famiglie con un capofamiglia donna (28,0% e 3,9 milioni nel 2003, 26,5% e 3,6 milioni nel 2002) che per le famiglie con capofamiglia uomo e senza moglie (13,5% e 640.000 nel 2003, rispetto al 12,1% e 560.000 nel 2002. Non è sufficiente disporre di un lavoro per non essere coinvolti nella spirale della povertà. Per quanto riguarda le persone che lavorano, il 5,8%, che rappresenta ben 8,820 milioni di persone, dei lavoratori è povero, cioè non dispone di un salario o di un reddito sufficiente a superare la linea di povertà. Il 2,6% dei lavoratori a tempo pieno, 2,636 milioni, è al di sotto della linea di povertà, 6,183, 12,2 %, sono lavoratori saltuari. Le persone che non hanno lavorato nemmeno una settimana nell’ultimo mese sono 15,446 il 21,5% dell’universo statistico di riferimento. Nel 1998, negli USA, l’un per cento delle famiglie più ricche possedeva il 38% di tutta la ricchezza del paese. Il 5% della popolazione possiede il 59% di tutta la ricchezza prodotta, il 20% ne possiede l’80%. Il 10% delle famiglie possiede circa l’85% di tutti i beni finanziari. Una differenza che ha risvolti di discriminazione razziale. Il reddito di una famiglia afro-americana è circa il 60% di un’analoga famiglia bianca. La linea mediana del reddito in termini monetari per le famiglie è rimasta invariata tra 2002 e 2003, al livello di 43,318. La mediana dei redditi reali degli uomini che lavorano a tempo pieno durante l’anno è rimasta costante tra il 2002 e 2003 a 40.668 dollari. La mediana che riguarda il gruppo equivalente di donne è di 30.724 dollari. Anche il reddito segue un criterio etnico, penalizzando le minoranze. Il reddito medio degli afro-americani è più basso in assoluto, 30.000 dollari, che è il 62% del reddito medio delle famiglie bianche non ispaniche (48.000 dollari). Il reddito medio per le famiglie ispaniche è di circa 33.000 $ nel 2003, il 69% delle famiglie bianche non ispaniche. Gli asiatici hanno invece il reddito medio più alto, nel 2003 pari a 55.500 dollari, il 17% in più di quello delle famiglie bianche. In generale va segnalato come dal 1959 al 2003 la differenza tra il reddito degli uomini e quello delle donne sia rimasta inalterata. Naturalmente i valori percentuali e quelli assoluti consentono solo una fotografia della povertà negli USA dell’ultimo triennio. Possiamo però sottolineare che emerge, assieme ad una “cronicizzazione” dei tassi di povertà e della loro composizione tra gruppi etnici, famiglie e fasce d’età, una certa dinamicità e quindi rapidità di spostamenti tra diversi livelli di benessere o di povertà. Tre elementi, richiamati dal Census Bureau, sono interessanti: a) Il 38% delle famiglie che si trovavano nel quintile più basso nel 1996 si sono spostate in un quintile più alto, mentre il 34% di quelle che si collocavano nel quintile più alto sono “scese” in un quintile più basso; b) Circa la metà delle persone in povertà nel 1996, non era povera nel 1999; c) Il tempo medio, per le persone che perdono l’assicurazione sanitaria, di assenza di copertura medica è di 5,6 mesi nel triennio 1996-19995. Questi dati vanno interpretati correttamente. Se i tassi di povertà crescono, in termini assoluti e in valori percentuali, ma si verifica una dinamicità delle persone che li compongono è, a nostro avviso, possibile una sola interpretazione. Le dinamiche del mercato, delle crisi economiche e dei momenti di espansione, non accompagnati da un’adeguata struttura di welfare state, determinano repentini cambiamenti nelle condizioni di lavoro e di vita degli individui e delle loro famiglie. Tale dinamicità crea un illusione ottica, per cui a ciascun individuo viene offerto, apparentemente, un sistema infinito di opportunità. Ma i numeri dimostrano che se tali dinamiche determinano traiettorie individuali di successo, non possono modificare un sistema economico altamente ineguale. Si entra ed esce con estrema facilità dalla povertà perché la linea di confine tra chi è considerato povero e chi no è estremamente sottile. Ciò vuol dire che la dimensione della vulnerabilità assume un peso importane nella vita quotidiana di ciascuna famiglia americana. Se la via per raggiungere il sogno della ricchezza è lunga, quella per l’incubo della povertà è davvero breve.

Note

* Dottorando di ricerca in Istituzioni, Ambiente e Politiche per lo sviluppo economico, Facoltà di Economia, Università di Roma 3.

1 P. Krugman, L’incanto del benessere, Garzanti, 1995, p. 330.

2 Ivi, p. 332.

3 In ordine alfabetico quanti sono gli abitanti di Albania, Austria, Belgio, Bosnia, Bulgaria.

4 I dati che seguono sono disponibili sul sito www.uscensusubureau.org. Vi si trovano anche i metodi di stima della soglia di povertà.

5 Cfr. Dynamics of Economic Well-Being in www.sipp.census.gov/sipp