Il Sud Italia negli ultimi mesi è stato attraversato da diverse lotte popolari e operaie che hanno, in qualche modo, segnato una inversione di tendenza straordinaria rispetto ad un quadro sociale e politico sempre descritto come stagnante e immobile.
Le lotte popolari dei cittadini di Scanzano, degli operai di Melfi, dei comuni della Campania contro gli inceneritori e discariche, dei disoccupati napoletani e palermitani, il movimento contro il ponte sullo stretto di Messina, le tante micro lotte di lavoratori delle aziende in crisi della Puglia, ecc. dicono chiaramente del fallimento di tante analisi, molto spesso fatte a sproposito, che parlano di un Mezzogiorno che chiede solo assistenzialismo: quello che emerge, invece, da tutte queste mobilitazioni è la forte richiesta di nuovo modello di sviluppo, di una diversa qualità della vita e del lavoro, nonché di diritti e reddito.
Per spiegare questo fenomeno non è sufficiente dire che siamo governati da un Esecutivo che ha fatto dell’antimeridionalismo uno dei punti centrali del proprio programma.
Se è vero che, da un lato, il governo Berlusconi/Bossi non ha perso occasione per continuare ad impoverire il sud Italia, vedi ultima proposta di finanziaria, chiudendo sempre più i canali di finanziamento e investimento nel mezzogiorno d’Italia, preferendo il finanziamento delle missioni di guerra ed esasperando gli animi attraverso una stretta sugli ammortizzatori sociali, è altrettanto vero che queste mobilitazioni di massa hanno messo in crisi anche buona parte della sinistra moderata e dei sindacati concertativi.
Questi ultimi, infatti, stanno ora seriamente riflettendo sulla inefficacia di politiche occupazionali moderate e filo-padronali che prevedevano bassi salari in cambio di occupazione e anche di tutta una serie di strumenti, come i contratti d’area e i “patti territoriali”, tanto sbandierati come panacee e volani di sviluppo dai governi di Centrosinistra e dai sindacati concertativi ma dimostratisi, in realtà, fallimentari sia sul piano occupazionale che ambientale.
Le finanziarie di guerra sostenute dal governo Berlusconi-Bossi, la flessibilità e precarietà del lavoro, sono proposte che non a caso trovano forti ostacoli al sud, in quanto queste politiche non affrontano, volutamente, in modo strutturale la lotta alla disoccupazione di massa.
Quello che emerge oggi è un mezzogiorno non più disponibile ad essere “zona di sperimentazione” di flessibilità e politiche antisociali, un mezzogiorno che reclama una buona e stabile occupazione, compatibile con il territorio.
Le condizioni di forte precarietà salariale e lavorativa dei part-time, dei contrattisti di formazione, dei Co.Co.Co, degli interinali, dei lavoratori in mobilità e LSU, dei pensionati al minimo, hanno avuto l’effetto di abbassare le condizioni di vita di larga parte della società meridionale per come composta e strutturata: oggi siamo in presenza di una vera e propria povertà di massa, con famiglie che vivono con un reddito inferiore a 800 euro al mese, e una difficoltà sempre crescente a contenere il disagio sociale con il solidarismo dei nuclei familiari o con i mille interventi assistenziali.
In questo quadro complessivo si inseriscono le numerose proposte per istituire il Reddito Sociale Minimo, diretto e indiretto (servizi).
La sperimentazione del reddito sociale avviata in Campania, seppur con tutti i limiti e i tetti di spesa, è una parziale risposta all’impoverimento della gente; ma da sola non basta, va rilanciata una battaglia per un nuovo stato sociale che garantisca servizi gratuiti (scuola, trasposti, casa, ecc.) e una integrazione al reddito tale da garantire a tutti livelli esistenziali minimi e stabilità economica a fronte dell’enorme flessibilità del lavoro e dei salari.
In questo senso, la proposta di reddito sociale minimo è al momento l’unica proposta che risponde ai tantissimi disoccupati e lavoratori precari; su questa proposta si è costituita la rete per il reddito sociale e contro la precarietà del lavoro, che ha già svolto diverse iniziative di confronto e di lotta con tutte le realtà che si battono su questi temi, culminate nella partecipazione alla manifestazione nazionale del precariato sociale tenutasi a Milano il 1° Maggio.
Una battaglia che sta continuando con proposte di legge di iniziativa popolare per il reddito presentate in diverse regioni dal nord al sud attorno alle quali vi è una attenzione politica e sociale al di sopra di ogni aspettativa, costringendo nei fatti quasi tutti i partiti del centro sinistra a presentare in parlamento proposte di legge che istituiscono forme di reddito; gli stessi D.S., seppur strumentalmente, hanno presentato una proposta di legge di iniziativa popolare in tal senso.
Costruire e consolidare in ogni luogo una rete di realtà di collettivi, associazioni, sindacalismo di base, ecc. che si muovano su questa rivendicazione, ma anche attivare sportelli sul precariato e iniziative di costruzione del blocco sociale deve essere un obiettivo per tutti coloro che si battono contro la precarietà del lavoro. Bisogna dare base sociale e continuità ai movimenti per imporre al Parlamento italiano di legiferare sull’argomento, così come è avvenuto nella quasi totalità degli Stati europei dove sono è già in vigore varie forme di reddito sociale, e introdurre uno strumento di inversione delle politiche di flessibilità e bassi salari.