Riflessioni sul 2003: Ideologi e Profeti, Sinistra e Destra

James Petras

Il 2003 non è stato un anno di Vittorie Storiche né di Sconfitte Storiche; è stato un anno di rapporti di potere mutevoli tra imperialismo ed movimenti di resistenza popolare. L’impero statunitense e i suoi soci coloniali israeliani hanno potuto conquistare paesi e territori nuovi, ma il crescere della resistenza popolare ha impedito il consolidamento del loro dominio. L’economia statunitense non è in declino né tanto meno è crollata, come avevano predetto alcuni della sinistra, ma si è estesa ed ha guadagnato impeto nel corso dell’anno, anche nel momento in cui sono peggiorati i “fondamentali economici”, soprattutto il deficit corrente e il bilancio. I profeti, sia di sinistra che di destra, si sono sbagliati: gli USA non hanno avuto né una crisi terminale né trionfi irrevocabili. I pronostici, da un anno all’altro, sono difficili da fare e, a lungo termine, sono affidabili quanto l’astrologia.

All’interno delle destre, i profeti di vittoriose guerre coloniali, incominciando dall’Iraq, dalla Palestina e continuando poi con Iran, Siria e Libano, sono stati ben presto screditati. Prima dagli eroici combattenti della resistenza palestinese, il cui sacrificio e dedizione hanno bloccato la visione totalitaria di Sharon di uno Stato ebraico etnicamente puro. Poi in Iraq, dove la resistenza di massa, seguita alla conquista coloniale, ha inflitto migliaia di feriti e centinaia di morti alla potenza occupante e ha messo in evidenza le macchinazioni dei filo Sionisti-Rumsfeld del Pentagono; è stata minata la loro autorità ovunque, anche all’interno dell’’establishment’ di Washington.

Per gli USA non ci sono state vittorie militari decisive né fortunate vittorie politiche: il 2003 è stato un anno di transizione. Chi ha perso di più sono stati i sionisti, come Wolfowitz, Perle e Feith, che avevano progettato una serie di guerre statunitensi per distruggere o indebolire tutti gli avversari di Israele sia in Medio Oriente che in Europa. L’alto costo, l’isolamento e la resistenza dell’Iraq hanno imposto serie limitazioni alla possibilità di nuove invasioni coloniali statunitensi. Gli imperialisti “realisti” come James Baker (Segretario di Stato con Bush padre), legato agli interessi petroliferi conservatori arabi, rifiutano gli ideologi sionisti legati a Sharon che promuovono guerre statunitensi per imporre “cambi di regime” a favore di Israele.

La politica degli intrighi contro i movimenti popolari

Le dichiarazioni fraudolente rilasciate da Wolfowitz e da altri sotenitori di Sharon, riguardo le armi di distruzione di massa in Iraq come giustificazione della guerra, sono state il punto culminante dell’inaudita influenza sionista nella politica degli USA. L’infamia e la messa in luce parziale di questo “intrigo” ha portato, almeno, a una temporanea riduzione della presenza pubblica di questo settore dell’Amministrazione Bush. L’impero statunitense è diviso tra ideologi con doppie lealtà nazionali e “realisti” legati ad interessi petroliferi statunitensi e arabi ed a banche europee. Queste differenze entreranno in scena nel 2004 ed influiranno sulla decisione degli USA di dividere il bottino imperiale con Europa, Russia e l’elite araba o continuare la strada del colonialismo militare cieco. Il 2003 è stato l’anno in cui la dinamica apparizione dell’economia cinese è diventata il centro della politica mondiale. La Cina, terza maggiore economia mondiale, ha un enorme surplus commerciale con gli USA e rapporti crescenti e forti con tutti i paesi, grandi e piccoli, di Asia e Oceania. L’imperialismo statunitense non può sopravvivere in Asia senza prendere accordi con la Cina. I responsabili della politica imperiale sono divisi anche rispetto a questo punto. I “realisti” propongono una strategia a lungo termine di adattamento e assimilazione complementare e graduale, basata su centinaia di migliaia di milioni di investimenti statunitensi, esportazioni e importazioni, e in acquisti cinesi su grande scala di buoni del tesoro statunitensi. I “confrontazionisti” sono costituiti dai settori arretrati e non competitivi dell’industria statunitense, dalla burocrazia sindacale e dagli ideologi militaristi che nascondono la loro politica aggressiva con la retorica dei “diritti umani”, del “commercio ingiusto” e del “lavoro schiavo”. Tranne per qualche forma di retorica elettorale pseudo-populista, sembra che i “realisti” stiano guidando i rapporti imperiali con la Cina, spingendo gli ideologi a concentrarsi a creare conflitti con la Corea del Nord e Taiwan.

Riguardo l’America Latina, i profeti della destra e della sinistra si sono sbagliati nel prevedere i fattori strutturali più profondi che hanno influito sugli avvenimenti politici. All’inizio dell’anno è stata la sinistra a celebrare trionfalmente un’onda emisferica di vittorie politiche. L’elezione di Lucio Gutiérrez in Ecuador, Inacio Lula Da Silva in Brasile, Kirchner in Argentina, e la presenza massiccia nel Forum Sociale di Porto Alegre sono stati considerati importanti “punti di flessione” politica che secondo alcuni addirittura potrebbero portare alla sconfitta dell’ALCA, alla fine del neoliberismo e al rifiuto dell’impero statunitense. Anche l’estrema destra statunitense, in particolare gli immigrati cubani legati all’amministrazione Bush (soprattutto Otto Reich), aveva previsto tempi duri. Erano trascorsi solo pochi mesi dall’inizio del nuovo anno, quando Lucio Gutiérrez dichiarò la sua totale sottomissione al FMI, all’ALCA, al Plan Colombia e l’appoggio al rialzo dei prezzi, alla riduzione dei salari e alle privatizzazioni nel campo petrolifero e dell’elettricità. La stessa cosa ha fatto Da Silva: seguendo le direttive del FMI, nominando in tutti i settori chiave dell’economia, banchieri neoliberali di destra e ideologi corporativi; appoggiando una versione modificata dell’ALCA e fondando un inutile “Comitato degli Amici del Venezuela” dominato da presidenti iberoamericani che si oppongono apertamente al Presidente Chávez. In Argentina, il neoeletto presidente Kirchner, sotto la forte pressione dei massicci movimenti sociali, ha realizzato modifiche giuridiche progressiste, limitando l’immunità ai violatori dei diritti umani, e ha attuato una riduzione del pagamento del debito e tattiche politiche tese a dividere e indebolire i movimenti militanti dei lavoratori disoccupati.

Le previsioni della sinistra non si sono realizzate - non sono cambiati i rapporti tra gli USA e gli Stati Ibero-Americani: l’ALCA ha continuato ad andare avanti con modifiche secondarie, le politiche economiche neoliberali hanno continuato ad essere applicate e la povertà è diventata più diffusa.

Le maggiori sconfitte dell’impero statunitense come Stato sono avvenute in Venezuela e a Cuba. In entrambi i paesi l’intervento statunitense e l’appoggio a una “serrata dei dirigenti” (come in Venezuela) sono stati sconfitti e, a Cuba, i terroristi appoggiati dagli USA e i propagandisti pagati sono stati neutralizzati.

In America Latina il potere imperiale ha continuato a deteriorarsi e la resistenza anti-imperiale ha acquisito forza, nonostante una certa limitazione politica. In Bolivia è stato sconfitto il galoppino statunitense Sanchez de Losada; in Uruguay e Colombia, i referendum a favore della privatizzazione sono stati sconfitti in modo schiacciante; in Ecuador si prepara una marcia popolare di massa, sulle orme del sollevamento del 2000, che chiederà la cacciata di Gutiérrez, mentre, in Perù, più del 84% della popolazione si oppone a Toledo, tanto che sembra improbabile che riesca a portare a termine il suo mandato elettorale.

Il MST del Brasile, nonostante le promesse, non mantenute, di Da Silva, ha realizzato 330 occupazioni di terre che riguardano 55.000 famiglie. In Argentina, più di 50.000 piqueteros hanno manifestato per commemorare il sollevamento del 19 e 20 dicembre 2001. È evidente che i movimenti socio-politici non si sono lasciati paralizzare dalle regressioni imperialiste dei presidenti pseudo-populisti eletti, ma è anche chiaro che questi forti movimenti popolari hanno il potere di sconfiggere i sudditi imperiali, ma non hanno dimostrato di avere il potere di rimpiazzare i reazionari con nuovi leader provenienti dai movimenti stessi. Questo è evidente anche nel caso dell’insurrezione boliviana dell’ottobre 2003: il nuovo Presidente, Carlos Meza, è un neoliberale da sempre, che ha appoggiato Sánchez de Losada fino agli ultimi giorni di governo. Da quando ha ottenuto la carica, Meza ha continuato ad attaccare e ad arrestare i coltivatori di coca, ha espresso il suo appoggio all’ALCA e non ha preso alcuna iniziativa per cambiare gli accordi che riguardano il gas e il petrolio (ad eccezione di ambigue promesse).

Il 2003 è stato un anno di mobilitazioni di massa e forse una prova per le rivoluzioni sociali del 2004. Tuttavia, affinché questo si verifichi, dobbiamo capire quali leader politici sono capaci di prendere il potere, avendo una visione critica degli inganni della politica elettorale. Non vi è una retrocessione sistematica del potere statunitense - sebbene perda in Venezuela con Chávez, vince con Da Silva in Brasile. Quello che guadagna sconfiggendo e catturando Saddam Hussein, lo perde con la costosa e prolungata guerra popolare durante l’occupazione. Gli incontri finanziari internazionali sono interrotti, ma si firmano gli accordi bilaterali e regionali sul libero commercio. La resistenza fa aumentare il costo della conquista, ma l’imperialismo e i suoi satrapi mercenari diventano più selvaggi. A Natale gli statunitensi hanno bombardato Bagdad, migliaia di giovani sono stati catturati e portati come bestie, incappucciati, ai così detti campi di prigionia per essere interrogati e torturati. Israele costruisce muri di apartheid molto all’interno della Palestina occupata, assassina di routine bambini e attivisti palestinesi, sotto la benevola protezione dei suoi “fratelli” likudiani del Pentagono. La superstruttura dell’impero USA, Bush, Cheney, ecc., viene sfidata, ma le basi (spese militari, interessi petroliferi) non vengono messe in discussione. La “crisi economica” non scoppia - resta latente. Gli USA continuano a chiedere prestiti; il capitale asiatico continua a scorrere verso gli USA consentendo loro di consumare più di quanto possono pagare. Le previsioni di declino o “sobre-extensión” sono state esagerate. Washington sta comprando e addestrando migliaia di mercenari iracheni e finanziandone altri sia in Europa orientale che appartenenti a varie compagnie private di sicurezza. Gli intellettuali statunitensi critici nei confronti della politica del loro Paese, sono più influenti all’estero di quanto lo siano negli USA. La dinamica per il cambiamento della politica imperiale è chiaramente all’estero - in Iraq, America Latina, forse in alcune parti dell’Europa.

L’anno 2003 ci dice che la realtà dei rapporti tra l’imperialismo e la resistenza popolare è troppo complessa e contraddittoria per essere incasellata all’interno di formule generali semplici e lineari. La conclusione che possiamo trarre è che l’impero statunitense non è onnipotente, ma pericolosamente violento; che i movimenti popolari possono sfidare il dominio coloniale con successo e sconfiggere i regimi che ne sono succubi; che l’economia statunitense può riprendersi momentaneamente, anche se le sue basi economiche rimangono precarie. Il 2003 mostra inoltre che la sinistra trarrebbe maggior vantaggio dallo studio paziente delle complesse e contraddittorie realtà della lotta nazionale e di classe, che dal formulare grandiose profezie globali a lungo termine svincolate dai movimenti popolari.