Elezioni rsu nella Pubblica Amministrazione: un brillante successo delle RdB Pubblico Impiego

Domenico Provenzano

Elezioni rsu nella Pubblica Amministrazione: un brillante successo della rdb Pubblico Impiego

Nei giorni dal 19 al 23 novembre 2001 si sono svolte in tutti i comparti della P.A., ad eccezione della scuola, le elezioni per il rinnovo dei componenti le RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) scadute dopo tre anni dalla prima votazione che si è svolta nel 1998.

Un appuntamento reso più difficile per due problemi in più:

1. il sostanziale fallimento programmato di questi nuovi organismi sindacali, da noi prima denunciato e poi contrastato nell’attività di questi tre anni.

Le RSU si sono rivelate, infatti, uno strumento di contenimento della possibilità per i lavoratori di essere protagonisti della vita sindacale; una possibilità frustrata dall’adozione di regolamenti che espropriano di potere i singoli delegati eletti e la totale soppressione di rapporti con la definizione e gestione delle politiche generali, dalla costruzione delle piattaforme all’approvazione degli accordi nazionali.

2. la RdB affrontava la sfida ad un anno e mezzo da un passaggio politico-organizzativo sancito con il Congresso di aprile 2000 che ha trasformato il nostro sindacato, organizzato precedentemente per comparto, in un unico soggetto di Pubblico Impiego ed ancora alle prese, quindi, con il processo di trasformazione.

Una sfida, anche per questo, vinta due volte!

I risultati, non ancora ufficiali ma pressochè definitivi, si racchiudono nei seguenti dati:

la RdB cresce numericamente portandosi alla soglia del 5% del consenso elettorale nell’insieme dei comparti. Una percentuale ambita e mancata da numerosi partiti, della maggioranza e dell’opposizione, presenti in Parlamento e dagli aspiranti new entry D’Antoni e Di Pietro;

raddoppia i comparti nei quali raggiunge la maggiore rappresentatività passando dai precedenti tre agli attuali sei (Parastato, Aziende, Ministeri, Agenzie Fiscali, Presidenza del Consiglio, Ricerca);

registra, pur non avendo realizzato l’obiettivo pieno, un incremento del 50% dei consensi nei comparti Sanità e Università e la conferma di importanti presidi negli Enti Locali.

Un dato particolarmente significativo tenendo conto dell’estrema capillarità dei luoghi di lavoro e dell’assenza totale di agibilità e diritti sindacali in questi comparti;

ottiene mediamente un’adesione del 20% nel bacino elettorale dove si è riusciti a presentare proprie liste, andando ben al di là del dato associativo e diventando il primo sindacato in centinaia di posti di lavoro;

incrementa di molto la già significativa rete nazionale di delegati eletti la volta scorsa; la RdB/CUB, infine, conferma e irrobustisce il proprio ruolo di Confederazione maggiormente rappresentativa in tutta la Pubblica Amministrazione.

Un insieme di dati che consente di affermare, senza iattanza alcuna, che siamo in presenza di un sindacato vero ed in continua crescita e non l’espressione di un generico ed episodico malcontento.

Viene, quindi, premiato un modello sindacale che ha fatto della pratica del conflitto l’antitesi della concertazione, della battaglia per la democrazia nei luoghi di lavoro e della difesa dei diritti dei lavoratori la propria ragion d’essere, dell’affermazione di una linea d’indipendenza dalle appartenenze o convenienze dettate dal quadro politico e dalle compatibilità imposte dal modello liberista, sia in salsa ulivista che polista, la precondizione per la costruzione di un sindacato di classe.

Ne possiamo trarre, dunque, un’importante lezione:

• che esiste per il sindacalismo di base uno spazio che supera definitivamente la dimensione della testimonianza e che si è già trasformato in maggiore capacità progettuale e d’iniziativa in grado di agire sui rapporti di forza e sulle dinamiche sociali;

• che il modello che abbiamo teorizzato e praticato in questi anni è in grado di intercettare un bisogno oggettivo dei lavoratori e che ogni forzatura politicista è destinata a scadere nel velleitarismo e nella sconfitta.

Un risultato tanto più apprezzabile perché ottenuto in un contesto peculiare e in un momento particolarmente difficile per il mondo del lavoro.

La peculiarità del contesto è caratterizzata da un groviglio di interessi che è amministrato dal connubio tra dirigenti pubblici (il loro tasso di sindacalizzazione raggiunge punte del 120%!) e Cgil, Cisl e Uil che annulla i diritti e fa del clientelismo la pratica imperante ed esercita il proprio potere contro tutti coloro che denunciano le loro malefatte e combattono questo sistema.

Questo rapporto ha favorito ogni tipo di manovra teso a falsare il risultato consentendo, per esempio, la dilatazione artificiosa del numero dei seggi elettorali facendolo lievitare all’iperbolica cifra di 14.500 per rendere più difficile, per una forza come la nostra dotata di scarse risorse economiche e strumenti di comunicazione, la presentazione capillare delle liste.

Questa volta, ancor più della precedente, si è assistito ad ogni genere di trucchi e trucchetti, in alcuni casi a veri brogli; Cgil, Cisl e Uil hanno dato vita ad una riedizione della più bieca politica di laurina memoria ed hanno disseminato tante di quelle promesse da far impallidire il più spregiudicato dei Berlusconi.

La difficoltà del momento è stata determinata, attraverso il varo della Legge Finanziaria e l’adozione di diverse deleghe, da un’improvvisa accelerazione impressa dal Governo alla propria politica tesa a produrre un violento attacco ai diritti, alle tutele, alle stesse libertà non solo dei dipendenti pubblici ma dell’intero mondo del lavoro e dei cittadini che non erano contemplati nelle misure adottate nei primi cento giorni.

La Legge Finanziaria assume ancora una volta la Pubblica Amministrazione ed i suoi dipendenti come occasione per fare cassa e non come terreno per sperimentare nuovi modelli organizzativi e funzionali volti a garantire maggiori e migliori prestazioni, strumento di riqualificazione del rapporto dello Stato con i propri cittadini, occasione per nuovi investimenti e possibile volano di sviluppo economico.

Gran parte di essa è, invece, dedicata a tagli e privatizzazioni attraverso la costituzione di Società per azioni e Fondazioni, è previsto il ricorso massiccio alla pratica dell’outsourcing, la costituzione di società miste a cui affidare la produzione di servizi da garantire agli utenti previo pagamento o la mera soppressione degli Enti stessi.

Finiscono così in pasto ai privati le occasioni di profitto e a carico dei cittadini il costo dei servizi o la loro soppressione.

Vale per gli Istituti di ricerca in campo ospedaliero, per le Università, per la gestione dei Beni Culturali e per tante altre attività finora garantite dallo Stato.

Ai pubblici dipendenti è riservato un ulteriore taglio dei salari reali per effetto di stanziamenti che non prevedono nemmeno il rispetto dei famigerati accordi di luglio, la soppressione dell’autonomia contrattuale, il blocco delle assunzioni, tanta mobilità sicura e possibili licenziamenti.

A questo scenario Cgil, Cisl e Uil hanno risposto con un primo sciopero di tre ore il 9 novembre ed un secondo di otto ore il 14 dicembre con l’obbiettivo dichiarato di:

- imporre al governo il rispetto degli accordi di luglio che già tanto danno hanno arrecato ai salari dei lavoratori e che, se pure fosse conseguito, sancirebbe l’ulteriore perdita di potere d’acquisto;

- avviare il confronto con il governo sul processo di privatizzazioni per cogestirne gli effetti;

- ripristinare la concertazione.

Si è trattato, come è fin troppo evidente, di scioperi che per essere settoriali non hanno la forza né perseguono, assumendo come centrali gli interessi dei lavoratori e dei cittadini utenti, l’obiettivo di ribaltare il programma del governo, men che meno riconsiderare la scellerata politica delle compatibilità a senso unico adottata negli ultimi anni nella quale le uniche variabili indipendenti consentite sono il profitto e la rendita, ma sono solo rivolti a riaffermare il proprio ruolo di cogestori dei processi in atto.

Che questo fosse lo scopo, sebbene fin troppo chiaro già allora, lo dimostra oggi la lettera aperta indirizzata al “padre della patria” Ciampi da Cofferati, Pezzotta e Angeletti in cui si invoca accoratamente un intervento del Presidente perché favorisca il ripristino della concertazione.

Questo dovrebbe chiarire definitivamente il carattere mistificatorio e velleitario dell’iniziativa portata avanti dai tre anche se tanta forza di attrazione sembra esercitare persino su alcuni settori del sindacalismo di base e del movimento no global.

È in atto lo smantellamento della Pubblica Amministrazione e con essa del residuo dello Stato sociale del nostro Paese, obiettivo reso trasparente dalla privatizzazione della sanità e della scuola, dalla riforma fiscale che elimina ogni progressività della tassazione sui redditi, dalla precarizzazione totale del rapporto di lavoro accentuata dall’attacco all’art.18, dall’aggressione al sistema pensionistico pubblico attraverso lo scippo del TFR e la decontribuzione per i giovani, ecc.

Contemporaneamente si imprime una forte accelerazione al processo di finanziarizzazione dell’economia con l’afflusso d’ingenti capitali, sottratti al salario diretto ed indiretto, verso i Fondi pensionistici privati e verso i Fondi immobiliari con i proventi della dismissione del patrimonio sottratto alle riserve degli Enti previdenziali e al Demanio pubblico.

In questo quadro è fin troppo evidente che continuare con la mediazione e la separazione dei lavoratori o la frammentazione delle iniziative di lotta non può che condurre ad una sconfitta certa.

D’altra parte la concertazione praticata negli ultimi dieci anni, non solo non ha impedito, ma ha favorito questo tipo di politica adottata anche dai governi precedenti.

Oggi, dopo la rissa tra Rutelli e Berlusconi prima del 13 maggio su chi avesse copiato il programma dell’altro, siamo in presenza di una forte accelerazione indirizzata all’epilogo finale.

Ma non tutto dev’essere ridotto ad una lettura di tipo economicistico.

L’insieme delle misure adottate dal governo Berlusconi accennano ad un modello di società antisolidale i cui tratti, frutto del culto della moderna e superiore civiltà, rimandano all’antico anzi al preistorico.

È un ritorno alla legge della giungla dove vige la legge del più forte, dove l’uomo non riconosce nell’altro un suo simile ma un nemico e si riduce all’angosciante solitudine del rapporto con la sola Natura vissuta anch’essa come ostile.

Proprio per questo abbiamo impostato un percorso di lotta che non assumesse i caratteri della vertenzialità ma si facesse carico della complessità e gravità dell’attacco portato ai lavoratori e a partire dall’adesione allo SCIOPERO GENERALE del 9 novembre indetto dalla CUB, SLAI Cobas e USI abbiamo teso a dare una dimensione unitaria e radicale all’iniziativa contro un attacco senza precedenti.

In linea di continuità con questa impostazione ci apprestiamo a respingere il nuovo appello, ancora una volta di separazione, proposto da Cgil, Cisl e Uil con lo sciopero generale del solo Pubblico Impiego per il 15 febbraio e a costruire invece, cercando di trasformare in capacità attiva i maggiori consensi elettorali ottenuti ed investendo fin da subito di responsabilità e di ruolo concreto i nuovi delegati RSU, una nuova iniziativa unitaria di lotta con tutto il sindacalismo di base per UN NUOVO SCIOPERO GENERALE.