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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

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Analisi statistico-economica dei mutamenti strutturali e localizzativi dello sviluppo del sistema socio-economico italiano

Luciano Vasapollo

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La distribuzione congiunta delle dotazioni imprenditoriali nelle attività’ dell’Industria e dei Servizi

La distribuzione congiunta dei poli imprenditoriali

È di rilevante interesse evidenziare come l’insieme delle attività economiche di tipo industriale e quelle relative al totale dei Servizi, non realizzino mai contemporaneamente coefficienti di localizzazione imprenditoriale uguali o maggiori di 1,25, in modo da poter configurare dei bacini-polo a doppia specializzazione imprenditoriale.

Infatti l’analisi della distribuzione congiunta dei poli per l’Industria e per i Servizi evidenzia, come già si era visto nei paragrafi specificatamente dedicati a questi settori, 3 bacini-polo nei Servizi e 16 poli imprenditoriali a carattere industriale. Dalla visualizzazione geografica della Fig. 22 risulta, oltre alla completa assenza di poli a doppia specializzazione imprenditoriale, il fatto che non si formano aree territoriali con particolare “vocazione” all’imprenditorialità in entrambe le attività considerate, cioè più bacini contigui, od anche geograficamente vicini, in cui si possano registrare coefficienti di localizzazione imprenditoriale “molto alti” per l’insieme delle Attività Industriali e/o dei Servizi. Le uniche zone che, anche se in misura diversa, possono considerarsi aree a significativa dotazione imprenditoriale sono quella Nord-Occidentale (intorno al triangolo Torino, Milano, Genova) e quella che si forma nella parte occidentale della Sicilia. Entrambe hanno esclusivo carattere industriale non accompagnato, neppure nelle zone circostanti, da aree, o anche singoli bacini-polo specializzati nelle attività di tipo terziario.

La distribuzione congiunta dei bacini a dotazione imprenditoriale “più che sufficiente”

Se si allarga il campo di osservazione, rispetto a quanto indagato nel paragrafo precedente, considerando la distribuzione congiunta dei bacini definiti a dotazione imprenditoriale “più che sufficiente”, appare subito evidente la presenza di 8 bacini a doppia specializzazione, esportatori, cioè, di imprenditorialità sia per il totale delle Attività Industriali sia per il totale delle Attività dei Servizi.

La Fig. 23 mostra come tale distribuzione congiunta interessi maggiormente il Nord del Paese (con i 5 bacini a doppia specializzazione di Milano, Bergamo, Valdagno, Reggio Emilia e Modena) rispetto al Centro (con i due bacini di Roma e Teramo) e al Sud dove si ha il solo bacino di Agira, in Sicilia, in grado di diffondere in altre località la funzione imprenditoriale originata in loco sia per le attività economiche relative ai Servizi sia per quelle dell’Industria.

Va inoltre evidenziato che in alcune zone dell’Italia del Nord, ad esempio intorno al bacino di Milano e in Emilia Romagna , si vengono a formare delle aree a significativa dotazione imprenditoriale locale e ad armonico sviluppo imprenditoriale in quanto evidenziano capacità di esportazione della funzione imprenditoriale sia nelle Attività Industriali sia nelle Attività dei Servizi.

La distribuzione congiunta dei bacini a sottodotazione imprenditoriale

Se si considerano i bacini a dotazione imprenditoriale locale definita “insufficiente” contemporaneamente per il totale delle attività produttive dell’Industria e dei Servizi, si evidenzia, attraverso la lettura dei dati, la presenza di ben 164 bacini a doppia sottodotazione imprenditoriale. L’osservazione della Fig. 24 mette in risalto, poi, che tale distribuzione congiunta forma una vastissima area a carattere pressoché contiguo che interessa , con intensità non molto dissimili, tutte le regioni del Paese , anche se più forti concentrazioni si evidenziano nell’Italia Meridionale e Insulare.

Se, successivamente, si restringe il campo di osservazione indagando la sottodotazione imprenditoriale particolarmente intensa, allora risulta, che per l’insieme delle due attività considerate si hanno 44 bacini contemporaneamente a doppia dotazione imprenditoriale “molto bassa”. Tale distribuzione congiunta, come visualizzato geograficamente nella Fig. 25, interessa prevalentemente il Centro-Sud e in particolare il Mezzogiorno; si formano, infatti, delle aree a intensa concentrazione tra l’Abruzzo e il basso Lazio , tra il Molise, la Campania e la Puglia, in Calabria, per poi interessare la Sardegna e la zona sud-orientale della Sicilia. Il Nord, invece, presenta soltanto 5 isolati bacini a doppia dotazione imprenditoriale “molto bassa”, situati in località molto distanti fra loro (Pinerolo, Albenga, Chiavari,Suzzara e Spilimbergo).

5. Considerazioni e relazioni fra trasformazioni dello sviluppo, “nuova imprenditorialità”, ruolo dello Stato e nuovi soggetti sociali

L’analisi-inchiesta fin qui effettuata sui modelli di sviluppo locale e sulle figure sociali che da tali modelli scaturiscono deve tener conto della corretta interpretazione degli specifici connotati territoriali della specializzazione di fase, cioè della forte parcellizzazione del processo produttivo in singole fasi, per poi determinare una Zona, un’area a sistema integrato in cui si sviluppa un terziario di supporto alla produzione, un terziario basato spesso su lavori atipici, non garantiti, lavori non normativi e privi di garanzie contrattuali.

È comunque importante seguire l’evoluzione del modello di sviluppo anche considerando il terziario aggregato nelle sue ripartizioni territoriali e sociali, poiché il presente studio conferma il superamento sia della vecchia concezione del “dualismo industrialista” sia l’interpretazione dello sviluppo economico cosiddetta a “pelle di leopardo”. Anche quest’ultima ipotesi, caratterizzata da mille localismi che non hanno alcun denominatore comune, non ha più riscontro.

Il processo di sviluppo economico che attraversa il Paese ha quindi bisogno di nuove logiche interpretative, di nuovi strumenti ignorati dalle analisi economiche di impostazione “industrialista”. Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono anche, e forse soprattutto, trasformazioni nell’essere e nell’interagire delle modalità di sviluppo di un capitalismo che abbandonando la centralità di fabbrica propone un sistema produttivo e culturale sempre più spostato e incentrato nel territorio. Ciò è possibile leggerlo ed interpretarlo solo attraverso analisi disaggregate della distribuzione territoriale delle attività, analisi che portano a disegnare una sempre aggiornata mappa geografica dello sviluppo economico e sociale italiano.

Ecco che la definizione di Zone Economiche Omogenee rende pienamente comprensibile il ruolo che la nuova fabbrica sociale diffusa nel territorio svolge nell’economia complessiva del Paese, e come le specifiche e differenti funzioni delle attività economiche e sociali delle singole aree, con bacini a profilo economico simile, siano il tessuto connettivo capace di “legare” in un tutt’uno omogeneo il nuovo modo di essere e di presentarsi dello sviluppo capitalistico. Ciò spiega ancor meglio i connotati anche qualitativi, oltre che quantitativi, della ristrutturazione del capitale e la sua ridefinizione sociale come essa assuma sempre più un ruolo fondamentale per comprendere il conflitto di classe delle nuove forme che andrà assumendo.

È infatti in atto nel nostro Paese un intenso processo di terziarizzazione, spesso a forti connotati di precarizzazione del lavoro e del sociale, spiegabile non soltanto da fenomeni di ristrutturazione e riconversione che interessano l’industria ma che sta mutando lo stesso modo di essere delle attività di servizio in genere, con le precedenti figure e composizioni di classe che si trasformano e che vanno sempre più integrandosi con le compatibilità dei processi produttivi capitalistici e con gli altri processi economici, sociali e politici che ne derivano. Non si tratta quindi di un semplice processo di deindustrializzazione ma di una trasformazione della società che crea nuovi bisogni, di una concezione della qualità dello sviluppo, della qualità della vita che induce a diversi comportamenti socio-economici della collettività rispetto a quelli della società industrialista basata sulla centralità di fabbrica. Si assiste alla nascita di nuove attività, la maggior parte delle quali a carattere terziario, che generano e forzano, nello stesso tempo, lo sviluppo di nuovi soggetti di classe, di nuovi modelli e nuovi meccanismi di crescita, di organizzazione e di accumulazione.

Tali processi evolutivi fanno si che la composizione di classe non sia più analizzabile attraverso analisi aggregate, vista l’eterogeneità e disomogeneità imputabile alla diversificazione del modo di presentarsi del capitale. Solo attraverso analisi economiche, politiche e sociali disaggregate è possibile capire la reale entità del processo di ridefinizione del capitale che tende a raffigurarsi come elemento coesivo e di integrazione attiva dell’intera società. Il passaggio ormai è chiaro: il terziario sempre più abbandona il carattere residuale-assistenziale diventando elemento di mantenimento e accelerazione dello sviluppo capitalistico, fattore trainante di un modello di sviluppo nuovo e dinamico, capace di rispondere in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, alle continue trasformazioni ed evoluzioni della domanda, promuovendo e realizzando di pari passo processi innovativi per i fattori dell’offerta.

Ecco che, di conseguenza, lo studio della differenziazione territoriale dello sviluppo economico, diventa strumento indispensabile alle linee di indirizzo e di intervento in chiave politico-economica. Individuare la specificità dei profili di aree, di Zone Economiche Omogenee, significa indirizzare l’intervento in modo da saper leggere le trasformazioni del capitalismo moderno e le ricadute nello sviluppo socio-economico del Paese. È così che vanno lette le modalità di uno sviluppo ormai basato sull’indipendenza relativa del distretto industriale dalle altre entità.

Si giunge così a meglio comprendere perché gli assetti attuali della nostra economia determinano il riposizionamento sociale di impresa in una fase di profonda ristrutturazione per effetto del quale si riduce e non aumenta, come da una lettura superficiale potrebbe sembrare, la misura del tessuto reale imprenditoriale, si selezionano i soggetti più deboli, meno funzionali e compatibili, e meno consolidati, si ridisegnano i modelli relazionali sociali tra le aziende e il territorio con un tendenziale rafforzamento delle logiche di darwinismo sociale. In tale contesto si osserva una prevalenza delle scelte tipiche del capitalismo selvaggio dove chi non si integra è espulso, è schiacciato dalle leggi ferree di un mercato sempre più selettivo.

Si sviluppa secondo tali presupposti una linea di evoluzione delle economie locali che preme sulla distruzione di qualsiasi forma di rigidità per l’impresa, anche di rigidità sociale; il sistema imprenditoriale si ricentra perciò su alcune linee di tendenza che portano il sistema economico nel suo insieme, ed i sistemi di sviluppo locale in particolare, da una partecipazione diffusa ad almeno alcune forme di garanzie sociali universali, al passaggio ad un sistema di accessi selettivi.

Per contraddistinguere i soggetti di comando del localismo si deve guardare al nuovo ruolo assunto anche dagli attori istituzionali di rappresentanza e a quelli finanziari tradizionalmente radicati sul territorio, che diventano soggetti determinanti del dominio locale (lobbies politico affaristiche, banche, ecc.)

L’analisi fin qui condotta conferma che non è solo la grande impresa ad essere regista della vita socio-economica dei singoli cittadini, rilevando però qualche altra particolarità rispetto al passato, come l’accresciuto potere da parte di alcuni enti pubblici che si configurano ed omologano al settore privato, diventando enti-impresa, la ancora più forte centralità delle banche , quali soggetti che controllano e indirizzano le risorse finanziarie per lo sviluppo locale, e i soggetti politico-affaristico locali che , incrementano il loro potere specifico rispetto a quelli extra-locali.

Di conseguenza appare chiaro, e lo dimostrano anche i risultati e i fattori emersi dalla ricerca, che la spinta alla fuoriuscita dal localismo non è determinante, anche dal punto di vista dei processi di redistribuzione dei poteri che rispecchiano sempre più le dinamiche di modello di sviluppo centrale basati sullo Stato-Impresa, succube ai processi di concentrazione aziendale. Processi ormai finalizzati all’imposizione sociale dell’assunzione dei comportamenti di potere incentrati sui modelli relazionali tra le imprese, focalizzando contestualmente le modalità per una partecipazione qualificata del corpo sociale nei rapporti con le istituzioni, attraverso la scommessa della qualità e della flessibilità produttiva da un lato e la scommessa dell’autorealizzazione, abbattendo qualsiasi logica solidaristica e di tolleranza.

È così che nasce e si sviluppa nel nostro Paese il nuovo consociativismo politico ed economico. Il consociativismo neo-liberista dell’era della globalizzazione anche in Italia propone politiche economico-fiscali e della spesa pubblica, percorsi di privatizzazione sfrenata, l’abbattimento del Welfare State, riforme politico-costituzionali, in genere con l’unico condizionamento legato alla logica del mantenimento del consenso elettorale, andando di volta in volta a soddisfare interessi particolaristici legati al mondo dell’impresa, ad una nuova partitocrazia ancora più assetata di potere di quella precedente, ma più compatibile ai nuovi schemi di ristrutturazione capitalistica.

È all’interno di tali dinamiche che va interpretato il duro attacco che tale consociativismo neo-liberista sta effettuando alle condizioni di vita dei lavoratori, dei precari,degli anziani, dei disoccupati, degli emarginati; comportamenti di regolazione sociale di ogni forma di antagonismo, evidenti negli interventi e nei documenti del governo, nelle posizioni e nei documenti sul Welfare dei sindacati confederali, nei modelli di riferimento di Stato sociale della Banca d’Italia e della Confindustria. Si realizza così l’esplicitazione della logica della performance imprenditoriale come modalità di riforma di un Welfare State che seguendo tale impostazione di fatto si trasforma in Profit State; in uno Stato con logiche gestionali da azienda capitalista ,che si configura attraverso i processi di globalizzazione dell’economia e le politiche monetariste localmente compatibili.

In tale contesto i soggetti delle classi intermedie esercitano ancora un ruolo molto rilevante nelle dinamiche di regolazione e di comando della vita delle specifiche aree locali a caratterizzazione socio-economica. Sulla mobilità e le determinanti qualitative del ciclo di vita delle varie Zone Economiche si registra una tendenza diffusa al consolidamento sociale delle leadership locali, basate su effetti imitativi e di status particolarmente efficaci su una parte del ceto medio. Un ceto medio più classista ed intollerante che assume le modalità relazionali socio-economiche rappresentate dal rafforzamento e trasmissione forzata comportamentale di alcune imprese locali, o gruppi di imprese, che stanno assumendo un ruolo guida, influenzando il tradizionale intreccio di intenzionalità e azioni dei numerosi soggetti economici locali che avevano caratterizzato l’evoluzione dei distretti in passato.

È allora possibile cogliere i nuovi equilibri socio-economici all’interno delle aree, delle Zone a partire dal posizionamento dei distretti nell’ambito di un teorico ciclo di vita dell’intera società locale. Gli elementi intorno ai quali, quindi, si può rideterminare la mappa delle nuove soggettualità sociali compatibili e di quelle antagoniste, o almeno marginali rispetto al modello di sviluppo attuale, si possono individuare a partire da una corretta analisi di classe della fase evolutiva dei singoli distretti.