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Sergio Cararo
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Una inquietante riforma ormai alle porte. Le trappole del federalismo
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Una inquietante riforma ormai alle porte. Le trappole del federalismo

Sergio Cararo

Quale sarà il volto delle istituzioni locali e nazionali nei prossimi mesi? Il “federalismo dall’alto” sta disegnando la nuova mappa dei poteri. Le conseguenze già oggi visibili sono la nascita di un blocco di potere fondato su amministratori, managers del terzo settore e tecnocrati, l’aumento della divaricazione tra Nord e Sud, lo smantellamento dei servizi sociali locali ed un vertiginoso aumento della tassazione. Altro che sussidiarietà e partecipazione dei cittadini alle scelte di governo!! Dietro il “mito delle Regioni e delle municipalità” incombono gli “spiriti” di Maastricht, del mercato... del Profit State.

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Analoga preoccupazione è stata manifestata anche dall’UPI (Unione delle Province d’Italia) in un recente documento presentato a Roma .

Qualcuno potrebbe liquidare queste posizioni come “preoccupazioni corporative e localistiche” degli amministratori alle prese con le nuove regole del gioco federalista ed europeo, ma la realtà ci dice che occorre preoccuparsi assai di più di quanto facciano i documenti delle associazioni degli amministratori locali.

 

 

2. Si accresce il divario tra Nord e Meridione

 

In molti documenti, interviste e interventi sindaci, assessori etc. non nascondono la loro inquietudine (soprattutto per motivi di consensi elettorali) per il ruolo di “gabellieri” che lo Stato centrale vorrebbe sempre più assegnargli. Gran parte delle imposte diventerebbero “locali” vedendo così via via sistematicamente ridotti i finanziamenti dal “centro” verso le amministrazioni locali e la stessa immagine “vorace” dello Stato come fabbrica di tasse verrebbe a diminuire.

Ma questa partita tra nuove imposte locali e minori imposte centrali - come più avanti vedremo nel concreto - non è affatto a somma zero per i redditi dei “cittadini” nè per il salario sociale costituito anche dai servizi che lo Stato centrale o le amministrazioni locali dovrebbero restituire ai lavoratori, ai pensionati e alle famiglie in cambio del pagamento delle imposte.

Il dato più evidente e più preoccupante di questa “trappola federalista” è anche quello più facilmente prevedibile: l’acutizzazione del divario tra il Nord e il Sud del paese.

In questi anni di Leggi Finanziarie d’urto - utilizzando a man bassa il pretesto dell’entrata nell’Europa di Maastricht- i finanziamenti statali agli Enti Locali sono costantemente diminuiti senza che l’autonomia impositiva (es: sul versante della sanità) riuscisse a determinare un equilibrio di spesa.

Da un lato i “governi di Maastricht” (Dini, Prodi, D’Alema) hanno spinto affinchè gli enti locali si autofinanziassero le spese con imposte proprie (es: l’ICI, Tarsu etc.) o con compartecipazioni locali alle tasse centrali (RCA, elettricità, Irpef, Irap etc.), dall’altro hanno tagliato drasticamente i finanziamenti imponendo tagli ai servizi sociali (sanità e trasporti soprattutto) e al personale e spingendo per la privatizzazione rapida delle aziende locali e dei servizi.

Questa politica di tagli ai finanziamenti e ai servizi sociali, di nuove tasse, di privatizzazioni e riduzione dell’occupazione, ha precipitato verso il basso gli standard di vita nelle grandi aree metropolitane ma soprattutto nei centri urbani del Meridione.

Una elaborazione dati fatta dall’Ancitel, ci conferma che su queste basi, la divaricazione tra Nord e Sud non potrà che aumentare. E’ stato infatti calcolato il grado di autonomia finanziaria delle varie città cioè la capacità di reperire risorse per coprire le spese ed osservando le prime dieci e le ultime dieci, possiamo verificare come le “aree a maggiore disagio” siano proprie le grandi aree metropolitane (nessuna compare infatti nelle prime dieci) e le città meridionali (tutte presenti infatti nelle ultime dieci.

Questa divaricazione tra Nord e Sud trova conferma anche in un documento della Corte dei Conti relativo alla pressione dei tributi locali nelle principali aree metropolitane. Può apparire emblematico che le grandi città dove il prelievo tributario è più forte siano quelle amministrate dai sindaci del centro-sinistra.

Infine un recentissimo studio dell’Università Bocconi curato da Giampaolo Arachi e Alberto Zanardi, conferma tutti i guasti che deriverebbero sia nei rapporti tra Nord e Meridione sia dal nuovo livello di imposizione fiscale “locale”.

Secondo i due autori, per garantire alle 15 Regioni a statuto ordinario lo stesso complesso di risorse (143mila miliardi)e per sostituire con le nuove compartecipazioni (le imposte locali) i 79mila miliardi di trasferimenti statali, occorrerebbero 21mila miliardi di IVA e ben 58mila miliardi di IRPEF il che porterebbe l’addizionale regionale IRPEF al 6,61% (oggi è lo 0,5%).

Il guaio è che se i totali generali quadrano, i risultati disaggregati appaiono assai preoccupanti. Con la riforma infatti la Lombardia incasserebbe il 35% in più rispetto ad oggi; l’Emilia Romagna il 19% in più; il Piemonte e il Veneto il 17%in più ma la Campania perderebbe il 40% delle risorse, la Calabria il46%, Puglia e Molise il 36%, la Lucania il 42%.

Tradotte queste percentuali in numeri il quadro sarebbe il seguente : la Lombardia vedrebbe salire le proprie risorse da 24mila a 33mila miliardi ma la Calabria perderebbe da 6mila a 3.300miliardi e la Campania da 17mila a 10mila miliardi [1].

Dunque il federalismo fiscale viene non solo ad intervenire in un quadro segnato da profonde disuguaglianze economiche, di risorse e territoriali ma rischia di acutizzarle ancora di più con pesanti e prevedibili conseguenze sulle condizioni di vita dei settori popolari e sulla qualità della vita più in generale.

Anche in questo caso abbiamo l’impressione che larga parte della sinistra e del sindacato siano cadute vittime di un tragico abbaglio. Per almeno un paio d’anni la “sindrome secessionista” ha fatto puntare l’attenzione contro la Lega, la Padania etc. (con destra e sinistra entrambe in piazza a difesa dell’unità nazionale cioè contro la “secessione virtuale”) mentre in concreto andava avanti un processo di “secessione reale” tra il Meridione e il resto del paese, legalizzato dalle nuove gabbie salariali, dai contratti d’area, dai salari e dalle norme contrattuali differenziati tra Nord e Sud. Una organizzazione federalista dello Stato - stanti gli attuali rapporti di forza e l’attuale egemonia liberista - non farebbe altro che accentuare tale secessione .

 

 

3. Federalismo o “germanizzazione”?

 

Un recentissimo libro di Bruno Luverà (“I confini dell’odio”) sottolinea in più pagine quanto sia forte ed inquietante il peso della Germania nel dibattito sul federalismo e dell’Euroregionalismo. L’autore mette in evidenza come le ambizioni per una Europa delle Regioni veda accentuato il suo “carattere ambivalente che va ad assumere significati tra loro diametralmente opposti”: da una parte un modello di un’Europa fondata sul principio di sussidiarietà e basato sull’inclusione; dall’altro l’Europa delle Regioni come federazione di Stati regionali con una funzione di disintegrazione con la Regione che diventa strumento di esclusione [2].

Il federalismo e il regionalismo contengono dunque in sè una ambiguità affatto tranquillizzante nel senso che l’egemonia su questa nuova strutturazione dello Stato, dei poteri e dello stato sovranazionale europeo può avere il carattere aziendal-tecnocratico dei seguaci della “terza via” (da Blair a Schroeder a Veltroni) o il carattere liberal-reazionario della nuova destra di Haider, Stoiber, del Vlaams Blook fiammingo etc.

Una volta messo in moto tale processo, il suo esito “democratizzante” non appare affatto scontato ma anzi compromesso per l’avventurismo dei suoi proponenti di destra e di “sinistra”.

In Italia, la bibbia del federalismo liberal-democratico può essere identificata con un libro scritto a più mani ma coordinato da Luigi Mariucci (assessore della Regione Emilia-Romagna) e con la prefazione di Pier Luigi Bersani (attuale ministro dell’industria assai benvoluto tra gli imprenditori ed ex presidente della Regione). Questo libro -”Il federalismo preso sul serio : una proposta di riforma per l’Italia” - è il frutto di una commissione di consulenza legislativa voluta da Bersani nel 1995. e, nelle parole del ministro, è “l’approdo dell’esperienza emiliano-romagnola in tema di riforma federalista dello Stato” [3].

L’ intento degli autori è la definizione di una linea programmatica, di natura costituzionale, che faccia da sfondo ad una riforma strutturale dello Stato italiano in chiave federalista, avente come cardine tre strutture portanti:

- il principio di sussidarietà;

- il principio di responsabilità;

- Il perseguimento di politiche di bilancio, a livello federale e locale, volte alla razionalizzazione delle entrate e delle uscite erariali e alla ristrutturazione dell’organizzazione e del personale, sia a livello centrale sia a livello locale.

Il fine, come esplicitamente dichiarato nel saggio, è “la riforma fiscale in chiave federalista, come strumento di contenimento della spesa pubblica e, in ultima istanza, come via maestra per far fronte al problema della gestione del debito pubblico”.

Il modello a cui fanno riferimento, sia nei principi sia nella sostanza, è la Grundgesetz tedesca del 1949, meglio nota in Italia come Legge Fondamentale, e sue successive modificazioni (ben 39 dalla costituzione della Repubblica federale tedesca ad oggi, le più note delle quali sono il Trattato di Unificazione del 1990 e la possibilità di azioni militari al di fuori dello spazio Nato del 1991, che modificano, rispettivamente, l’art. 146 e l’art. 24 della Legge Fondamentale).

Alla teutonica Grundgesetz fanno riferimento due altri importantissimi studi sulla riforma dello stato italiano: il primo è il saggio curato da M. Degni e G. Iovinella che porta il significativo titolo Federalismo modello Germania, il secondo è il lavoro curato da M. Pacini Scelta federale e unità nazionale per conto della Fondazione Agnelli.


[1] “Ma per il fisco federale c’è ancora un ostacolo”, in Sole 24 Ore dell’ 11 novembre 1999.

[2] Bruno Luverà : “I confini dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea”, Editori Riuniti, settembre 1999.

[3] Su questo capitolo di ricostruzione “ideologica” del riformismo federalista partorito dal laboratorio emiliano dei DS, abbiamo utilizzato e rinviamo all’ottimo lavoro di Pasquale Cicalese (“Federalismo e germanizzazione dell’Italia”) comparso in due puntate su Contropiano dell’aprile e del giugno 1997.