Rubrica
Il punto, la pratica, il progetto

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Luciano Vasapollo
Articoli pubblicati
per Proteo (48)

Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Argomenti correlati

Stato

Nella stessa rubrica

La nuova configurazione dei soggetti del lavoro e del lavoro negato dalla fabbrica sociale generalizzata al blocco sociale antagonista
Luciano Vasapollo

Quale forma-stato alle soglie del duemila
Luciano Vasapollo

 

Tutti gli articoli della rubrica "Il punto, la pratica, progetto"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Quale forma-stato alle soglie del duemila

Luciano Vasapollo

Intervento alla Conferenza di Programma e di Organizzazione della Federazione RdB Statali - Roma 27 e 28 maggio 1999 - del Prof. Luciano Vasapollo, Professore della Facoltà di Statistica dell’Università La Sapienza di Roma e Direttore Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali “Cestes-Proteo” [1].

Formato per la stampa
Stampa

Mi mette paura di conseguenza leggere questo grande accentramento dei ministeri economici, guardate anche lo stesso nome, del “ministero del mercato e delle attività produttive”. Penso che anche senza puntare soltanto su un economia pubblica, anche in una logica di economia mista ed accettando la logica anche di mercato e quindi di economia privata, penso che al mercato, proprio perché questo nasce e si sviluppa rispetto all’imprenditoria privata, debbano pensare i privati; non è lo Stato che può fare un ministero del mercato, tutt’al più può disciplinare e regolare socialmente il mercato. Invece qui non si parla di disciplina delle storture del mercato, cioè rendere un mercato, per esempio, più stabile e più sociale, invece si disciplina con un apposito ministero il mercato come divinità e predominio su ogni attività produttiva.

L’altro passaggio sul quale bisogna riflettere e che in questo ministero del mercato e delle attività produttive viene inserita tutta la normativa riguardante la materia delle comunicazioni, che meriterebbero un attenzione invece del tutto particolare e un controllo pubblico, perché si tratta di sono risorse strategiche. Voi sapete, e lo dicevamo all’inizio di questo intervento, che la società del terziario avanzato - si parla ormai di società del quaternario e del quinario addirittura - è basata non più tanto sulle risorse materiali, cioè sui beni materiali, quanto sulle risorse immateriali, sulle risorse intangibili; cioè le nuove risorse del futuro dei prossimi anni, ma già da ora, sono la comunicazione, l’informazione, i dati informativi, il know-how, i brevetti, le conoscenze, cioè tutto ciò che va sotto il nome di “capitale intangibile” o di beni e servizi a carattere immateriale. Il processo di ridefinizione dello Stato, quello che vi dicevo prima e che noi chiamiamo “Profit State”, sta avvenendo su una diversa interpretazione dei processi di accumulazione del capitale: lo Stato vuole controllare le risorse immateriali della comunicazione per favorire l’accumulazione flessibile dell’impresa. Il capitale fino ad oggi si è accumulato sulle risorse tangibili e c’è stata una accumulazione materiale; questa accumulazione materiale oggi è in crisi e la soluzione si trova nelle forme di accumulazione flessibile e finanziaria e con le guerre economiche e militari di espansione e di regolazione fra poli imperialisti. Ci sono crisi di sovrapproduzione e non è un caso che la guerra in Jugoslavia sia una guerra di natura politica ed economica. Lasciamo perdere la fraseologia NATO da “guerra umanitaria”; le guerre umanitarie non esistono, la guerra non è umanitaria, dietro la guerra in Jugoslavia c’è semplicemente un progetto di ridefinizione dei grandi poli imperialistici; vi dicevo prima il polo anglosassone, con il modello di darwinismo sociale americano, poi abbiamo il polo europeo, e oggi gli Stati Uniti temono questo polo perché la sua espansione significa l’affermazione dell’euro, significa l’affermazione di un altro polo imperialista che può togliere sicuramente risorse agli Stati Uniti. La grossa occasione è rendere la Russia mercato non internazionale ma mercato locale, la Russia potrebbe espandersi verso tutti quelli che erano i paesi dell’ex blocco socialista; cioè l’entrata prepotente della NATO in Jugoslavia significa “quelli sono mercati nostri, non sono mercati disponibili per nessuno”. Si ha paura del potenziale russo dopo avere distrutto il mercato delle “tigri asiatiche” con la finanziarizzazione dell’economia, aver dato una bella botta anche al Giappone; questa guerra significa una minaccia per la Russia, un’avvertimento al cosiddetto polo euro-asiatico: non deve esistere una configurazione economica con grossi interessi fra Cina, Russia e India, perché, tali aree nel loro complesso, significano due miliardi e mezzo, tre miliardi di persone, e questo è l’altro polo che si affaccia, e che può mettere in discussione il dominio USA. Nell’area dei Balcani c’è il problema dei metanodotti, dei gasdotti, delle risorse quindi di prima necessità, delle materie prime che andranno a sostituire il petrolio, ci sono le risorse di tutta l’area del Caspio e tutta l’area del Caucaso. Significa, e ritorniamo a noi, anche controllare il costo del lavoro. Se voi leggete qualsiasi documento ufficiale dell’OCSE, dell’ISTAT, della Banca d’Italia, vi accorgete che gli investimenti che non vengono fatti in Italia, il taglio degli investimenti che c’è in Italia invece non c’è all’estero; cioè gli imprenditori italiani hanno investito fortemente in centro-Europa, hanno investito fortemente nei mercati orientali, hanno investito nei Balcani e lo sapete perché? Perché si investe lì, per esempio, e non in Africa? Perché in Africa è vero che c’è un costo del lavoro basso, ma il lavoratore è poco specializzato, invece in quelle aree, in Jugoslavia, per esempio, in Romania, in Ungheria si trova costo del lavoro basso ad alta specializzazione e quindi, oltre le risorse e le materie prime, è lì che bisogna effettuare la delocalizzazione produttiva, con tutti i processi di esternalizzazione produttiva .

Ma oltre agli investimenti privati è anche, come abbiamo detto precedentemente, l’economia pubblica che cala. A fronte degli investimenti pubblici che calano, a fronte di forti tagli allo Stato sociale l’unica parte di economia pubblica che regge è quella in investimenti militari, è quella della difesa.

Come struttura di bilancio pubblico, le uniche voci che aumentano, a fronte di grossissimi tagli nella spesa sociale, sono quelle militari, quelle della difesa. E’ per un assurdo, e per un inciso anche allo stesso tempo, vi dico che mentre l’Europa in questi ultimi due anni era occupata semplicemente a rendere possibili e stabili i parametri di Maastricht, avevamo invece l’economia pubblica americana che tirava con l’economia di guerra; e ora l’Europa si è uniformata.

Il conto delle spese e delle entrate del nostro Paese, sia per quanto riguarda la parte corrente sia per quanto riguarda la parte in conto capitale, trova un incremento altissimo delle entrate. Per cui la fiscalità generale, la tassazione sui lavoratori continua ad aumentare fortemente; invece il taglio delle spese avviene in voci fondamentali: le competenze ai dipendenti e ai pensionati, con un taglio grosso tra il 1993 e il 1997; acquisto di beni e servizi: basta entrare in pronto soccorso di un ospedale, a volte hanno difficoltà anche per avere a disposizione immediata la siringa oppure un vaccino antitetanico. Eccoli i tagli dove sono: quelli ai dipendenti li vivete direttamente, quelli ai pensionati basta guardare le pensioni oggi a che livello di miseria sono ridotte; l’altro taglio è sui trasferimenti, sotto la voce dei trasferimenti nel bilancio dello Stato va tutto quello che chiamano “Welfare State”, cioè formazione, lavoro, assistenza, previdenza e via discorrendo.

Per esempio. Le competenze a dipendenti e pensionati dal 1993 al 1997 passano da 118.000 miliardi a soli 120.000 miliardi, in pratica in cinque anni c’è l’aumento solo di 2.000 miliardi di competenze a dipendenti e pensionati; inoltre i piccoli aumenti di stipendio che ognuno di noi ha avuto vengono colmati dal taglio sul turn-over, dall’aumento dei ritmi e dei turni, dalla mancanza di assunzioni.

La spesa militare, invece, passa da 8.000 miliardi del 1993 a circa 10.000 miliardi del 1997, lo stesso incremento di 2.000 miliardi, però in un caso passiamo da 118 a 120 nell’altro caso da otto a 10, e le proporzioni sono ben diverse.

Altri incrementi sono per spese delle forze di polizia in genere che passano da 14.000 miliardi a 23.000 miliardi; il personale in quiescenza passa da una spesa di 30.000 miliardi ad una spesa, badate bene, di 3.000 miliardi, cioè il personale in quiescenza dello Stato ha una riduzione di 27.000 miliardi, cioè da 30.000 a 3.630.

Anche per quanto riguarda il piano dei trasferimenti al settore privato si sono avuti pesanti tagli, e state bene attenti quando si dice settore privato nella pubblica amministrazione non si intendono le imprese, si intendono le imprese e le famiglie quindi anche i trasferimenti che ha ognuno di noi come cittadino; penso che le esigenze del settore privato e delle famiglie dal ’93 al ’97 siano aumentate, invece le spese passano da 32.000 miliardi a 19.000 miliardi, quindi un taglio netto di 13.000 miliardi sui trasferimenti correnti alle famiglie. In particolare, gli interventi assistenziali sui dipendenti pubblici passano da 15.000 miliardi a 5.000 miliardi, quindi un taglio netto di 10.000 miliardi. Per quanto riguarda il settore pubblico, quindi i contributi agli enti pubblici erogati dallo Stato, si passa dal ’93 con 102.000 miliardi a 89.000 miliardi, per cui abbiamo un taglio di 13.000 miliardi da questo punto di vista.

Due percentuali, e con questo finisco questa parte: la difesa nazionale: vi fornisco l’ultimo dato disponibile, le spese per la difesa nazionale tra il ’95 e il ’96 aumentano dell’11%, le spese per la giustizia aumentano del 32%, le spese per la sicurezza pubblica aumentano del 20%; invece, ad esempio, gli interventi per le abitazioni diminuiscono del 22%.

Quindi vedete che aumenta la spesa per il settore militare, di difesa o comunque legato alla giustizia, diminuiscono le spese per le abitazioni, diminuiscono le azioni in campo economico, diminuiscono del 13% gli interventi a favore delle regioni, della finanza regionale locale. Mi pare che questo sia in assoluta contraddizione con quanto invece ci viene detto da queste relazioni e da queste bozze di decreto che stanno sviluppandosi in questi giorni.

Qual è la considerazione finale? In effetti, se confrontiamo i dati che vi ho fornito in maniera velocissima con quelle che sono le linee di intervento che si propone questa riforma della pubblica amministrazione, notiamo che l’unico modo per raggiungere l’efficienza e quello di arrivare ad una veloce privatizzazione di interi comparti e di interi settori dell’amministrazione pubblica e di tagliare il costo del lavoro e diminuire l’occupazione nel pubblico impiego.

Ciò passa sia per il taglio del Welfare State, e quindi scuola, sanità, formazione, lavoro, passaggio ai fondi pensioni, quindi obbligo di tagli pensionistici e ricorso ai fondi privati, e con la mancanza assoluta di compatibilità delle politiche keynesiane.

Fino a qualche anno fa nel nostro paese erano compatibili le politiche keynesiane, e ciò significava, quindi, profitto ma parallelamente sviluppo; oggi lo sviluppo non è più possibile, non è più compatibile perché non è bastato raggiungere i parametri di Maastricht, ma ora "le lacrime e il sangue" dovranno continuare per mantenere quella sorta di parametrizzazione finanziaria a danno della spesa sociale e degli investimenti pubblici.

Questa bozza di decreto per la riforma dell’organizzazione del governo usa come criterio di privatizzazione selvaggia non soltanto quello del taglio diretto del costo del lavoro e quindi il blocco delle assunzioni, ma anche il taglio indiretto, Taglio indiretto significa ricorso alle agenzie private, delocalizzazione produttiva anche per quanto riguarda i servizi pubblici; una parte dei beni necessari per i servizi pubblici dovranno, cioè, essere prodotti all’estero, significa che ci sarà una riduzione del personale e del costo complessivo del lavoro e quindi dei contributi versati per la sanità e per le pensioni.

In questi giorni su tutti i giornali ci sono titoli enormi, sollecitazioni dal Fondo Monetario Internazionale: se la guerra continua, bisogna rimettere mano alla finanziaria, al bilancio pubblico, subito taglio delle pensioni. Guardate che parallelismo tra guerra, ristrutturazione dello Stato, riforma dei bilanci dello Stato e poi tagli alla spesa sociale.

Quali sono le proposte? Noi abbiamo elaborato come Centro Studi Cestes-Proteo delle proposte sia per quanto riguarda l’assunzione nella pubblica amministrazione dei lavoratori socialmente utili; abbiamo individuato addirittura 180.000 tagli diretti di occupati e abbiamo detto che semplicemente assumendo i lavoratori socialmente utili, che mi pare siano 130.000, si ritornerebbe al livello occupazionale della pubblica amministrazione del 1992, e si incrementerebbe ulteriormente l’occupazione. Ma per ritornare al 1992 bisogna regolarizzare la vergogna del nostro paese data dalla ufficializzazione del precariato, lo Stato che istituzionalizza il precariato. Una volta lo Stato perseguiva coloro che facevano lavoro nero o coloro che davano lavoro nero e lavoro precario, oggi lo istituzionalizza.

L’altra proposta che portiamo avanti come Centro Studi insieme ad altre strutture e ad altri centri studi è il riconoscimento di un reddito per i disoccupati. Parliamo di Reddito Sociale Minimo che non è il reddito universale di cittadinanza. Noi diciamo che in un paese in cui non si riesca a garantire l’occupazione bisogna da subito garantire il reddito ai più bisognosi. Il primo livello è quello ovviamente di costruire possibilità di occupazione, da questo punto di vista siamo assolutamente lavoristi, non siamo per la società dell’ozio perché è attraverso il lavoro che la gente si organizza e prende coscienza del proprio vivere insieme; ma fintanto che non si può garantire lavoro, per evitare le forme di precariato, la gente che lavora a 5-600 o 800mila lire al mese, noi chiediamo che venga istituzionalizzato un Reddito Sociale Minimo con un milione al mese ai disoccupati, ai precari, a coloro che perdono il lavoro e con il riconoscimento di servizi pubblici gratuiti per i disoccupati, per i precari e per coloro che hanno un basso livello di reddito.

Molti ci hanno detto, ma queste vostre proposte sono d’impostazione keynesiana; bene, guardate oggi ben torni un modello keynesiano, cioè noi siamo per il ritorno ad uno Stato interventista, ad uno Stato occupatore, uno Stato che non tagli teste ma che crei occupazione, per poi riproporre un terreno di intervento politico, sociale ed economico, che non sia solo di resistenza e di difesa ma capace di rilanciare un’offensiva del mondo del lavoro attraverso una riverticalizzazione del conflitto capitale-lavoro.


[1] Ci scusiamo per la forma che non é quella dei calassici interventi scritti in quanto si tratta di uno sbobinamento effettuato direttamente da un discorsotenuto dal Prof. L. Vasapollo.