Un percorso verso uno sviluppo socialmente sostenibile
Rita Martufi
BILANCIO ECO-SOCIALE contabilizzare l’impatto socio-ambientale dell’attività produttiva
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5. Il Bilancio Ambientale
In questi ultimi 20 anni molte imprese, più costrette dalla
concorrenza, dalla competitività e dalla determinazione d’immagine che da una
sensibilità ai problemi ambientali, hanno compreso sempre più l’importanza della
contabilizzazione delle esternalità; è diventato, quindi, ormai fondamentale per
realizzare una buona politica di marketing inserire nella contabilità le voci
relative ai vari costi ambientali.
Pur se ancora molti ritengono che alla tutela dell’ambiente
si accompagni una riduzione del margine di profitto, è sempre più sentita
l’esigenza da parte dell’impresa dell’inserimento nel ciclo produttivo di
fattori di carattere ambientale procedendo poi alla loro contabilizzazione, in
modo da meglio comprendere quanto questi condizionano la pianificazione
aziendale e l’organizzazione gestionale dell’impresa stessa. Si parla a tale
proposito di eco-bilancio, come parte del più ampio concetto di bilancio
sociale, al fine di contabilizzare le ricadute economiche dovute all’impatto
della produzione aziendale con i costi di natura ambientale.
Molti autori ritengono il bilancio ambientale come uno
strumento da usarsi esclusivamente all’interno dell’impresa per calcolare i dati
che rispecchiano l’impatto ambientale sia in termini di input ( ossia materie
prime, energia, acqua, semilavorati ecc.) sia in termini di output
(semilavorati, prodotti finiti, rifiuti, emissioni ecc.). In questo senso tale
documento contabile viene considerato come un inventario ambientale
dettagliato e diviene una componente del report ambientale d’impresa
attraverso il quale sono delineate le politiche e le prestazioni ambientali
dell’attività d’azienda.
Molto spesso il bilancio ambientale viene considerato come
uno strumento informativo del tutto autonomo dal bilancio contabile d’esercizio
e costruito per contenere esclusivamente dati dell’ecogestione, relativi cioè
alle grandezze relative alla funzione ambientale della produzione. Nel caso,
quindi, di questa visione dell’ecobilancio la sua costruzione è basata sulla
contabilità ambientale riportata su un documento autonomo rispetto al
bilancio sociale e dal bilancio d’esercizio. Diversamente da quest’ultimo, non
esiste a tutt’oggi uno schema di riferimento cui le aziende possano richiamarsi
per le valutazioni quantitative delle voci più specificatamente a carattere di
protezione e salvaguardia dell’ecocompatibilità produttiva, valutazioni
indispensabili per misurare le performance di efficienza e di efficacia
ambientale.
Un’altra nozione di bilancio ambientale indica delle semplici
raccolte di statistiche riguardanti gli inputs del patrimonio naturale.
In tal caso si può pensare ad un documento contabile che ancora viene
considerato come uno strumento in grado di proporre le interrelazioni organiche
che legano la produzione all’ambiente naturale e il conseguente sforzo
finanziario ed economico che l’azienda sostiene per proteggere il patrimonio
ambientale. L’obiettivo che si vuole raggiungere con la costruzione di questo
tipo di bilancio è in sostanza quello di integrare gli strumenti di decisione
tradizionali con le principali variabili ambientali. Di solito la maggior parte
delle informazioni necessarie sono già presenti nell’impresa anche se sotto
diverse forme: è necessario quindi lavorare per effettuare una loro
riclassificazione ed organizzazione al fine di consentirne un pieno utilizzo
nelle decisioni strategiche ed operative da un punto di vista ambientale. Per
ottenere queste informazioni interne, utili per una coerente gestione
ambientale, è necessario effettuare un monitoraggio periodico del proprio
impatto ambientale per arrivare ad assumere delle decisioni di investimento
sulla base dei costi/benefici sia interni sia esterni collegate alla loro
compatibilità ambientale.
Anche la comunicazione ambientale all’esterno è necessaria
per ottenere un miglioramento dell’immagine aziendale con conseguenti aumenti
delle vendite; infine va rilevato che tutte le informazioni devono essere
coordinate e consolidate in tutti i differenti siti produttivi dell’impresa per
evitare il fenomeno delle duplicazioni. Un altro aspetto fondamentale da
prendere in considerazione riguarda l’utilizzo di un linguaggio standard
comprensibile da tutti per consentire di utilizzare le informazioni anche
all’esterno.
A questo proposito vanno ricordati alcuni dei principiali
requisiti necessari per una efficace rappresentazione del bilancio ambientale
d’impresa:
1) In primo luogo la quantificazione in valori
assoluti, ossia nella unità di misura corrispondente (es. per le materie
prime e le sostanze emesse in kg., in litri per i liquidi e l’acqua ecc.);
2) è necessaria poi una esatta correlazione tra
emissioni, consumi ed unità di servizio; in questo senso l’unità funzionale
potrà riguardare la quantità dei pezzi lavorati, la quantità di prodotto ecc.;
3) dovrà essere effettuata anche una correlazione
dei valori ambientali con quelli economici, e tra emissioni ambientali
e costi sostenuti per diminuirle;
4) va infine rappresentata con correttezza
l’evoluzione temporale delle variabili ambientali ossia dei rifiuti, delle
emissioni , dei consumi ecc. [1]
In sostanza un bilancio ambientale deve avere una struttura
che si avvicini il più possibile a quella del classico bilancio d’esercizio con
una parte contabile-quantitativa e una parte descrittiva. È necessario inoltre
garantire la trasparenza ambientale dell’attività produttiva; in
definitiva deve nascere e consolidarsi all’interno dell’impresa una vera e
propria filosofia manageriale in grado di gestire le risorse, la produzione e la
qualità.
Il bilancio ambientale è necessario in questa chiave di
lettura quale strumento da affiancare alla contabilità generale ordinaria per
garantire l’inserimento di tutti i costi ambientali che l’impresa deve
sopportare e che non vengono considerati nel tradizionale bilancio d’esercizio.
A questo fine quindi, vanno inseriti nella contabilità quei costi capitalizzati
per lo sviluppo innovativo legato alle politiche ambientali, mentre non è
corretto inserire quei costi impiantistici che pur determinando un danno
ambientale, e risultando questo non apparente ed immediatamente rilevabile, non
comporta nessun rischio di penalità per l’impresa. Speriamo che non debba
rimanere questo l’esempio di sensibilità socio-ambientale d’impresa! Infine
vanno inseriti nella contabilità ordinaria quei costi che derivano dalle
ricerche e gli studi che si effettuano per produrre macchinari e prodotti non
inquinanti. Va considerato inoltre che, essendo il danno ambientale un costo che
deve essere sostenuto da chi lo produce e non da chi lo subisce, diventa
necessario effettuare delle stime che possano quantificare questo costo. Tra gli
studiosi che hanno affrontato questo problema Dierkes e Preston hanno proposto
la distinzione tra “environmental firms” e “non environmental firms”, con
un’analisi dei risultati a livello sociale di queste ultime e la costruzione di
un inventario delle aree produttive da includere nelle valutazioni,con
particolare riguardo all’energia, all’inquinamento dell’acqua e dell’aria, ai
rifiuti solidi, alle materie prime, ai trasporti, al verde e al rumore; il tutto
corredato con un insieme di misure tecniche e dati statistici direttamente
riguardanti tali aree gestionali-produttive.
La
Fondazione ENI Enrico Mattei ha predisposto già dal 1991, in collaborazione
con l’ISTAT, un programma operativo di studio che, attraverso l’aiuto di un
gruppo di esperti in tematiche ambientali, si adopera per consentire la realizzazione
di un approccio albilancio ambientale.
“Le caratteristiche fondamentali della metodologia sono
riassunte nei seguenti punti:
a) vengono rilevati i dati di tipo fisico relativi sia
alle risorse naturali utilizzate come input nei processi produttivi, sia alle
emissioni nell’atmosfera, agli scarichi idrici, ai rifiuti e al rumore
prodotti dalle attività d’impresa;
b) vengono rilevati i dati di tipo monetario relativi
alla spesa sostenuta dall’impresa per la protezione dell’ambiente;
c) consente, per quanto possibile, collegamenti
organici tra la contabilità fisica di cui al punto a) e la contabilità
monetaria di cui al punto b);
d) è basata su una metodologia che sia applicabile alle
differenti realtà d’impresa e che pertanto sia dotata di un elevato grado di
flessibilità”. [2]
Viene
proposta una struttura di bilancio formata da tre conti : il conto delle
risorse, il conto delle emissioni, il conto delle
spese per la protezione dell’ambiente. La difficoltà maggiore di questo
schema proposto risiede nel fatto che questi tre conti necessitano di un collegamento
che risulta essere molto difficile da attuare.
In specifico il conto delle risorse ( a titolo di
esempio vedi Tab.1) [3],” fornisce indicazioni sulla pressione ambientale
esercitata dall’impresa sulle fonti delle emissioni gassose, degli scarichi
idrici e dei rifiuti ed infine sulla composizione fisica del prodotto finito... Il
conto delle emissioni (a titolo di esempio vedi Tab.2), rileva la
produzione di rifiuti (distinguendo tra rifiuti tossici e nocivi, rifiuti
speciali e rifiuti assimilabili ai rifiuti solidi urbani), le emissioni in
atmosfera (distinguendo tra emissioni convogliate ed emissioni diffuse), gli
scarichi idrici.... ed infine la produzione di rumore..... Il conto delle
spese per la protezione dell’ambiente ( a titolo di esempio vedi Tab.3),
rileva le spese sostenute dall’impresa per prevenire, controllare, ridurre od
eliminare gli effetti negativi arrecati all’ambiente dalle proprie attività
produttive, e per proteggere il patrimonio naturale...” [4].
L’UNEP
nel 1994 ha effettuato un’analisi dei rapporti ambientali di circa 100 imprese
europee, giapponesi e americane ( Nord America); questo studio ha evidenziato
cinquediversi livelli di applicazione degli strumenti riguardanti le strategie
di applicazione della contabilità ambientale, ed in particolare : un primo livello
nel quale si è in presenza di sintetici documenti allegati al bilancio
ordinario (bollettini, newsletter ecc.); un secondo livello nel quale si trova
un rapporto ambientale “una tantum”; un terzo livello caratterizzato
dalla presenza di un reporting ambientale formato più da testo che da
figure; c’è poi il livello nel quale si trovano tabelle input-output
per le risorse e le materie prime, con disponibilità di un supporto informatico
e la redazione di un vero e proprio rapporto ambientale da allegare alla
relazione di bilancio annuale. Nel quinto livello, infine, sono presenti
aspetti sia ambientali sia sociali ed economici, vi è un’integrazione
con la contabilità “full cost”, il tutto per dimostrare che non esiste una
perdita netta di capacità di carico ambientale.
Molte imprese hanno comunque ormai recepito la gravità del
problema ambientale, se non altro hanno intuito i vantaggi competitivi e di
immagine rispetto alla concorrenza nel proporre un ciclo di produzione e un
prodotto più pulito; da ciò si sviluppa la conseguente necessità di dotarsi di
nuovi strumenti in grado di relazionare e coordinare il risultato economico con
quello della protezione del patrimonio naturale. Il più valido strumento per
consentire un miglioramento delle performance ambientali è rappresentato proprio
dal bilancio ambientale; va rilevato però che è necessario delimitare il
campo nel quale muoversi attraverso la creazione di una raccolta di dati
confrontabili tra loro, anche attraverso la creazione di una vera e propria
“contabilità ambientale”, che necessita, al pari dei bilanci economici di
gestione, di una comparazione tra grandezze univoche e uniformi. Il bilancio
ambientale, infatti, consente di analizzare sia lo stato generale delle
condizioni ambientali di un’impresa sia la sua compatibilità con l’esterno.
Le informazioni che questo strumento permette di ottenere
garantiscono un’analisi precisa della “salute ambientale dell’impresa” al fine
di valutare in modo complessivo l’evoluzione eco-compatibile della sua attività. [5]
A
questo punto è interessante mostrare in modo schematico altre proposte, evidenziando
le voci principali di un bilancio sulle quali incide la variabile “ambiente”;
l’esempio successivo mostra chiaramente come alcuni costi ambientali abbiano
già assunto una loro importanza e in che modo possono essere messi in evidenza
in uno schema di bilancio aziendale tradizionale. [6]
Verrà a questo punto di seguito presentato un altro esempio
che tenta di realizzare la proposta di un bilancio ambientale completo,
al fine di rappresentare allo stato della realtà attuale quali sono le voci
necessarie alla sua compilazione. [7]
Questi schemi evidenziano che il bilancio di esercizio non è
sufficiente da solo a garantire l’inserimento e la contabilizzazione corretta di
tutti i costi ambientali che l’impresa dovrà sopportare. È conseguentemente
necessario, fondamentale e non più rimandabile costruire un vero e proprio
bilancio ambientale che si affianchi alla contabilità tradizionale.
Un eco-bilancio deve essere strutturato in modo da fornire
informazioni esatte da un punto di vista di compatibilità ambientale
dell’attività produttiva così come un bilancio d’esercizio provvede ad
effettuare un confronto tra le informazioni consuntive per effettuare delle
valutazioni economico-finanziarie sull’attività dell’impresa.
Il bilancio ambientale non deve essere considerato come
il bilancio sociale relativo alle compatibilità delle logiche d’impresa, ossia
come documento orientato al miglioramento delle pubbliche relazioni, soprattutto
perché in questo modo vi sarebbero molte conseguenze negative riguardanti
specialmente la mancanza di notizie precise, trasparenti e chiare sulle ricadute
ambientali dell’attività d’impresa e soprattutto sulle ricadute sociali
misurabili in termini di costi per l’intera collettività.
Occorre ricordare che mentre è possibile misurare il ritorno
del capitale finanziario con elementi della stessa natura (denaro contro
denaro), al contrario il ritorno del “capitale ambiente” si misura in
termini di valore che l’impresa fornisce o sottrae alla collettività.
Ed è questo l’elemento fondamentale che ci stimola nel
continuare i nostri studi per giungere ad imporre per legge alle imprese
un completo bilancio socio-ambientale capace di evidenziare e
quantificare l’impatto complessivo dell’attività produttiva sull’intero
macrosistema socio-ambientale, cioè sulle risorse naturali, tecnologiche e
soprattutto sul capitale umano sociale complessivo; ci sembra più idoneo infatti
parlare di determinazione di una diversa qualità della vita dell’intera umanità
nel rispetto della natura.
Va
rilevato allora che, già da subito, per dare un senso socio-economico alla costruzione
dei bilanci ambientali, è necessario effettuare delle scelte strategiche
di politica economica generale che operino congiuntamente sulle emergenze
dell’occupazione e della salvaguardia ambientale. È fondamentale coordinare
il concetto di sviluppo sostenibile con quello di incremento di una diversa
ricchezza, realizzabile anche attraverso investimenti in processi, di innovazione
ad alto contenuto di capitale immateriale ed ambientale, in grado di modificare
radicalmente i modi di produzione e la funzione e natura stessa dei beni prodotti.
6. Imporre per legge un completo bilancio socio-ambientale.
Costruire un movimento capace di realizzare un modello di sviluppo solidale
fuori-mercato socio-ecocompatibile.
Le politiche ambientali attuali non sono sufficienti
a garantire neppure dei cambiamenti parziali ma significativi dell’attuale
modello socio-economico di sviluppo; diventa quindi necessario dare un
riconoscimento legislativo al tema del bilancio ambientale d’impresa per
stimolarne la diffusione e soprattutto per superare la logica di adozione di
strumenti volontari, dell’autoregolamentazione e autocertificazione, che
rispecchiano e rispettano solo le compatibilità d’impresa e la sostenibilità di
mercato e non quella dei lavoratori, dei popoli.
È
necessario un riconoscimento legislativo che renda obbligatoria la presentazione
del bilancio socio-ambientale, che integri e affianchi il normale bilancio d’esercizio,
per costringere le imprese ad analizzare e pubblicizzare il grado di perturbazione
delle condizioni socio-ambientali causate dal proprio ciclo produttivo e consentire
così di avviare un processo di profonda modifica della cultura d’impresa che
sia orientata non solo al raggiungimento del “profitto ad ogni costo” ma che
si ponga come obiettivo prioritario la salvaguardia degli interessi socio-ambientali
collettivi.
Si tratta in sostanza di realizzare un diverso modello di
sviluppo incentrato non solo sulle leggi ferree del mercato, ma che si basi
fondamentalmente sull’attuazione di forme di economia sociale a carattere
ecosolidale e cooperativo con connotazioni e logiche fuorimercato.
Diventa allora centrale per un’iniziativa politico-ecologica
antagonista aprire una battaglia per modificare le forme di organizzazione
produttiva attuali con altre più rispettose dell’ambiente, della vita umana,
delle risorse a partire dall’inversione delle regole del modello neo-liberista;
il valore della competizione e del profitto ad ogni costo deve essere sostituito
dal “non avere di più ma essere di più”(Wolfgang Sachs).
I principi ispiratori di un diverso sviluppo, di un nuovo
modello riguardano certamente la prevenzione e il miglioramento della
performance ambientale d’impresa ma mettono al centro del dibattito non
necessariamente la crescita economico-produttiva, ma la crescita della valenza
sociale del vivere collettivo. Questi principi fanno riferimento non alle
priorità aziendali ma alle priorità sociali, al miglioramento continuo della
qualità della vita, alla formazione del personale non incentrata sulle logiche
di competitività di un nuovo darwinismo economico, alla valutazione preventiva
degli impatti socio-ambientali riguardanti il Nord e il Sud del mondo, dei
prodotti e dei servizi orientati a una nuova qualità dei bisogni, all’assistenza
al consumatore e a garantire universalmente i consumi di sopravvivenza, ai piani
di emergenza sociale, al trasferimento di tecnologia non con finalità da
neocolonialismo, ecc.
Va considerato, poi, che non vi è ancora una cultura adeguata
che si indirizzi alla formazione di personale specializzato. È fondamentale
comprendere che vanno contrastate non solo le diversità economiche ma anche le
differenze di istruzione e di informazione che portano a condizionamenti più o
meno pesanti dal punto di vista culturale. Gli emarginati, gli esclusi possono
arrivare a raggiungere una propria dignità anche attraverso la parità culturale.
Quindi “l’eguaglianza di accesso ai mezzi di conoscenza- con la creazione di
libere reti di informazione e di cultura “alternative” rispetto a quelle del
Sistema- va messa al primo posto tra i nostri obiettivi”. [8]
È indispensabile quindi sviluppare nuove politiche
socio-ambientali in grado di mettere in discussione l’attuale modello di
sviluppo, a cominciare dalla possibilità concreta di generare nuova e diversa
occupazione, di incrementare la ricchezza sociale in un’ottica di miglioramento
della qualità della vita dell’intero genere umano e di ogni specie vivente.
È necessario analizzare in che modo una seria politica
ambientale influenzi l’occupazione, soprattutto in termini di crescita, di
contrazione o nel senso di riduzione del tempo sociale del lavoro. A volte,
infatti, le misure di tutela del patrimonio sociale e naturale comportano dei
costi aggiuntivi per l’impresa e delle conseguenti perdite di competitività
rispetto ai parametri di mercato, ma ciò realizza nel contempo degli importanti
benefici per il macrosistema della società che decide di far uso di parametri
diversi a forte connotato sociale e non solo monetario. L’atteggiamento
economico di un diverso modello di sviluppo a forti contenuti di
eco-socio-compatibilità, di sviluppo realmente sostenibile per l’intera
collettività, deve infatti tener conto sempre di tali principi di socialità che
si indirizzano conseguentemente ad una attenta salvaguardia dell’intero
patrimonio socio-ambientale, in modo tale da rendere possibile un equilibrio tra
impresa e ambiente, non solo naturale, capace di sviluppare nuovo valore
aziendale, nuova ricchezza anche e soprattutto derivante dalla valorizzazione
del capitale intangibile, ricchezza che va distribuita nell’intero tessuto
sociale, determinando così processi di socializzazione dell’accumulazione.
Il fine è quello di sostituire le idee economiciste del
sistema attuale con quelle di solidarietà umana, internazionale e
anticapitalistica; questo per contrastare la crescente globalizzazione
dell’economia che al grido di “vincano i più forti” sta devastando e
distruggendo ogni dimensione della civiltà umana, dell’ambiente, delle
solidarietà sociali.
E allora è necessario contrastare il potere del mercato,
realizzando un miglioramento delle condizioni umane e ambientali attraverso
l’articolazione di un vero e proprio sodalizio fra ricerca scientifica e
iniziativa politico-sindacale che ponga al centro i bisogni reali dei popoli,
per arrivare a una effettiva solidarietà internazionale capace di realizzare un
modello di sviluppo solidale fuori-mercato socio-ecocompatibile.
La necessità di un movimento internazionale della sinistra di
classe che trova le sue ragioni nelle problematiche socio-ecologiche e il suo
fondamento sulle ragioni delle masse dei non garantiti, è diventato ormai sempre
più fondamentale soprattutto in vista della crescente crisi del capitalismo
mondiale e del peggioramento delle condizioni economiche, sociali ed ecologiche
globali. La classe lavoratrice, inserendo ovviamente in questa i disoccupati e i
non garantiti, deve comprendere che il degrado dell’ambiente è ormai una
problematica cruciale per ogni movimento antagonista, poiché derivata dal
complessivo meccanismo di sfruttamento del modello di sviluppo neo-liberista.
È allora centrale per l’iniziativa sociale e di riflessione scientifica di
una nuova sinistra antagonista ”sviluppare una sensibilità verso la scienza e
l’ecologia” e al tempo stesso riconoscere che” la distruzione della natura nel
mondo capitalista si basa sullo sfruttamento di classe e sulle leggi che muovono
il capitale”. [9]
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[1] Cfr. Bianchi D., “Bilancio Ambientale: le informazioni
attese”, presentato al convegno “Bilancio Ambientale: da strumento di controllo
ambientale a strumento strategico”, 18 Maggio, Milano 1994.
[2] Cfr. Forum, Rapporti ambientali, “Bilanci e Rapporti
Ambientali d’impresa”, Fondazione Enrico Mattei, a cura di Ranghieri F.,
Sammarco G., Gennaio 1994, pag.11-12.
[3] Gli schemi riportati costituiscono degli esempi a cui si è
fatto riferimento e presentati in Forum, Rapporti ambientali, “Il rapporto
ambientale d’impresa”, Fondazione Enrico Mattei, Gennaio 1994, pagg. 8 e segg.
[4] Cullino R., Sammarco G., “Il bilancio ambientale
d’impresa”, in “Ambiente e contabilità nazionale”, a cura di Musu I. e
Siniscalco D., Il Mulino, Bologna, 1993, p. 478-479.
[5] Cfr. E. Sassoon, C. Rapisarda, Sassoon C.,
“Management....”, op. cit. p.149.
[6] Per la realizzazione del successivo schema presentato nel
testo, cfr. Bartolomeo M., Malaman R., Pavan M., Sammarco G., “Il bilancio
ambientale d’impresa”, Il Sole 24Ore Libri, Pirola, S.p.A., Milano, 1995, p. 58.
[7] Gli schemi riportati costituiscono esempi riportati in
Forum, Rapporti ambientali, “Il rapporto ambientale d’impresa, Fondazione Enrico
Mattei, Gennaio 1994, pag.11 e segg.
[8] Cfr.”Giovenale F., ”Per una sinistra verde”, in
“L’ecologismo del 2000. Idee per un programma”, p.6.
[9] Cfr. O’Connor J, Faber D. “Il movimento ambientalista negli
Stati Uniti”, Datanews, 1990, p.41.