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Analisi-inchiesta: il movimento dei lavoratori tra cambiamento e indipendenza

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

Sabino Venezia
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Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (terza parte). Dalla partecipazione controllata alla concertazione
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Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (terza parte). Dalla partecipazione controllata alla concertazione

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

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Inquadramento: il sindacato chiedeva un passaggio in massa al 3° liv. (il 50% dei tessili era al 2°), ottiene solo una minima parte dei passaggi, e media, accettando una indennità di mansione di 10.000£ mensili per la riduzione dell’orario di lavoro il sindacato accetta 40 ore annue di riduzione per gli addetti al settore tessile non turnisti con assorbimento del pagamento di 2 ex-festività soppresse, 36 ore annue per i turnisti con assorbimento delle stesse ex festività.

Malattia: pagamento del 100% solo dopo il 13° giorno di malattia, i primi 13 giorni sono vergognosamente pagati sensibilmente ridotti [1].

Il 1 settembre, infine, si rinnova il contratto dei metalmeccanici, scaduto il 31.12.81, durata della trattativa 20 mesi, con oltre 160 ore di sciopero ogni lavoratore ha perso dalle 700.000 alle 900.000 Lire. scadenza del contratto 31.12.’85, durata contrattuale 4 anni. nessun recupero salariale per il 1982. Per gli otto mesi dell’83 viene concesso un recupero di 226.000 £ lorde. Per compensare lo scivolamento della scadenza contrattuale, 6 mesi, vengono concesse 130.000£ lorde nella busta di Gennaio ’84.

L’orario di lavoro rimane di 40 ore, aumenti salariali scaglionati in 3 anni, Sett.’83, Genn.’84, Genn.’85 e tali da non compensare minimamente la perdita del potere d’acquisto dei salri registrato negli anni di inflazione selvaggia.

Tra gli operai, dove è concentrata l’80% della categoria(2°,3°, 4° livello), gli aumenti netti alla fine del triennio saranno rispettivamente di 55, 60 e 65.000 £.

Per la 7° categoria, quadri e tecnici dirigenti, viene erogato un ulteriore aumento di 70.000£ che li porta ad un aumento di lordo di 192.000£ nel triennio. [2]

Gli anni ’80 verranno quindi ricordati, dal punto di vista sindacale, come la stagione della flessibilità, “la crisi economica rendeva certamente difficile pretendere troppo per i lavoratori, ma il sindacato andò oltre, si fece carico della ‘compatibilità economica’ e del ‘quadro di insieme’, allo scopo di arginare la reazione e di salvare i posti di lavoro anche a costo di rinunciare a qualche tutela”.

Giusto o sbagliato che fosse in teoria, ciò contribuì in pratica, insieme alla crisi economica e all’irrompere delle parole d’ordine del liberismo, all’inizio di un arretramento dei diritti dei lavoratori. Inizia la parabola discendente: verso la flessibilità

Alla fine degli anni ’70 cominciò quindi la stagionedella flessibilità, sul presupposto della stretta correlazione, non provata e discussa in economia, tra la disoccupazione e l’eccessiva rigidità del mercato, pensando soprattutto ai vincoli legislativi per i licenziamenti.

Bisognava quindi o ridurre i vincoli o utilizzare sempre di più rapporti di lavoro non subordinati o non a tempo indeterminato e cioè rapporti che per loro natura si sottraevano a quei vincoli.

Cominciò quindi un percorso di riduzione della “stabilità” del posto di lavoro e quindi di “precarizzazione” del lavoro.

Ciò fu realizzato, ad esempio, con il contratto di formazione e lavoro, che è in sostanza un contratto a termine, a cui non si applicano quindi le norme generali di tutela dal licenziamento e che può non essere trasformato in rapporto indeterminato alla scadenza, con il contratto di “solidarietà” (riduzione dell’orario e della retribuzione per riassorbire eccedenze di personale o per consentire l’incremento dell’occupazione), con il contratto “part-time”.

Ma soprattutto cominciarono ad allargarsi le maglie del contratto a termine in particolare con una legge del 1987, che ha consentito il ricorso a tale istituto in ogni ipotesi prevista dai contratti collettivi” [3].

E a titolo di esempio, andando avanti negli anni, si può vedere come la scelta concertativa dei sindacati confederali, era già stata assunta ed esplicitata nelle trattative contrattuali di molti anni prima del fatidico 1993.

Nel Dicembre ’91 dopo 10 mesi di trattative che hanno visto l’opposizione di molti lavoratori ed anche mobilitazioni e scioperi (25 ottobre e 6 Dicembre), si firma un accordo ponte tra Governo, Confindustria e CGIL - CISL - UIL sul costo del lavoro; la trattativa definitiva è rimandata a giugno del ’92, per ora: scompare la scala mobile, si avvia la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici e si aumenta l’IRPEF dell’1% che va direttamente all’industria privata come finanziamento.

Trentin si dimetterà e il PDS criticherà l’accordo ma ormai il danno è fatto, per milioni di lavoratori inizierà la stagione dei salari iniqui, che non si è ancora conclusa. Per il sindacato in Italia, il sindacato che conta, quello dei quadri e degli apparati a mezzo servizio con i governi (e l’altra metà con la Confindustria) l’adeguamento del salario alle condizioni di vita non è più una necessità, nel 2000 quasi un milione di famiglie, per lo più monoreddito, vivranno sotto la soglia di povertà

Le proteste di Trentin e le sue indicazioni di fare i ricorsi legali, non saranno altro che i sintomi di una difficoltà nel difendere tra i lavoratori l’accordo.

Il sindacalismo storico italiano, quello confederale, ha prodotto una frattura nella base sociale, frattura limitata ma vera che non si arresterà se consideriamo l’accentuarsi della crisi sociale.

Come vedremo questo processo non si svolgerà in maniera organizzata e lineare e determinerà scelte sindacali articolate, anche nelle strutture del sindacalismo di base. Alcuni si orienteranno verso chi afferma la necessità di riunificazione del terreno sindacale con quello politico; altri addirittura verso chi addita la centralità organizzativa come male da combattere ed afferma la centralità delle strutture locali, pensando che la solidarietà, e la successiva unificazione tra lavoratori, sia automatica ed inevitabile; altri ancora ritengono funzionale una struttura che raccolga entrambi le posizioni, sia cioè legata ad un percorso politico - partitico e che conservi un livello territoriale (di base) radicalmente strutturato sui posti di lavoro, riservando a questi ultimi la centralità del processo di avanguardia. In pochi si preoccupano di conciliare, in antitesi alle posizioni sopra riportate, la capacità di esprimere una differenza di ruolo e di funzioni tra il livello politico e quello sindacale e la necessità di organizzazione come elemento di gestione della solidarietà in un ambito di riaffermazione dell’identità di classe nell’indipendenza del movimento dei lavoratori per ricostruire la vera autonomia di classe. Tentativo portato avanti ormai soltanto dalle RdB e dalla CUB.

Gli anni 90 [4] saranno caratterizzati dalle politiche di Maastricht e dalla crisi finanziaria europea; gli accordi di Luglio del ’93 e la concertazione disporranno il sindacato confederale in una situazione di privilegio costringendo il sindacalismo di base ad estenuanti battaglie per la difesa della democrazia sindacale e la rappresentatività.

La stagione delle RSU si era aperta con un accordo nel Pubblico Impiego, firmato da CGIL - CISL - UIL, che garantiva la designazione del 33% dei delegati confederali. Le inique velleità di unificazione dei confederali spinsero molti a credere che il nuovo modello delle rappresentanze sindacali unitarie potesse rappresentare una sorta di steccato plurirappresentativo nel quale imbavagliare qualunque spirito antagonista. Figlie dell’altra norma anti-democratica, la maggiore rappresentatività, le RSU erano state appositamente studiate come contenitore di “quadri sindacali”, spesso soggetti avulsi dalle dinamiche di apparato ma comunque espressione di realtà locali consolidate sotto vari aspetti, con l’unico compito di innescare meccanismi di confronto e di analisi dai tempi estenuanti; Componenti della RSU furono, e sono tuttora, un numero impressionante di eletti, diversi per estrazione sindacale e professionale, tenuti insieme da una necessità di democrazia incompiuta che porterà questi organismi, nella logica della concertazione, a trascorrere intere giornate alla ricerca di un accordo da sottoporre all’Amministrazione, accordo che rappresenta il Contratto Integrativo Aziendale. Mentre decine, a volte centinaia, di delegati eletti cercano la “quadra” nel modello imposto dalla contrattazione nazionale, l’altra faccia del sindacalismo territoriale, i quadri delle organizzazioni maggiormente rappresentative, i “funzionari di apparato”, chiudono gli accordi decentrati con le Amministrazioni, anche se le RSU non concordano e l’accordo è valido ugualmente.

Le Rappresentanze Sindacali Unitarie saranno lo strumento prescelto per costringere i livelli di contrattazione periferica a regolamentare la “guerra tra poveri” intervenendo nella spartizione (spesso meritocratica) di quei “quattro soldi” di contratto messi a disposizione dal livello nazionale e la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore, sull’onda delle rivendicazioni accettate in Francia, sarà per molti una chimera. In sanità, dove i tagli di personale e la politica dei sacrifici costringono molti dipendenti a turni massacranti, non solo le 35 ore saranno frutto di poche realtà aziendali, ma non sarà apprezzabile il riscontro in termini occupazionali né in termini di diminuzione reale dell’orario di servizio. Nelle 80, 100 ore mensili di straordinario programmato non si noterà la politica delle 35 ore ma l’assenza di una reale politica del lavoro e le ripercussioni sulla possibilità di fruire di un diritto costituzionalmente riconosciuto saranno devastanti e rappresenteranno lo strumento operativo di una politica di sacrifici che contrapporrà il taglio dei salari agli sprechi della gestione politicista del bene salute.

Sulle RSU si è già detto, ma è importante ribadire alcuni concetti: chi sono i candidati confederali a rappresentare i lavoratori? Di norma elementi sindacalizzati ma privi di esperienza, spesso facce nuove con un ruolo visibile nelle strutture e con incarichi di coordinamento e/o di gestione del personale; la politica del clientelismo, che ha fatto la fortuna di molte organizzazioni negli ultimi anni, sceglie nuove strategie di legittimazione dello strapotere ottenuto “illecitamente”. Che l’era di Tangentopoli abbia solo sfiorato il sindacalismo confederale è convinzione comune ma che era indispensabile, in quegli anni ed in quelli immediatamente successivi, assicurarsi un incarico o una integrazione economica grazie alle conoscenze di qualche noto dirigente sindacale di struttura, è altrettanto noto. “I portatori d’acqua” sono spesso procacciatori di contratti di assicurazione per l’agenzia “affiliata” al sindacato, sono i terminali territoriali di una rete di servizi che il sindacato, sempre più vertice e meno base, offre sul posto di lavoro per supplire all’assenza di iniziativa, di conflitto; la base è scontenta, ma almeno può pagare l’assicurazione auto con rate mensili in busta paga, può fare un viaggio all’estero e pagare in 10 comode rate, può comprare sempre a rate e con forti sconti, dalla lavatrice alla macchina: una sorta di agenzia dei servizi per ripagarti della tessera. È facile comprendere come questi affaristi di mestiere possano rappresentare i diritti dei lavoratori. Il sindacato concertativo si fa istituzione e ne sussume tutti gli aspetti corruttivi.

La firma degli accordi di Luglio del ’93 arriva a legittimare una situazione che si è ormai delineata da alcuni anni. “La fase della concertazione... l’innovazione più originale e fruttuosa degli ultimi anni, ...ha consentito di tenere sotto controllo le dinamiche retributive senza perdere il consenso sociale e di avviare un risanamento controllato ed equilibrato dei conti pubblici” [5].

Nel ’93 secondo l’ISTAT si sono “persi” 556.000 posti di lavoro, nel ’94 l’occupazione nell’industria e diminuita del 5% e nei servizi del 3.2%. La situazione è particolarmente esplosiva nel Sud: il tasso di disoccupazione è del 18% contro una media nazionale del 12%; al Sud si concentra il 24.6% della popolazione che vive in situazione di povertà, contro il 15.4% della media nazionale. Le regioni del Sud sono a scarsa industrializzazione, hanno una presenza notevole delle Partecipazioni Statali che in questo anno sono in dismissione, in Campania: Alenia, Italsider, Fincantieri, SME (e chiude anche la SEVEL per la ristrutturazione della FIAT), 30.000 iscritti nelle liste di mobilità, 8000 già usciti senza alcun sostegno né alcun ammortizzatore sociale; 7000 dipendenti exGepi;

- in Calabria la deindustrializzazione è iniziata negli anni ’80, successivamente è stato chiuso il polo chimico di Crotone e sono state smantellate tutte le aziende ex Gepi;

- in SICILIA il tasso di disoccupazione è del 23%, a Palermo del 33%, ristrutturazione e chiusura di medie e grandi industrie, blocco dell’edilizia e dell’agricoltura.

Al congresso del Pds D’Alema attacca le posizioni di Cofferati, dichiarandosi favorevole ad una riforma che dia flessibilità e mobilità al lavoro. Si sarebbe portati a considerare le due posizioni antagoniste tra loro, non è così. Ambedue i leader ritengono che la flessibilità e la mobilità sono elementi indispensabili per la soluzione del problema del lavoro. D’altro canto il “cinese” si affermerà sulla scena politica a fine mandato (nel 2002) come “unico” garante dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma non parteciperà alla raccolta di firme proposta da Rifondazione Comunista e dal sindacalismo di base per estendere quei diritti alle imprese con meno di 15 dipendenti. Cofferati, per la CGIL, ha già firmato innumerevoli patti concertativi (non ultimo il “pacchetto Treu”) che hanno ampia ricaduta sul mondo sociale in termini di precarizzazione del mondo del lavoro: si estende la percentuale del lavoro part-time, si estende la possibilità al ricorso al lavoro interinale; Lavoratori Socialmente Utili o di Pubblica Utilità saranno l’esempio costante di una politica di precarizzazione del rapporto di lavoro, nel verso della flessibilità e della mobilità, che non si arresterà più; inoltre il decentramento, la delocalizzazione, l’esternalizzazione, la crescita del lavoro autonomo salariato a cottimo, hanno permesso la modifica dei rapporti di forza nei luoghi della produzione materiale a favore del capitale, accentuata anche dall’aumento della disoccupazione, dalla riduzione dello Stato sociale, dalle politiche immigratorie, ecc.

“Introdusse, inoltre, il c.d. lavoro interinale o temporaneo, dimostrando definitivamente il venir meno del “disfavore” del legislatore verso il contratto a termine o comunque la durata temporanea del rapporto e quindi la “precarietà”. Nel frattempo la “precarizzazione” seguiva anche un’altra strada.

Le caratteristiche del mondo del lavoro stavano infatti cambiando: sempre meno lavoro nella grande industria e sempre più lavoro nel commercio e nei servizi, con modalità di lavoro sempre più diversificate.

È ovvio che il lavoro fuori della fabbrica e delle vecchie catene di montaggio, presenta caratteristiche nelle quali la “subordinazione” è meno evidente, possono non essere richiesti orari di lavoro rigidi e diverse attività vanno svolte fuori dall’azienda.

Ciò comportò l’opportunità per il datore di lavoro di sottrarsi ai vincoli del lavoro subordinato, utilizzando sempre di più il rapporto autonomo, in cui peraltro restava la subordinazione, tecnica, funzionale, ma soprattutto economica” [6].

E questo avviene in perfetta simbiosi con le politiche europee, è la politica degli accordi di Luglio del 1993, è la concertazione, i cui frutti nefasti si continueranno a vedere nel decennio successivo, con la politica liberista dei Governi Prodi - D’ Alema e con quello dell’iperliberista Berlusconi. Comportamenti e modello, però, che vanno sempre più determinando nuove soggettualità del lavoro e del lavoro negato, che hanno rappresentazioni sociali caratterizzate soprattutto dalla presenza di forme di precarizzazione e flessibilizzazione del vivere complessivo, forme derivanti dagli assetti di ristrutturazione e ridefinizione sociale e, sul sociale, del capitalismo.

L’obiettivo Maastricht è quindi in via di realizzazione: costruire una Europa dei poteri finanziari, forte, con l’intento di subordinare le politiche economiche dei paesi membri alla creazione di un nuovo polo economico e di potere internazionale, alternativo al polo USA, da una parte, e al Giappone (più corretto Asiatico con la Cina nel WTO tra qualche anno). L’obiettivo è importante, urgente e la strategia non deve subire rallentamenti di sorta, il prezzo? alto!

Una politica figlia della crisi internazionale e nazionale, una politica insufficiente ai mercati ed alle imprese che la riproporranno, ancor più pesantemente, nel 2004 con il neo-presidente di Confindustria (e della FIAT) Montezemolo.


[1] Per approfondimenti vedi: “Noi” periodico delle Rappresentanze di Base - n°7 pag. 8.

[2] Per approfondimenti vedi: “Noi” periodico delle Rappresentanze di Base - n° 7 pag.6 e 7.

[3] Giovanni Cannella (magistrato di Corte d’Appello) pubblicato su “D&L, Rivista di critica del diritto del lavoro “ 4/2001, p.873

L’articolo, che è pubblicato anche su Omissis (www.omissis.too.it), e sul numero monografico di marzo 2002 della rivista “Il Ponte” intitolato “Quale governo quale giustizia” riproduce la relazione introduttiva per l’assemblea pubblica e dibattito dal titolo “No al lavoro senza diritti”, organizzata a Roma il 14/12/01 dal Forum Diritti-Giustizia (Social Forum Roma)-Antigone,Cred, Giuristi democratici, Progetto diritti, Camera del lavoro e del non lavoro, Cobas, Rdb, Avvocati progressisti italiani, Magistratura democratica romana.

[4] Per approfondimenti: http://online.cisl.it/arc.storico/%237641793.0/Cinquant’anni%20della%20Fim-Cis.doc

*(www.uil.it/storia.htm) Ivo Camerini: “Articolo per ViaPo, Firstclass-Cisl,Documentazione,ArchiviOnline” www.cronologia.it

[5] S. Cofferati, “A ciascuno il suo mestire”, Mondadori, 1997, pag.50

[6] Giovanni Cannella, op. cit.