Per quanto riguarda la Campania, all’inizio dello stato di
emergenza rifiuti (1994), il potere è andato al prefetto di Napoli.
Successivamente nel 1996 è passato al Presidente della Regione.
Da allora (1996) è stato stabilito un piano regionale con
due obiettivi primari:
- 35% di raccolta differenziata RSU;
- 65% di CDR.
A tal fine sono stati inizialmente investiti 132 miliardi di
lire per:
- impianti;
- attrezzature;
- assunzione di 2000 lavoratori nell’ambito.
Successivamente sono stati stanziati:
- 18 miliardi per 18 impianti di compostaggio;
- 12 miliardi per 12 impianti di compostaggio domestico;
12 miliardi per 5 impianti mobili per il trattamento e recupero dei rifiuti
“inerti”.
Oggi ci sono solo 2 impianti di selezione, 2 di compostaggio,
2 di trasferenza.
La raccolta differenziata è in media del 2% al 2002, con
differenti rendimenti a seconda delle province: i consorzi di SA1 e SA2 a
Salerno, AV1 e AV2 ad Avellino e NA3 a Napoli, nel Nolano, sono i migliori nella
raccolta differenziata.
La città di Napoli oggi differenzia solo il 10,5% dei RSU
prodotti.
I piani “straordinari” hanno solo aggravato la
situazione, con costi esorbitanti per la comunità.
In otto anni di gestione commissariale sono stati spesi 800
milioni di euro, ovvero 200 miliardi di vecchie lire all’anno.
Per spedire i rifiuti all’estero dal gennaio 2001 al
gennaio 2003 sono stati spesi 240 milioni di euro. Ovvero 600 milioni a treno. L’Italia,
tra l’altro, è costretta ad acquistare energia dalla Germania.
4. Convergenza di interessi politico-economici sull’incenerimento.
In Italia sono attivi 47 inceneritori e ne sono previsti altri 57 di cui 13 al
sud. Si tratta di un’enorme affare economico il cui referente principale è la
grande impresa, Fiat in testa. Se pensiamo al costo di costruzione di un
inceneritore e al suo mantenimento ci rendiamo conto di quanto sia una scelta
assolutamente assistenzialista nei confronti delle grandi imprese, e deleteria
nei confronti delle popolazioni locali
La creazione e gestione di mega-impianti a forte impatto
ambientale è risultata essere una scelta perdente sotto tutti i punti di vista.
Tranne per chi li costruisce e li gestisce.
Da questa serie di considerazioni possiamo cominciare a
trarre alcune prime sommarie conclusioni.
Quello che viene definito ciclo integrato dei rifiuti (fig.1)
funziona nella realtà come un processo unilineare (fig 2).
L’immondizia una volta raccolta, sia in forma differenziata
che non, viene avviata alle discariche (“strumento obsoleto” decreto Ronchi
ndr) o ai CDR dove senza alcun processo di selezione viene confezionata in
ecoballe che bruciano sia negli inceneritori che nei cementifici (CDR
combustibile da rifiuto).
La base del ciclo integrato dei rifiuti dovrebbe essere,
invece, la raccolta differenziata, la riduzione dei consumi, il riutilizzo. La
totale assenza di strutture necessarie a svolgere questa fase preliminare fa
della raccolta differenziata solo uno strumento di propaganda, uno specchietto
per allodole a cui il cittadino deve credere, ma che come molte cose che
crediamo intensamente essere vere, in realtà non esiste.
4. Problematiche dell’incenerimento
4.1 Salute
Numerose sono le problematiche legate al processo di
incenerimento dei rifiuti, dall’ambito della salute dei cittadini e dei
lavoratori degli impianti, all’impatto ambientale che la costruzione di tali
strutture comporta e, in ultimo, ai costi di gestione che sono sempre altissimi.
La discussione attorno a questi problemi è fin dall’inizio
incentrata, da parte della stampa ufficiale, sulla difesa, con argomenti
differenti, della costruzione degli impianti di incenerimento. Per sostenere
questa posizione, tuttavia, numerosi elementi vengono portati al dibattito,
spesso paradossali.
I principali impatti sull’ambiente e sulla salute sono
connessi alle emissioni dal camino dell’impianto e alla produzione e
successiva gestione di rifiuti solidi (ceneri leggere e pesanti, scorie) che
derivano dai processi di combustione. In relazione a questo problema, le aziende
costruttrici di inceneritori affermano rassicuranti che i moderni impianti sono
dotati di mezzi sofisticati di abbattimento delle sostanze tossiche che tramite
un processo di ottimizzazione renderebbero queste scorie non dannose.
In realtà, quello che non viene detto è che la grande
eterogeneità dei rifiuti avviati ai processi di combustione permette un’ottimizzazione
solo parziale delle scorie. Va aggiunto, poi, che questi “sistemi di
abbattimento” determinano una trasformazione delle scorie tossiche dalla fase
aeriforme a quella solida o liquida, per cui anche l’ottimizzazione delle
scorie volatili finisce per creare una quantità di residui solidi ad alta
tossicità che sarà necessario smaltire in seguito.
Ulteriore problema, poi, spesso taciuto, è rappresentato
dalla qualità del combustibile che viene inviato all’inceneritore. La quota
di combustibile/rifiuto selezionato dagli impianti di CDR è bassa e di cattiva
qualità (come testimonia la chiusura, da parte della Magistratura di alcuni
CDR, ad esempio in Campania), questo significa che il “termovalorizzatore”
si trova a bruciare rifiuti caratterizzati da grande eterogeneità, il che
provoca all’interno della caldaia condizioni chimico-fisiche tali da originare
reazioni innumerevoli e incontrollabili, i cui effetti sono prevedibili solo in
parte.
Questa imprevedibilità delle reazioni che avvengono all’interno
della caldaia è un aspetto che viene aggravato da una sostanziale
impossibilità a valutare in maniera adeguata e precisa le emissioni di un
impianto di incenerimento. La valutazione, infatti, può essere effettuata sulle
fasi di funzionamento “normale”, cioè quando l’impianto funziona “a
regime”. Fasi interessanti da considerare, invece, sarebbero quelle cosiddette
“transitorie”, le fasi cioè di avvio e di spegnimento dell’impianto,
durante le quali le emissioni si modificano considerevolmente.
Si passa, per fare solo alcuni esempi, da una temperatura di
978°C nelle fasi “a regime” a 800 - 870°C nelle fasi di avvio/spegnimento;
da una concentrazione di Ossido di Carbonio di 230 mg/mc a una di 340 - 1000; o
da una concentrazione di 42 nanogr/mc delle condizioni di funzionamento “normale”
a una di 1.860 in fase “transitoria” per quanto riguarda i precursori
cloroorganici delle sostanze a maggiore nocività. Tali variazioni,
significative per quanto concerne la tossicità per le popolazioni residenti in
aree limitrofe, non vengono considerate nella valutazione complessiva poiché la
valutazione dell’impianto viene eseguita su valori medi che nascondono le
situazioni limite durante le quali si verifica un’emissione più elevata di
sostanze tossiche. L’esposizione delle popolazioni a rischio, perciò, varia
nel tempo e le persone vengono esposte a picchi di concentrazione di tossici che
hanno effetti significativi sulla salute ma non vengono registrate dalle
valutazioni di impatto ambientale e sulla salute.
Ma questi sono solo alcuni dei tanti paradossi che
caratterizzano tutta la vicenda inceneritori. Certamente, fra di essi, quello
che riguarda l’impatto sulla salute è il più clamoroso. Poche sono, infatti,
le considerazioni in merito sulla stampa ufficiale, numerose le “voci” e
pochissimi i dibattiti nei quali si affronti la questione dal punto di vista
scientifico.
In realtà sappiamo con certezza che qualsiasi tipo di
impianto di incenerimento rifiuti, anche quelli di ultimissima generazione, ha
un impatto pesante sul piano ambientale e sanitario in ragione dell’enorme
quantità di sostanze tossiche rilasciate nell’ambiente in forma gassosa,
solida e liquida. Le più pericolose tra queste sostanze sono rappresentate dai
cosiddetti POP (Persistent Organic Pollutants) come diossine e furani (in larga
misura prodotti della combustione ad alte temperature di sostanze plastiche e in
particolare di PVC), ma anche dai metalli pesanti (mercurio, cadmio ecc.), dal
particolato atmosferico fine, dai gas acidi e dai gas serra.
Queste molecole tendono ad accumularsi nell’ambiente ed in
particolare nei tessuti e negli organi degli organismi superiori attraverso il
processo di “biomagnificazione”. Attraverso la catena alimentare, cioè, le
sostanze tossiche si accumulano in enorme quantità negli animali più grandi
che si cibano di quelli più piccoli. La loro persistenza nell’ambiente è
legata al fatto che non sono bio-degradabili: resistono cioè ai processi
bio-chimici messi in atto dagli ecosistemi naturali per decomporli e diffondono
per centinaia di chilometri attraverso un’infinità di vie naturali e
artificiali (aria, acqua, organismi ecc.). La pericolosità di queste sostanze e
la loro provenienza diretta dagli impianti di incenerimento dei rifiuti sono
elementi accertati, tanto che la Convenzione di Stoccolma, nel 1972, ha indicato
gli inceneritori di rifiuti come una delle fonti maggiori di produzione di
POP.