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Ernesto Screpanti
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Professore, Università di Siena

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L’imperialismo globale e le leggi “naturali” dell’accumulazione capitalistica (Seconda parte)

Ernesto Screpanti

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Come rimediare a questa situazione? Come fa una famiglia a ripagare i propri debiti quando non è capace di farlo col proprio flusso di reddito? Deve intaccare il capitale, deve vendere i gioielli di famiglia. A questo si riduce il famoso Piano Brady, il quale, ridotto all’osso, funziona così.

Una parte dei crediti delle banche private viene convertita in obbligazioni a lunga scadenza, previo abbattimento del loro valore e/o riduzione del tasso d’interesse. Le obbligazioni sono garantite dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale. Queste istituzioni inoltre concedono nuovi prestiti ai PVS, rifornendoli così di una quantità di moneta che viene usata per ripagare parte del debito verso le banche private. Un’altra parte viene ripagata attraverso un cammino più tortuoso. Le banche vendono una quota dei propri crediti sul mercato secondario a prezzi scontati. Le grandi imprese multinazionali li acquistano e li convertono nelle valute nazionali dei paesi debitori. Così il debito estero diventa debito interno. I PVS possono ripagare questo debito con beni immobili nazionali. In tal modo, mentre le banche private alleggeriscono la loro esposizione riducendo i loro crediti verso i PVS, le grandi multinazionali riescono a comprare a prezzi stracciati imprese e risorse naturali di quegli stessi paesi. Con il debt-equity-swap il debito viene ripagato cedendo la proprietà delle imprese, mentre la cessione di vaste riserve di risorse naturali passa per il dispositivo cosiddetto debt-nature-swap. Questo meccanismo di esproprio non è stato inventato dal ministro del Tesoro americano Nicholas Brady, il cui piano in realtà non ha fatto altro che sancire e regolarizzare un meccanismo di mercato che già funzionava così: le banche vendevano i propri crediti sul mercato secondario a prezzi molto bassi, le multinazionali li compravano e poi li usavano per comprarsi dei pezzi dei PVS indebitati. Vediamo qui operare al meglio quel processo di “accumulazione per espropriazione” [1] che il capitale globale riesce ad attivare usando gli aiuti ai PVS invece che le cannoniere.

In conclusione è accaduto che, durante gli anni ‘80 e i primi anni ‘90, i flussi di capitale dal Sud al Nord del mondo per il servizio del debito hanno superato i flussi degli investimenti internazionali dal Nord verso il Sud. I paesi poveri hanno finanziano i paesi ricchi. Per fare ciò hanno dovuto “stringere la cinghia”, cioè hanno dovuto impoverirsi ancora di più. Nello stesso tempo è accaduto che una quota crescente di risorse del Sud del mondo è stata appropriata dalle multinazionali del Nord. I paesi poveri si sono dovuti svendere a quelli ricchi.

La trappola del debito dà vita a una sorta di ciclo lungo del debito estero. Ci sono fasi in cui gli investimenti esteri verso i paesi assoggettati aumentano, anni ‘20, ‘50, ‘70, seguite da fasi in cui esplode il problema del rimborso del debito. Negli anni ‘90 il flusso di investimenti esteri nel Sud del mondo ha ricominciato ad aumentare, specialmente in conseguenza dei bassi tassi d’interesse prevalenti nel Nord. Questa volta si tratta soprattutto di capitali privati di tipo speculativo, i quali hanno già prodotto effetti devastanti, ad esempio nelle crisi valutarie del Messico (1994), dell’Est e Sud-Est asiatico (1997) e dell’Argentina (2002).

La disciplina del credito è una trappola inesorabile che è regolata dalla pura e semplice logica economica. Non c’è bisogno di un tiranno imperiale, non serve una regina Vittoria, per attivarla e farla funzionare a dovere. Bastano i mercati e i ragionieri delle banche, pubbliche, private e internazionali. Chi resta impigliato in questa trappola non ne esce se non accettando di sottostare a un processo di impoverimento e sfruttamento sistematico, lo sfruttamento dei paesi debitori da parte dei creditori. L’altra via d’uscita sarebbe la via politica, quella che passa per la rottura della logica della partita doppia: la via dell’annullamento del debito. Ma la mentalità del dono, o meglio, della restituzione del maltolto, è estranea alle leggi “naturali” della concorrenza e dell’efficienza economica.

Non c’è solo L’IMF a prendersi cura del buon funzionamento della trappola. Ci sono anche i cosiddetti “mercati finanziari”. Com’è noto, la liberalizzazione dei movimenti di capitale ha portato a una superfetazione delle transazioni speculative a livello globale. Gli speculatori, senza saperlo, svolgono un ruolo essenziale nell’attivazione della disciplina monetaria.

Quando un PVS ha un deficit nella Bilancia dei Pagamenti la speculazione può aspettarsi una svalutazione della valuta nazionale. Se questa aspettativa comincia ad affermarsi, si avvia la speculazione sui cambi, che è un tipo di speculazione con notevoli capacità di autorealizzazione: se tutti vendono il Peso argentino, nell’attesa che si svaluti, esso si svaluterà come semplice conseguenza dell’aumento delle vendite. I capitali fuggiranno dall’Argentina e ciò farà peggiorare ulteriormente la Bilancia dei Pagamenti. La svalutazione inoltre farà aumentare il valore delle importazioni, e la Bilancia dei Pagamenti peggiorerà ancora di più. Può darsi che il deficit iniziale della Bilancia dei Pagamenti non fosse strutturale, né particolarmente grave. Se però la speculazione si convince che lo è, lo diventa.

La vittoria della speculazione non è priva di effetti reali anche molto seri. I tassi d’interesse aumentano in seguito alla svalutazione e all’aumento del cosiddetto “rischio paese”. Possono aumentare ancor di più se il governo cerca di resistere, ad esempio tentando di difendere la stabilità del cambio alzando appunto i tassi d’interesse. Inoltre il governo potrebbe prendere provvedimenti restrittivi sulla spesa pubblica e l’offerta di moneta al fine di migliorare la Bilancia dei Pagamenti. Questo tipo di politica innesca la recessione economica. In effetti è solo così che riesce a migliorare i conti esteri. In sintesi, mentre gli speculatori-predatori si arricchiscono, il paese-preda s’impoverisce. Le rendite speculative sono il prezzo pagato per la lezione ricevuta.

La teoria economica seria, quella con cui si vincono i concorsi per diventare dirigenti delle grandi istituzioni monetarie internazionali, dice che la speculazione svolge un ruolo positivo nel disciplinare le politiche economiche nazionali: accelera i processi d’aggiustamento punendo le politiche “sbagliate”. Spesso ammaestra i governi riottosi anticipando le raccomandazioni dell’IMF. Anzi la disciplina imposta dagli speculatori può essere più efficace di quella imposta dal Fondo, perché può agire ante factum, laddove l’IMF agisce solo post factum.

 

3. La disciplina terroristica

Ora siamo in grado di capire meglio quali sono le “sperequazioni” che lo sviluppo capitalistico su scala globale tende ad acuire. Sono le sperequazioni tra il Nord e il Sud del mondo, tra capitalismo dominante e capitalismo dominato. Ora siamo in grado di capire che le disuguaglianze di reddito che si vengono a creare e ricreare continuamente non sono fatti anomali e contingenti. Si tratta invece di una tendenza sistematica, una tendenza causata dallo sfruttamento. È dunque facile capire che molti paesi del Sud del mondo possono reagire male. E i tipi prevalenti di reazione negativa sembrano essere due.

Alcuni paesi hanno assimilato la logica dell’accumulazione capitalistica, rifiutando però di sottostare ad almeno alcune delle leggi della libera concorrenza. Sono considerati paesi “opportunisti”. Non hanno abbattuto le barriere protezionistiche, non hanno liberalizzato i movimenti di capitale, non hanno rinunciato alle politiche industriali. Alcuni dei paesi che hanno scelto questa strada sono riusciti ad avviare efficaci processi di decollo industriale, a sostenere tassi di crescita della produzione molto alti, a ridurre la povertà assoluta e il divario di reddito col Nord del mondo. Il caso più esemplare è la Cina moderna, un paese in cui l’accumulazione capitalistica sta dando il meglio di sé.

Altri paesi invece hanno reagito con una fuga regressiva dal capitalismo. Hanno rifiutato la cultura “occidentale” e si sono chiusi nell’esaltazione integralista di valori religiosi tradizionali, nella tipica reazione della volpe di fronte all’uva. Questi sono i paesi “recalcitranti”. Il termine scientifico è “paesi canaglia”.

L’imperoglobalepuò attivare diverse forme di disciplina nei confronti dei paesi opportunisti e recalcitranti. Rispetto ai primi si usano ad esempio le organizzazioni internazionali, come il WTO e la WB, per comprare il loro adeguamento alle leggi della concorrenza. A volte si interviene più pesantemente, decretando sanzioni economiche che mirano proprio a far inceppare i processi di decollo industriale autonomo. Spesso si va giù in modo più pesante, cercando di destabilizzare il paese in modo da indurre un ricambio di classe politica. Ma lo strumento più efficace resta la speculazione. Le iene dei mercati finanziari attendono pazienti, pronte ad entrare in azione non appena un paese “opportunista” dia segni di debolezza. Appena si manifesteranno difficoltà della Bilancia dei Pagamenti, scatterà la trappola della speculazione internazionale.

Vorrei che fosse chiara la natura di tale tipo di disciplina. Anche in questo caso non c’è una mente perversa che pianifica tutto. La speculazione non la comanda nessuno. Né si deve credere che la CIA e il Pentagono controllino anche il WTO e la WB, sebbene... [2] La reazione è organica, spontanea. Ed è una reazione complessa in cui moltissimi soggetti decisionali, compresa la CIA stessa, agiscono autonomamente perseguendo obbiettivi eterogenei, contribuendo però ad innescare processi che si risolvono oggettivamente, “naturalmente”, in un’azione punitiva.

Diverso è il meccanismo disciplinare che agisce sui paesi recalcitranti. Qui la speculazione e il WTO possono poco, visto che i “valori” capitalisti sono scarsamente efficaci. Qui viene attivata la disciplina del terrore, la guerra, la devastazione fisica del paese. Alla base di questo meccanismo sta una sorta di feed back positivo della psicologia collettiva. La repressione militare e l’impoverimento economico induce consistenti strati delle popolazioni recalcitranti a scivolare nel terrorismo. Questo, a sua volta, spinge i paesi “civili” a reagire col terrore bellico. Anche qui è in atto una trappola, ma ora, trattandosi di un feed back positivo, l’effetto è destabilizzante, come infatti deve essere. La trappola deve condurre a una resa dei conti finale in cui il bene trionfa sul male. Dopo si potranno togliere le sanzioni, aprire i mercati, costruire gli oleodotti.

In casi del genere non c’è dubbio che la mente perversa c’è, se non altro nella veste del presidente del grande paese che dà l’ordine di attaccare. Ma si deve capire che questa mente agisce all’interno di un processo psico-politico piuttosto complesso che rende le sue reazioni necessarie. All’interno di tale processo anche fenomeni apparentemente anomali acquistano significato. Alcuni osservatori, ad esempio, sostengono che la dittatura e l’occupazione militare israeliana in Palestina sia in curiosum, un fatto non funzionale alla logica dell’imperialismo globale, e che neanche il sostegno americano a Israele si possa spiegare funzionalmente. Sembrerebbe che la spiegazione andrebbe ricercata nella potenza della lobby ebraica americana piuttosto che nella logica dell’accumulazione del capitale. In realtà, anche questa anomalia svolge una sua funzione disciplinare: serve ad innescare la logica del terrorismo con cui i paesi arabi, cioè quelli che controllano gran parte delle riserve petrolifere mondiale, sono tenuti sotto schiaffo. Né sembra si possa dire che qualcuno l’abbia pensata proprio con questo scopo.

Un’altra cosa importante che bisogna chiarire intorno al significato dell’intervento militare nei paesi recalcitranti riguarda il ruolo del gendarme del mondo. Come ho già rilevato, sarebbe un errore credere che il moderno imperium globale sia espressione del trionfo di un impero nazionale americano. Qui è in azione in realtà il dominio mondiale del capitale multinazionale e quindi dei paesi capitalistici avanzati nel loro complesso. Ciò si capisce non solo e non tanto dal fatto che comunque gli interventi bellici degli USA sono sostenuti e integrati dalle forze armate di altri paesi del Nord del Mondo. Si capisce meglio osservando che gli interventi bellici sono mirati a perseguire gli interessi economici collettivi del capitale. Sono puntati ad esempio sui paesi che controllano risorse strategiche, come l’Iraq, o canali di traffico strategici, come l’Afganistan. In altri termini, il gendarme del mondo agisce per conto del capitale-mondo, non del capitale americano. Che poi esistano delle “contraddizioni” inter-statali è un fatto. La Francia neo-gollista, la Germania “social-democratica” o la Cina “comunista” possono fare attrito. Ma sono contraddizioni non essenziali e possono essere più o meno facilmente appianate. Certamente non sono contraddizioni inter-imperialistiche del tipo da cui Lenin si aspettava la fine del mondo.

Quanto alla logica politica dell’intervento militare, sembra essere basata sul modello “sheriff and posse”: [3] Come il vecchio sceriffo del far west radunava una banda di cittadini armati per dare la caccia a Chato, l’indiano ribelle, così l’odierno sceriffo del far east raduna una banda di nazioni armate per disciplinare l’arabo recalcitrante. L’azione non è svolta solo nell’interesse dello sceriffo e dei cittadini armati. Serve invece gli interessi dell’intera comunità di multinazionali che si sente minacciata da Chato: lo sceriffo e le nazioni armate sono solo dei funzionari del capitale globale.

La cosa importante comunque è un’altra e vorrei ribadirla. Bush potrà anche essere sinceramente convinto di portare la libertà in Iraq. E non lo metterete in difficoltà richiamando i suoi interessi petrolieri, quelli dei suoi ministri e quelli delle lobby che il imbeccano. Dopo tutto il perseguimento dei due fini, la libertà e il petrolio, porta allo stesso risultato. E potrà anche accadere che il risultato atteso venga raggiunto. Ma ciò che veramente conta è che Bush alla fine avrà contribuito a raggiungere un fine che poteva non essere in cima alle sue intenzioni: portare in Iraq la vera libertà, la libertà di movimento del capitale globale.

 

4. La disciplina ideologica

Il più potente degli strumenti disciplinari è anche il più sottile, quello che opera nelle menti umane. Capire come funziona può essere utile se non altro per evitare di cadere nell’abbaglio delle visioni cospirative dell’impero.

In un mondo complesso come quello di oggi non si può spiegare la subordinazione della politica alle esigenze dell’accumulazione con l’idea dell’”unione personale” del capitale con il governo. Come si spiega allora che praticamente tutti i soggetti che prendono decisioni rilevanti le prendono in modo da far funzionar bene le leggi “naturali” dell’accumulazione? Non ci si può aspettare che i dirigenti dell’IFM, del WTO, della WB, della Federal Reserve, della Banca Centrale Europea etc. prendano, tramite Bush, gli ordini trasmessi dal signor “capitale”. Il punto è che in effetti non prendono ordini: sanno da soli cosa devono fare. E lo sanno perché hanno le menti devastate dall’ideologia dominante.

Il pensiero liberale moderno è tutt’altro che “unico”. Anzi è caratterizzato da tali e tante sfaccettature, differenze, contraddizioni, che sarebbe azzardato volerlo sintetizzare nella forma di una filosofia sistematica. Ciononostante, è possibile almeno tratteggiarlo a grandi linee enucleando due dei più importanti dogmi su cui è fondato e alcuni loro corollari politici.

Dogma I (efficienza della libertà): il mercato alloca le risorse in modo efficiente, tanto più quanto più libera è la concorrenza.

Corollario I.1: le imprese pubbliche devono essere privatizzate.

Corollario I.2: le barriere protezionistiche devono essere abolite.

Dogma II (potenza della moneta): l’inflazione è causata degli eccessi di offerta di moneta.

Corollario II.1: i bilanci pubblici devono tendere al pareggio.

Corollario II.2: le banche centrali devono essere autonome dai governi.

Entrambi i dogmi sono infondati, [4] ma non mi metterò a dimostrarlo qui. Né mi metterò a descrivere i processi psico-sociali e mass-mediali attraverso cui un’ideologia basata su palesi falsità può diventare egemone. [5] Quello che invece più mi preme è mostrare come accade che tutti gli agenti decisionali attraverso la cui azione opera l’imperium prendano sempre spontaneamente le decisioni giuste... se hanno fede in quei due dogmi.

I corollari I.1 e I.2 stanno alla base delle politiche seguite dalla Banca Mondiale e dal WTO. I finanziamenti vengono concessi ai PVS purché servano a sostenere gli investimenti privati. Spesso si impone come condizione la privatizzazione delle imprese pubbliche e l’abbattimento delle barriere protezionistiche. In questo modo - gli si dice - si stimola l’investimento e l’afflusso dei capitali esteri e quindi si favorisce il processo di sviluppo. Il libero scambio è la via maestra al decollo industriale - gli si racconta. E si dimentica di dirgli che tutti i principali paesi capitalistici avanzati hanno avviato il loro decollo usando il protezionismo. [6]

I corollari II.1 e II.2 servono a disarmare i governi nazionali. Infatti l’autonomia delle banche centrali, alle quali viene assegnato il compito di tenere a bada l’inflazione, comporta che il governo non possa più usare la politica monetaria per regolare l’economia. D’altra parte l’imposizione del vincolo di bilancio fa sì che i governi non possano più usare nemmeno la politica fiscale. I governi nazionali non devono fare alcuna politica economica discrezionale, devono lasciar fare il mercato. Altrimenti potrebbero contribuire a compromettere l’efficienza economica: il movimento verso la piena occupazione potrebbe far aumentare eccessivamente il costo del lavoro. In virtù del corollario I.1, poi, devono cercare di privatizzare le imprese pubbliche.

Ora, mettete queste “idee” in testa agli speculatori. Se un governo vuole fare politica economica, ad esempio espandendo il deficit pubblico per curare la disoccupazione e/o espandendo l’offerta di moneta per ridurre i tassi d’interesse, non può che causare disastri: farà crescere l’inflazione, spiazzerà gli investimenti privati con la spesa pubblica, farà crescere eccessivamente i consumi e le importazioni, fino a spingere la Bilancia dei Pagamenti verso il deficit strutturale e quindi la moneta nazionale verso la svalutazione. Appena i “mercati” finanziari cominciano a sospettare una tale scivolata verso il socialismo scatterà la disciplina monetaria. Spesso non ci sarà neanche bisogno che il governo avvii quelle perverse politiche, basta che le annunci. La speculazione sulla moneta di quel paese la farà svalutare prima ancora che si verifichino le condizioni strutturali che tutti paventano. Così il governo apprenderà la dura lezione già prima di commettere l’errore. In altri termini, o il governo si comporta liberamente come vogliono i “mercati” o i “mercati” lo costringono a comportarsi come vogliono loro.

Ma perché devono volere così? Per alcune ragioni molto semplici: che libertà di mercato vuol dire libertà d’accumulazione e di sfruttamento, espansione del mercato vuol dire espansione delle opportunità di accumulazione e di sfruttamento, abolizione delle politiche macroeconomiche discrezionali vuol dire che la disoccupazione si assesterà al livello che garantisce l’equilibrio di sfruttamento, abolizione delle politiche industriali e privatizzazione delle imprese pubbliche vuol dire espansione delle opportunità di investimento e sfruttamento. Insomma dietro quei ridicoli dogmi si nasconde un interesse ben preciso: l’interesse generale del capitale globale alla valorizzazione; o meglio - come dice la scienza economica - l’interesse generale all’efficienza. Se i funzionari e gli speculatori ci credono, il sistema funziona.

 

 

Bibliografia

 

 

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Harvey D. 2003 “Crisi dell’egemonia americana e ‘nuovo imperialismo’”, Critica Marxista, marzo-aprile.

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Preve C. 2002, “Globalizzazione o imperialismo?”, in Quaderni dell’Ernesto toscano, n. 1.


[1] Harvey (2003, p. 49).

[2] Uno dei presidenti più prestigiosi della WB fu Robert McNamara, ex segretario alla difesa USA all’epoca della guerra nel Vietnam.

[3] Foster (2003, p. 7).

[4] In un duplice senso: 1) che i teoremi nella cui forma prendono corpo sono stati dimostrati validi solo sotto ipotesi molto restrittive, irrealistiche e in definitiva assurde; 2) che l’esperienza reale li smentisce sistematicamente.

[5] Ma a uno di questi meccanismi voglio accennare perché mi sembra particolarmente efficace: quello che potrebbe essere definito “il potere persuasivo del terrore”. Pensate a quanti piccoli Ceaucescu nostrani si sono convertiti all’americanismo dopo la trista fine di quello Rumeno. E pensate a quanti dittatorelli medio-orientali diverranno feroci liberisti dopo la liberazione dell’Iraq. Il meccanismo funziona in base a quel teorema brigatista che dice: “puniscine uno per educarne molti”.

[6] La Germania, gli USA, il Giappone, per dirne tre scelti a caso, hanno pesantemente e a lungo usato il protezionismo in difesa le industrie nazionali nascenti, per poi diventare libero-scambiste una volta completato il processo d’industrializzazione.