Il contraddittorio legame tra le trasformazioni economico-produttive e alcuni passaggi-chiave della storia del movimento sindacale dal dopoguerra ad oggi (Prima parte)
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
Sabino Venezia
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6.2 Unità di classe o unità sindacale
La ricerca affannosa dell’unità sindacale, e
la sua altrettanto affannosa costruzione, si sviluppa con due percorsi paralleli:
dall’alto e dal basso;
* dall’alto si tenterà la svolta con la riunione
di Firenze del ’70 per poi concludersi rovinosamente con le Firenze 2
e 3 del ’71 dove si sancirà un accordo tra componenti sindacali
di partito, in un periodo che Giugni definirà di “supplenza sindacale”;
* dal basso si realizzerà forse il modello più adeguato,
i Consigli di Fabbrica, primo vero esperimento di sindacalismo industriale
del paese con la continua ricerca dell’unità e dell’indipendenza
di classe.
Quale sia stato il peso all’interno della società e
dello Stato della borghesia industriale, è rivelato dai fortissimi ritardi
che aveva la nostra legislazione sociale e dagli ostacoli che incontrarono
i progetti di legge nel settore. “ Lo Stato borghese in Italia nasce
con la rivoluzione industriale e vede il suo avversario principale non nel
feudalesimo, che ha rappresentato in definitiva solo uno stadio della sua lotta,
ma nella classe operaia; e le lotte contro la classe operaia per batterla e
catturarla segnano le tappe della sua storia” [1]
È una borghesia che insieme alle tecniche produttive
aveva importato dal modello anglosassone la consapevolezza di contrastare e
assoggettare la classe operaia: attraverso i regolamenti di fabbrica, il paternalismo
aziendale di reminescenza saintsimoniana distorta [i] con
le società di mutuo soccorso che, almeno inizialmente, erano espressione
della capacità egemonica esercitata sulle masse popolari dalle varie
forze che si disputavano il potere [2].
Contrapposto a questa borghesia, c’è un proletariato
industriale che si eleva progressivamente dalla condizione di massa a dignità di
classe nel vivo delle lotte, in cui acquista forza e coscienza di sé e
determina, al tempo stesso, la presa di coscienza in senso anticapitalistica
di larghe fasce di proletariato non di fabbrica in una dimensione di indipendenza
e di ricerca dell’unità di classe.
Sono le lotte contro il macchinismo, [3] la razionalizzazione della fabbrica, le misere
condizioni di vita operaie; sono le lotte anche perdenti e disperate che
si sviluppano nella spontaneità (sullo “spontaneismo” vedremo
nel corso degli anni come verrà assunto dapprima come strumento da
governare e successivamente come punto di caduta della strategia rivoluzionaria),
ma nelle quali maturano le prime tecniche di difesa operaia dallo sfruttamento
padronale e le prime esigenze organizzative che superino l’instabilità dell’assemblea
di fabbrica: “ il passaggio dalla resistenza sotterranea
e dalla ribellione anarcoide allo sciopero organizzato e cosciente, rappresenta
una conquista sul clima dei ricatti, paure, manipolazioni cui l’operaio è sottoposto:
conquista difficilissima da raggiungere e altrettanto difficile da tenere
e difendere per la totale assenza di tradizioni di lotte, di appoggi, di
organizzazione. È il più delle volte il raggiungimento di un
livello di coscienza operaio che subito si spegne, magari anche nella sconfitta
più dura, ma che ha comunque un gran significato politico in quanto
denuncia il fallimento del tentativo padronale di creare una aristocrazia
operaia da usare come arma di manovra contro le lotte.” [4]
E ancora
“La lotta spontanea ha portato in primo piano masse
operaie di dimensioni prima sconosciute, un tipo di dirigente operaio profondamente
diverso dal cospiratore internazionalista e dal funzionario dell’associazione
operaia, capace di contatto e di direzione con masse in movimento; ed inoltre
un tipo di fabbrica, la fabbrica moderna, che rappresenta un salto economico,
organizzativo rispetto anche agli aspetti tecnologicamente più avanzati
della manifattura.” [5]
Negli anni ’60 riemerge con forza una spinta autonoma
operaia, la classe si fornirà di nuovi strumenti organizzativi di base,
carichi di potenzialità. Una classe che pur attraverso delusioni si
riconosce nelle organizzazioni storiche ma che guarderà con fiducia
al ruolo delle organizzazioni di base. [6]
Tale spinta non riemerge in assenza di un preciso ruolo e
di concreti risultati da parte del sindacalismo confederale ma si insinua tra
le contraddizioni dell’evoluzione del modello sindacale che CGIL CISL
UIL tentano di ridisegnare, pur legittimati da importanti risultati: “Nel
1965 i sindacati riuscirono a concludere importanti accordi interconfederali
in tema di licenziamenti individuali e collettivi.
L’imprenditore, in particolare, fu vincolato all’osservanza
di una procedura di informazione e di confronto con i sindacati prima di poter
precedere a licenziamenti collettivi, che superasse un certo numero di lavoratori,
e a scegliere i lavoratori eventualmente da licenziare sulla base di criteri
obiettivi.
L’accordo sui licenziamenti individuali sfociò addirittura
nella legge fondamentale del 1966 (poi riordinata nel 1990), che vietò i
licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo, prevedendo la sanzione
della riassunzione o del risarcimento del danno nel caso di inosservanza.
Nel 1968 fu emanata una legge che imponeva ai datori di
lavoro, pubblici e privati, di assumere almeno il 15% di lavoratori appartenenti
a categorie più svantaggiate, tra cui gli invalidi.” [7]
6.3 La sinistra (oltre il pci) nell’intervento operaio degli anni ’60
e primi anni ’70
Il massiccio flusso migratorio che caratterizzò il “Miracolo
Economico” (offrendo quella manovalanza a basso costo, che favorì l’aumento
di produzione, dell’operaio massa che successivamente analizzeremo) modificò sostanzialmente
la natura della classe operaia.
L’assenza di politicizzazione e sindacalizzazione, l’ostilità al
senso di organizzazione (tipica della cultura contadina) e la spiccata propensione
alla ribellione (considerando anche le condizioni disagiate di vita oltre che
di lavoro), determinarono nei primi anni ’60 un inasprirsi di conflitti
sociali tra i “nuovi operai” e la borghesia (e le sue forme di
rappresentazione e connivenza).
I conflitti non solo erano inusuali (vedremo come i fatti
di Piazza Statuto a Torino si svolsero contro la UIL, rea di aver siglato un
contratto FIAT dal quale era stata esclusa la CGIL e si era, per protesta,
rifiutata la CISL) ma addirittura si concludevano con forte conflittualità,
con veri episodi di guerriglia urbana e questo colse impreparata la CGIL ed
il PCI che tacciarono da subito tali episodi come frutto di “provocatori” legati
alla FIAT (come il gruppo Pace e Libertà), dimostrando la loro netta
incapacità di comprendere ed intercettare i nascenti bisogni di un nuovo
e più articolato movimento operaio.
In questa prima fase e fino a metà decennio i lavoratori
coinvolti in tale importante processo non sentono il bisogno di orientare il
sindacato né di strutturarsi in senso antagonista ad esso; solo il rapporto
con le strutture politiche di fabbrica (e con quelle di orientamento marxista)
caratterizzerà il percorso (che successivamente analizzeremo) del movimento
del ’68 - ’69.
Tre furono i gruppi principali della sinistra di classe che
si rapportarono con la nuova realtà (quattro se consideriamo i Marxisti
- Leninisti, entristi nel PCI che non svilupparono mai compiutamente - tranne
poche realtà di cui una a Napoli - una propria originale posizione sulla
questione operaia dell’epoca);
• gli Operaisti: (Classe Operaia, Gatto Selvaggio,
Quaderni Rossi)
• i Trotzkjisti: (Avanguardia Operaia, Gruppi
Comunisti Rivoluzionari, Unità Operaia,)
• i Bordighisti: (Lotta Comunista, Partito Comunista
Internazionalista - Battaglia Comunista, P.C. Internazionalista - Programma
Comunista, P.C.Intern. Rivoluzione Comunista, Unità Proletaria - Cremona,..)
“Gli Operaisti furono certamente i più rapidi
nel percepire il nuovo che andava affacciandosi; dettero subito vita a gruppi
che a lungo intervennero dall’esterno delle fabbriche e che, però,
solo verso il ’67 - ’68 produsse aggregazioni operaie collegate
(Circolo Rosa Luxemburg di Genova, Potere Operaio - Milano, il Potere Operaio
- Pisa, Pot.Op. - Veneto Emiliano). L’intuizione più rilevante
dei gruppi operaisti fu l’individuazione dell’operaio comune, con
la sua carica ribellistica, come soggetto portatore di bisogni nuovi e radicali.
La centralità del salario, se da un lato diventava
il vettore della generalizzazione del conflitto in fabbrica, dall’altro,
attraverso la tematica degli aumenti uguali per tutti, assicurava la massima
partecipazione degli operai comuni, ponendo anche le premesse per un attacco
a tutta l’organizzazione del lavoro. ... La battaglia salariale si presentava
quindi come l’aggressione al punto critico del sistema produttivo, assicurando
il massimo di spinta conflittuale. Intorno ad essa ruotavano poi altri oggetti
del conflitto quali la riduzione dell’orario, il rifiuto della disciplina
in azienda, la critica alle forme di rappresentanza esistenti, la lotta alla
nocività e per il risanamento dell’ambiente di lavoro... sino
alla fine degli anni ’60 la linea ufficiale dei sindacati non comprendeva
nel proprio orizzonte il risanamento dell’ambiente di lavoro, la nocività diventava
così solo uno degli elementi per il calcolo della retribuzione; fu merito
dei primi gruppi della Nuova Sinistra la profonda trasformazione di questa
ottica con il rifiuto della monetizzazione della salute. Ugualmente si deve
ai primi gruppi operaisti (e per la verità anche ad altri gruppi dell’estrema
sinistra, ad esempio i trotzkjisti) la critica delle forme di rappresentanza
vigenti, cioè il sistema basato sulle Rappresentanze Aziendali Sindacali
e le Commissioni Interne.” [8]
La critica alle Commissioni Interne nasce dal fatto che queste
coinvolgevano i lavoratori sole in fase di voto inoltre esponevano i delegati
a notevoli rischi, tra i quali la corruzione e la repressione della direzione.
L’esigenza dell’indipendenza e la ricerca dell’unità di
classe si esprime con il bisogno di forme di democrazia diretta e con la necessità di
far pesare gli operai non sindacalizzati e dunque facilmente esclusi dalle
Commissioni Interne.
I trotzkjisti: nonostante alcune similitudini comportamentali
con gli operaisti, non sono attenti al nuovo rappresentato dagli operai comuni,
questo probabilmente a causa della politica entrista nel PCI e nella CGIL,
politica che comunque gli permise di individuare alcuni operai più politicizzabili
e, attraverso questi, costruire una opposizione sindacale.
“È indubbio che tale sistema desse i suoi
risultati. Essenzialmente a Milano, ma anche a Roma e a Torino, nacquero
in questo modo i primi gruppi da cui prendevano vita i CUB. Ma questo comportava
anche il privilegiare gli operai specializzati, i tecnici, talvolta gli impiegati
che, più facilmente degli operai comuni, si iscrivevano al PCI e alla
CGIL assumendone incarichi dirigenti a livello aziendale. Di qui la percezione
meno netta ed immediata della soggettività espressa dagli operai comuni.
Peraltro i trotzkjisti si caratterizzavano per una cultura politica più tradizionale
ed insieme più ricca di quella degli operaisti (grande attenzione
alle questioni internazionali, interesse anche per la dimensione istituzionale
della politica,...) il che non facilitava certamente la penetrazione tra
i lavoratori meno colti.” [i]
Fatta eccezione che per la questione del salario, le altre
tematiche, riduzione dell’orario, rifiuto della monetizzazione delle
nocività e critica delle Commissioni Interne, coincideranno con le politiche
degli operaisti.
I bordighisti: “furono in larga parte marginali salvo
rare situazioni, (Cremona per Battaglia Comunista e Genova per Lotta Comunista)
nelle quali, sintomaticamente, essi espressero una linea ampiamente similare
a quella degli operaisti (Lotta Comunista si è caratterizzata da sempre
per il suo marcato salarialismo).
(“IL SESSANTOTTO - La stagione dei movimenti
(1960-1979)” a cura della redazione di “materiali per una nuova
sinistra” - Edizioni Associate - Roma, Maggio 1988 pag.107)
6.4 Il PCI e il contesto politico di riferimento (anni ’60)
Va sottolineato che il contesto politico nazionale e internazionale
non è dei più idonei allo sviluppo di un processo di analisi
funzionale ad individuare la natura del disagio operaio, perché il disagio
risiede in ogni aspetto della società, in ogni dimensione in cui si
configura la funzione dell’operaio massa, anche nel sociale e nel territorio.
Se da un lato, quello internazionale, prevale la consapevolezza
che ben presto si arriverà ad uno scontro armato tra l’occidente
ed il blocco comunista (e la DC italiana è convinta di questa tesi),
molti pensano che lo scontro si trasformerà in una competizione pacifica
tra i due blocchi (riservando l’azione militare alle aree marginali del
Sud del mondo)ed in previsione di questo evento (riassunto dai più come
prassi di guerra non convenzionale) si avrà cura di:
• integrare nelle maggioranze i socialdemocratici ed
i socialisti moderati;
• creare partiti e sindacati anticomunisti;
• determinare una azione di propaganda politica, attraverso
giornali, radio e case editrici
In questo contesto Vaticano e Inghilterra sono propensi a
sostenere e foraggiare le forze conservatrici, mentre gli USA sono per la strutturazione
di una componente antagonista all’espandersi dell’influenza del
marxismo nella società e nella cultura in Italia. Influenza che invece
sempre più si radica là dove il disagio è più accentuato,
là dove le condizioni di sfruttamento del lavoro vivono e si sommano
all’alienazione della catena di montaggio, là dove il moderatismo
dell’asse PCI-CGIL frena i processi rivoluzionari della classe invece
di governarli (o peggio approfitta del movimentismo “di piazza” per
intervenire a garanzia dei modelli di democrazia borghese, assumendo sempre
più il ruolo di moderatore della fase, ruolo che a distanza di pochi
anni non sarà più in condizione di garantire).
La guerra anticomunista passa così dal piano militare
(la Gladio ed i vari gruppi militari in funzione di sabotaggio) [i]
al piano politico - culturale (che non disdegna comunque le azioni violente,
armate, a finalità stragiste dei gruppi fascisti o il ricordo al golpe
militare come strumenti adeguati a ricondurre la sinistra al ruolo di semplice
spettatore) caratterizzato dal finanziamento(tramite la CIA) di svariati
sindacati gialli, di gruppi neofascisti e conservatori ed anche di forze cosiddette
socialiste in funzione anticomunista.
È importante però contestualizzare la posizione
e le difficoltà del PCI di quegli anni che insisteva, da una parte,
per una “via italiana al socialismo”, rispettosa della storia peculiare
d’Italia e quindi del contributo che ad essa diedero tutte le forze,
borghesia illuminata inclusa, e dall’altra non poteva, e forse ancora
non voleva, respingere la forte carica anticapitalista che le masse andavano
esprimendo con le lotte dei primi anni ’60.
Ciò corrispondeva, sul piano della storiografia militante,
alla difficile elaborazione di lineadel PCIdiquegli anni, teso al sostegno
delle lotte operaie, ma anche preoccupato che l’alleanza fra classe operaia
e strati diversi della popolazione per l’ampliamento degli spazi democratici,
su cui era impegnato, potesse essere messa in crisi dalla combattività nascente
sui luoghi di lavoro.
Scriveva a proposito V.Foa: ... “Non bisogna separare
le due lotte... la democrazia rappresentativa, come strumento di potere pubblico,
diventerà effettiva solo quando sarà stata liberata dalle ipoteche
che su essa pesano in modo paralizzante, e che questa lotta di liberazione
passa necessariamente, anche se non esclusivamente, nella struttura, nei
luoghi di lavoro.”
(V.Foa, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in Q.R.
1961, 1, p. 11)
E sullo stesso tema negli anni successivi:.. “dare
organicità alle nostre risposte, dare organicità alle lotte
per la casa, per l’occupazione, per la riduzione dei prezzi, alle lotte
di fabbrica, creare un quadro più vasto, ecco una esigenza profondamente
sentita; dare ai disoccupati nei momenti in cui la lotta si farà più acuta,
degli obiettivi generalizzati, è una necessità assoluta, ...dobbiamo
lavorarci sapendo che nella generalizzazione degli obiettivi c’è il
pericolo ad un certo punto che l’obiettivo diventi così generale
da non mobilitare più, e il problema è di riuscire a saldare
queste due componenti...” [9]
C’è da considerare inoltre che la citata combattività nascente
nei luoghi di lavoro, teneva unita la classe operaia alle masse di proletariato
in cerca di più ampi spazi di democrazia, (il che contribuirà a
generare la fase più importante del movimento sindacale di classe, negli
anni ’70) ma esponeva pericolosamente il conflitto al rischio di una
amplificazione difficilmente controllabile da parte del PCI e della CGIL. Questo
elemento, insieme alla già citata difficoltà di elaborazione
della linea da parte del PCI, in generale e in particolare in merito alla comprensione
delle nuove espressioni dell’autonomia di classe e rapportato al pericolo
golpista sempre presente in quegli anni, aprirà il fianco (nella seconda
metà degli anni ’70, quando ormai è forte la crisi del
movimento comunista e si intravede una ripresa dell’imperialismo) all’esperienza
dei movimenti rivoluzionari, alcuni dei quali fanno della lotta armata un rilevante
carattere espressivo.
“...la Resistenza nelle fabbriche per colpire i nemici,
i sabotatori e i liquidatori dell’unità e della lotta operaia,
per contendere palmo a palmo l’iniziativa padronale che sulla sconfitta
politica del movimento operaio vuol fare passare qualche altro decennio di
sfruttamento e di oppressione.” [i] “Il terrorismo di sinistra,
nella sua fase originaria...nasce principalmente come ipotesi e strategia difensiva «vetero
resistenziale» nei confronti dell’offensiva fascista e del pericolo
di un colpo di stato militare”(a cura di Boato M., “Un terremoto
traumatizzante in una società in crisi” in «Ottantagiorni.
Racconti di notizie» Gennaio-Febbraio ’82. oggi in “La Politica
della Violenza” a cura di R. Catanzaro- Il Mulino - per Istituto Cattaneo
- 1990 pag. 65).” Riconsiderando criticamente, nel suo insieme, l’ultimo
decennio, si può affermare che molto probabilmente nel quinquennio 1975-’80
il terrorismo di sinistra avrebbe avuto dimensioni molto più ridotte
sul piano quantitativo e una incidenza politica assai meno rilevante se lungo
tutto l’arco del quinquennio 1969-’74 non si fosse sviluppata pressoché impunemente
quella strategia della tensione, della strage e del colpo di stato che aveva
visto coinvolte non solo le organizzazioni paramilitari di estrema destra,
ma anche in prima persona centri delicatissimi dei corpi armati, di polizia
e dei servizi segreti dello Stato”. a cura di Boato M. “ Il terrorismo
e il caso italiano” in «Mondoperaio» n° 10)
7. Le lotte... ben oltre CGIL, CISL, UIL
Troppo spesso si considera la fine degli anni ’60 come
il periodo delle grandi contestazioni e dei grandi conflitti.
In effetti già dalla seconda metà del ’62
le lotte operaie “segnano livelli altissimi di partecipazione: 181 milioni
di ore di sciopero con circa tre milioni di adesioni” [10]. E il grande sciopero del 23 Giugno (60.000
operai FIAT - e anche qualche impiegato - in piazza) e del 6 luglio con quasi
tutti gli operai FIAT a Torino coinvolti, oltre gli studenti e molti abitanti
del quartiere, (e dei lavoratori in corteo a Piazza Statuto per contestare
la UIL, firmataria del contratto bidone) danno il senso delle lotte di massa
che si protrarranno per tutto il decennio. Il 4 Luglio la Confindustria aveva
interrotto le trattative mentre la FIAT avviò la trattativa aziendale
con i «liberi sindacati» UIL, SIDA e CISL, che rifiutò la
trattativa; il 6 Luglio a Torino gli operai della FIAT manifestano a piazza
Statuto, sede della UIL, contro l’accordo siglato da questo confederazione.
Ben presto la manifestazione degenera in una forte risposta repressiva poliziesca.
Studenti e cittadini si scontrano per tre giorni con le forze dell’ordine
che alla fine conteranno 169 feriti, i fermati saranno 1215, 90 gli arrestati
e 100 i denunciati a piede libero. Tre giorni di contestazione cittadina a
sostegno degli operai FIAT in lotta a Piazza Statuto, molti iscritti alla UIL,
dopo un mese la FIAT licenzierà 88 operai.
Il fermento sociale èe il conflitto si allargano a molte aree del Paese
e ancora una volta la destra eversiva presta il fianco ed è strumento
armato dell’opera di normalizzazione che lo stato capitalista ha necessità di
attuare per riassettare il tiro ed uscire dalla crisi. Nel ’64 con il “piano
solo” si tenta di dare una risposta energica alla minaccia eversiva che
viene dal mondo del lavoro, 731 tra dirigenti sindacali e parlamentari di sinistra
sono nel mirino dei “golpisti”, per loro è previsto il trasferimento
forzato in Sardegna; l’operazione salterà all’ultimo momento
ma le “prove generali” resteranno vive per molti anni e si riproporranno
in particolari momenti con i dovuti correttivi.
Lo scemare della crisi congiunturale del ’64 - ’66
ripropone uno scenario di lotte operaie caratterizzato da un importante avvenimento:
in occasione dei festeggiamenti unitari del 1° Maggio, le piazze solitamente
occupate dalla sinistra vengono vergognosamente lasciate vuote dal sindacato
ufficiale per essere sostituite da altre iniziative che, proprio per la natura
unitaria, non hanno necessità di essere troppo caratterizzanti, in queste
piazze storiche, gruppi di lavoratori, studenti organizzati in maniera spontanea
e in parte da operai con cultura e formazione marxista-leninista, gettano le
basi per stimolare una critica di massa alle forze politiche e sindacali che
sarà la vera base per la costruzione di aggregazione autonome da CGIL-CISL-UIL,
per riaffermare l’indipendenza del movimento di classe.
Già dalla fine del ’67, per tutto il ’68
e prepotentemente nel ’69 le aggregazioni extra confederali si sviluppano
in tutto il paese con una caratterizzazione nel Meridione, i Comitati di Lotta
(CdL), ed una prevalentemente nel Nord Italia e al Centro, cioè, i Comitati
Unitari di Base (CUB).
Ma tutto ciò sarà argomento del prossimo numero
di Proteo.
[1] Stefano Merli, “Proletariato
di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano:1880 - 1900”,
La Nuova Italia, Firenze, 1973, 1, p.145.
[i] ibidem cap. IV.
[2] vedi: V. Foa, Sindacati e lotte sindacali,
in Storia d’Italia, Einaudi, Torino, 1973, vol.V tomo 2° pag.1791.
[3] S. Merli, Proletariato
di fabbrica..., op. cit.
[4] S. Merli, ibidem,
1, p. 530.
[5] S. Merli, ibidem, 1, 372.
[6] Per approfondimenti: A. Potassio, La
storiografia marxista in Italia e l’autonomia operaia, in Quaderni Piacentini,
n° 60 - 61, pag. 143 - 164.
[7] G.
Cannella (magistrato di Corte d’Appello)(pubblicato su D&L, Riv.
crit. dir. lav. 4/2001, p.873)L’articolo, che è pubblicato anche
su Omissis (www.omissis.too.it), e sul numero monografico di marzo 2002 della
rivista “Il Ponte” intitolato “Quale governo quale giustizia” riproduce
la relazione introduttiva per l’assemblea pubblica e dibattito dal
titolo “No al lavoro senza diritti”, organizzata a Roma
il 14/12/01 dal Forum Diritti-Giustizia (Social Forum Roma)-Antigone, Cred,
Giuristi democratici, Progetto diritti, Camera del lavoro e del non lavoro,
Cobas, Rdb, Avvocati progressisti italiani, Magistratura democratica romana.
[8] ”IL SESSANTOTTO - La stagione dei
movimenti (1960-1979)” a cura della redazione di “materiali
per una nuova sinistra” - Edizioni Associate - Roma, Maggio 1988 pag.
107.
[i] “IL SESSANTOTTO - La stagione
dei movimenti (1960-1979)” a cura della redazione di “materiali
per una nuova sinistra” - Edizioni Associate - Roma, Maggio 1988 pag.
106).
[i] “...Nel
corso degli anni ’60 la rete clandestina prese definitivamente forma.
Nel corso del decennio furono reclutati circa 300 elementi esterni...le armi
e i materiali furono dislocati in zone strategiche dell’Italia settentrionale
mediante depositi interrati, NASCO, ...nel ’66 la svolta...GLADIO deve
orientare la sua attività in un programma che possa dare frutti sin
dal tempo di pace e che offra attuali possibilità di valorizzazione
quale quella che potrebbe ispirarsi alla dottrina della insorgenza e della
controinsorgenza...la suddetta organizzazione sarebbe stata utilizzata anche
contro formazioni politiche aventi rilievo nazionale, ed in particolare contro
i comunisti italiani...tra le finalità della sessa vi era anche e soprattutto
lo svolgere attività di contrasto di attività sovversive di moti
di piazza dei comunisti italiani...tra i compiti dell’organizzazione
vi era anche quello di eliminare i comunisti italiani ...in caso di conflitto
tra la NATO e i paesi del blocco sovietico...”a tal proposito si
veda tra gli altri: P.Cucchiarelli e A. Giannuli, Gamberetti, “Lo
Stato Parallelo” di Editrice, 1997 - pagg. 77, 99 e seg.).
[9] V. Foa ”Uscire dalla crisi
o dal capitalismo in crisi?” Partito di Unità Proletaria per
il Comunismo, ora in “atti del convegno di Ariccia 8/9 Febbraio 1975-
Alfani Editore).
[i] “Linea di Resistenza” Brigate
Rosse - Auto intervista - Marzo 1973 - citato in “Potere Operaio del
Lunedì” 11.03.1973 n° 44.
[10] S.Manes - Questione
sindacale ed esperienze extraconfederali negli anni ’60 - oggi in
Quaderni CESTES n° 9 pag 71.