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Osservatorio sindacale internazionale

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Suranjit Kumar Saha
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Professore all’University of Walles Swansea, Inghilterra

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L’agenda economica del nuovo governo del partito dei lavoratori in Brasile e il confronto con il movimento sindacale. Servirà a combattere la povertà?

Suranjit Kumar Saha

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4. Il relativo rafforzamento dei partiti politici al Parlamento e negli Stati: la mappa della governabilità per Lula

L’ascesa della sinistra allargata in Brasile negli anni ’90 è stata impressionante. Nel 1994, i sette partiti della sinistra avevano ottenuto 122 seggi alla Camera dei Deputati, 14 al Senato e 6 governatorati. La loro presenza alla Camera aumentò fino a 136 nel 1998 e a 194 nel 2002, mentre al Senato ottennero negli stessi anni rispettivamente 21 e 27 seggi. Tra il 1994 e il 2002 la rappresentanza della sinistra al Senato era quasi raddoppiata ed era aumentata del 59% alla Camera dei Deputati. Il successo del PT è stato ancora più straordinario. Tra il 1984 e il 2002, i suoi posti al Senato crebbero da 4 a 14, un aumento del 180%, e quelli alla Camera da 51 a 93, con un aumento del 82%. Nel 1994 i candidati della sinistra ottennero la carica governatore in sei Stati; quel numero crebbe a 10 nel 2002. Anche il PPS e il PSB ottennero risultati impressionanti sebbene partendo nel 1994 da una base più piccola. Il PTB ha mantenuto le sue posizione sin dal 1994, mentre le rappresentanze del PC do B e del PV scesero tra il 1994 e il 1998 e salirono di nuovo in maniera significativa tra il 1998 e il 2002.

Il mantenimento del potere da parte della destra e del centro, d’altro canto, è andato riducendosi sin dal 1994. La destra ottenne 30 poltrone al Senato nel 1994, riducendole a 21 nel 1998, e ottenendo un leggero aumento a 24 nel 2002. La sua rappresentanza alla Camera scese da 207 nel 1994 a 182 nel 1998 e quindi a 171 nel 2002. I maggiori perdenti furono i due partiti più grandi, il PFL e il PPB. Il più piccolo PL, attualmente alleato di Lula, ha infatti migliorato la sua posizione tanto al Senato quanto alla Camera. La rappresentanza del PSDB, uno dei due partiti di centro, si rafforzò marginalmente in entrambe le camere del Parlamento tra il 1994 e il 1998 ma poi ebbe un vertiginoso declino nel 2002. Il PMDB, l’altro partito di centro, mantenne le sue posizioni tra il 1994 e il 1998 ma poi soffrì di un’imponente inversione nel 2002. I due partiti di centro ancora mantengono nel Parlamento Federale il 37% delle poltrone del Senato e il 29% di quelle della Camera. Lula non può effettivamente governare a meno che uno di questi partiti di centro non sostenga le sue misure legislative. La destra e il centro insieme possedevano 21 governatorati nel 1994. Quel numero cadde a 17 nel 2002 (Cfr. Tavola 2).

5. Le promesse della campagna del PT: un programma della sinistra attentamente formulato, ma non della sinistra radicale

È significativo che nel suo programma elettorale per le elezioni del 2002 intitolato Un Altro Brasile è Possibile (Um Outro Brasil è Possível), il PT non menzioni neanche una volta la parola “socialismo” ad eccezione di un solo caso, nel contesto negativo del collasso del “socialismo” nell’Europa Centrale ed Orientale. Si tratta di un documento suddiviso in cinque parti. La prima parte descrive a grandi linee il concetto di un nuovo contratto sociale per il superamento dei limiti del mercato.

“Il nuovo contratto sociale che proponiamo rappresenta un impegno strategico per i diritti umani e un completo cambiamento di direzione. Questo porterà a sfidare l’egemonia della cultura dell’eccessiva dipendenza dal mercato favorita dalla globalizzazione capitalista. [...] Il nostro progetto per la nazione possiede la chiara visione di una società che sia basata sulla solidarietà e non sullo sfruttamento e sulla esclusività di elite” (Partido dos Trabalhadores, 2002a)

I limiti del mercato sono così descritti:

“Il mercato non produce giustizia e non garantisce alcun impegno etico o per il futuro. Il mercato non può sostituire il dibattito pubblico democratico e le decisioni che ne scaturiscono. Queste soltanto possono garantire la protezione dell’ambiente e la giustizia sociale” (Partido dos Trabalhadores, 2002a)

La seconda parte enfatizza la necessità di evadere dalla camicia di forza internazionale imposta dal “neoliberalismo globalizzato”. Questa assume una posizione di contrapposizione ai propositi dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), che è vista come una delle cause di “uno scenario che prevede un aumento della perdita di potere decisionale degli Stati locali (America Latina) e un progressivo incremento del controllo sull’economia della regione da parte degli Stati Uniti”.

La terza parte espone l’ossatura del nuovo modello di sviluppo. “La ridistribuzione dei redditi e delle ricchezze per la creazione di un vasto mercato per il consumo di massa e (l’introduzione di) politiche sociali universali e di base, sono gli elementi propulsori di questo nuovo modello”. Per dare fondamento a questo nuovo modello vengono presi 15 impegni politici specifici. La quarta parte promette un nuovo contratto sociale che effettuerà cambiamenti strutturali a garanzia di una equa distribuzione del reddito, della ricchezza, del potere e della cultura - ingredienti necessari per una nuova agenda di integrazione sociale. Questo nuovo contratto sociale penalizzerà i rent-seekers e gli speculatori ma beneficerà tutti i piccoli e i grandi imprenditori che si occupano di attività produttive per l’ampliamento dei mercati per il consumo di massa.

La quinta parte promette di respingere il memorandum d’intesa firmato dal governo Cardoso con il FMI e di muoversi in direzione di un sistema contemplato nel Memorandum sulla Responsabilità Economica e Sociale, che dovrà essere negoziato annualmente sulla base di una discussione più ampia possibile con la società brasiliana.

A giugno il PT ha anche emesso un altro documento, che è circolato di meno, chiamato Concetti e Direttive del Programma di Governo del PT per il Brasile 2002. In questo documento, assume una posizione più dottrinale sul suo futuro approccio alle politiche chiave di governo. Promette “una rottura con l’attuale modello economico basato sulla liberalizzazione del mercato, sulla radicale deregulation dell’economia nazionale e sulla conseguente subordinazione delle sue dinamiche agli interessi e ai capricci del capitale finanziario globalizzato” e una determinata ricerca di “un nuovo modello di sviluppo che sia economicamente percorribile, ecologicamente sostenibile e socialmente giusto”. Promette di “accelerare la crescita e di mantenere il sociale come asse portante dello sviluppo”. Il marchio distintivo della sinistra radicale è chiaro in questo documento:

“Noi ci dovremmo opporre alla globalizzazione del capitale e dei mercati mettendo al loro posto la solidarietà e l’internazionalismo della gente. È in questo contesto che la difesa del socialismo democratico può essere meglio ottenuta e che il sostegno ad un programma della sinistra su scala internazionale può diventare assai più diffuso” (Partido dos Trabalhadores, 2002a).

Questo documento critica il programma di privatizzazioni portato avanti dai governi Collor de Melo, Itamar Franco e Cardoso come responsabile dello stato precario delle infrastrutture che minano la sistematica competitività e la potenziale crescita dell’economia nazionale. Afferma che la privatizzazione aumenta i prezzi relativi d’importanti beni pubblici come l’energia, le comunicazioni e i trasporti, il cui onere ricade sproporzionatamente sui poveri. Questo significa, in effetti, che il governo federale ha appena trasferito le risorse pubbliche esistenti, create dal Brasile durante svariati decenni, ad interessi privati nazionali e stranieri, invece di crearne di nuovi. Lo Stato ha quindi perso il controllo sui dati di base richiesti per lo sviluppo e l’economia ne ha perso in competitività. La continua dipendenza del paese dai capitali stranieri e il continuo mantenimento di alti tassi d’interesse hanno creato enormi problemi al debito. L’aver accettato le condizionali del FMI ha significato dover dare la priorità alle spese per il mantenimento del debito rispetto a quelle necessarie, nella gestione dei servizi pubblici, alle infrastrutture, alla scienza, alla tecnologia e al settore sociale. L’economia nazionale fu perciò spinta in uno stato di cronica dipendenza dai capitali stranieri. Il PT promette di sospendere ulteriori avanzamenti dell’attuale programma di privatizzazione e di rivalutare e di ricontrollare le sue implicazioni ab inizio.

Il solido impegno antipovertà del documento include: (I) uno salario minimo nazionale collegato al programma di retribuzione scolastico (bolsa-escola), (II) la distribuzione dei terreni ai senza terra, (III) un migliore accesso alle risorse finanziarie per i poveri e (iv) un programma di garanzia contro la fame e sulla sicurezza del cibo.

Si esprimono a chiare lettere sei misure specifiche che il nuovo governo del PT intende affrontare per ridurre la vulnerabilità e la dipendenza esterna dell’economia nazionale:

(i) Migliorerà ulteriormente la già positiva bilancia commerciale riducendo l’attuale livello di deficit nello scambio di sevizi e nella bilancia dei pagamenti. Ciò includerà misure per aumentare i contenuti tecnologici e di valore aggiunto delle esportazioni, per ottimizzare e razionalizzare la struttura dei trasporti, per immagazzinare, realizzare, specialmente beni di consumo, prodotti elettrici ed elettronici, beni capitali, petrolio, prodotti chimici, turismo e sottosettori dei cantieri navali.

(ii) Porrà rimedio allo squilibrio creato dall’incontrollata apertura del mercato domestico alla competizione straniera. Ciò sarà ottenuto con una revisione della struttura tariffaria e con l’istituzione di misure prive di tariffe permesse dai meccanismi di salvaguardia del WTO al fine di proteggere i settori strategici dell’industria. Saranno inoltre messe in atto delle politiche attive, a difesa degli interessi commerciali del paese e contro le misure anticompetizione e le pratiche commerciali aggressive degli altri paesi.

(iii) Adotterà severe normative per l’entrata d’investimenti stranieri diretti, con particolare attenzione nel regolare il loro flusso in attività speculative e nei settori prioritari inclusi quelli che supportano le esportazioni, l’espansione di industrie di beni capitali e il rafforzamento di capacità endogene allo sviluppo tecnologico.

(iv) Regolerà il processo d’apertura dei settori finanziari agli investitori esteri. Più specificatamente, regolerà l’apertura di nuove banche straniere nel sistema finanziario del paese e chiuderà le scappatoie legali che permettono operazioni finanziarie non trasparenti ad istituzioni esterne.

(v) Per quanto riguarda il debito estero, respingerà l’accordo esistente con il FMI, allo scopo di liberare la politica economica nazionale dalle restrizioni imposte da quest’ultimo sulla crescita e sull’abilità del paese di difendere i suoi interessi commerciali. Manterrà contatti con paesi come l’Argentina e il Messico per rinegoziare la propensione al debito pubblico esterno con le istituzioni creditrici.

(vi) Promuoverà una politica multilaterale nel commercio estero. Ciò significherà una diversificazione geografica maggiore del commercio con l’estero, il rafforzamento e l’espansione del Mercosud, una maggiore cooperazione economica e tecnica con economie emergenti, come la Cina e l’India, e l’istituzione di alleanze specifiche con aziende straniere al fine di supportare una politica di cooperazione commerciale.

Sull’Area di Libero Commercio delle Americhe, il PT sembra prendere inequivocabilmente una posizione contro gli Stati Uniti. E così afferma:

“L’Area di Libero Commercio delle Americhe, nella maniera in cui è attualmente proposta, è un progetto di annessione politica ed economica dell’America Latina da parte degli Stati Uniti - l’obiettivo principale, a causa delle sue potenziali risorse e della dimensione del suo mercato interno, è il Brasile. Ciò che è in gioco, quindi, sono i nostri interessi economici strategici, e la conservazione della nostra capacità e autonomia di costruire il nostro proprio futuro come nazione” (Partido dos Trabalhadores, 2002a).

6. La formazione del nuovo Governo del PT: un ingannevole atto di bilanciamento

La formazione del gabinetto si è dimostrata essere un affare estremamente lungo ed arduo. Il PT aveva solo 93 seggi su 513 alla Camera dei Deputati e non avrebbe potuto formare un governo da solo. Con una serie di abili negoziazioni ed espedienti, che durarono circa due mesi, José Dirceu, il principale negoziatore del PT, fu in grado di mettere assieme una coalizione includendo tutti gli altri sei partiti più il PL della destra. Le forze combinate di questi otto partiti raggiunsero 219 voti alla Camera, ben lontano dall’obiettivo di una maggioranza. Il PMDB fu invitato ad unirsi al gabinetto e gli vennero offerte varie cariche, ma questo rinunciò perché i suoi obiettivi erano più elevati di quanto Lula fosse disposto ad offrirgli. Questo però fu d’accordo a sostenere il governo nel Parlamento, senza il quid pro quo delle cariche di gabinetto per tutta la sua durata. Senza questo supporto, il governo guidato dal PT non sarebbe stato in grado di ottenere il passaggio di alcuna legge o decreto presidenziale in Parlamento. Per assicurarsi la continuità del supporto del PMDB, il PT ha ripetutamente negato di essere un partito socialista. João Paulo Cunha, il deputato federale di San Paolo del PT e suo leader alla Camera dei Deputati su questa questione in 22 dicembre ebbe a dire:

“Credo che il PT affronti una fase difficile nella questione della definizione della sua identità ideologica. [...] Dal punto di vista del governo e dell’amministrazione, non è un partito socialista, ma nella sua struttura e nei suoi dibattiti cerca di proteggere valori che possono essere riconosciuti come socialisti. [...] Noi siamo un governo democratico con una sincera partecipazione popolare. Se siete in cerca di termini classici, noi non siamo né socialisti né socialdemocratici. Lo stesso vale per il governo Lula, che sarà democratico, popolare, riformista, ma non può essere definito come socialista” (Rodrigues, 2002).

La lista finale dei ministri non fu disponibile per la stampa fino alla notte del 23 dicembre. Questa conteneva i 28 nomi della lista dei ministri del gabinetto; 16 appartenevano al PT, 7 agli altri partiti della coalizione e 5 non erano affiliati ad alcun partito politico. Di questi ultimi cinque, due erano grandi proprietari terrieri e uomini d’affari; due diplomatici di carriera e uno giurista di professione.

La suddivisione per aree geografiche della provenienza dei ministri del gabinetto di Lula è estremamente iniqua. Dei 28 ministri, 10 sono nati o vissuti sin da piccoli in San Paolo, 4 in Minas Gerais, 3 nel Rio Grande do Sul, 2 in Rio de Janeiro e uno a Brasilia. Le regioni relativamente più sviluppate del sudest, del sud e di Brasilia contavano quindi 20 ministeri su 28. Il nordest contava sette ministri (tre da Bahia, due dal Pernambuco e due dal Ceará) e l’Amazonia solo uno da Acré - 18 stati su 27 non ottennero alcuna rappresentanza nel gabinetto federale.

Otto dei ministri cominciarono la loro carriera politica nei sindacati; tre di questi nei sindacati degli impiegati di banca, due nei sindacati dei dottori, due nei sindacati dei colletti blu dell’industria metallurgica e chimica e solo uno nei sindacati rurali dei raccoglitori di gomma. Solo quattro dei ministri (Dirceu, Marina Silva, Gilberto Gil e Benedita) venivano da background chiaramente poveri e senza privilegi; due (Wagner e Rosseto) provenivano dal background operaio dei colletti blu; gli altri erano o benestanti o professionisti della classe media. Tutti i ministri del PT eccetto due appartengono alle correnti di partito moderate dell’Articulação o della Democracia Radical. Due dei ministri, Palocci e Gushiken, che appartengono attualmente all’Articulação, hanno connessioni intermittenti con la fazione radicale di sinistra conosciuta come O Trabalho. Per la prima volta nella storia Brasiliana tre dei ministri di gabinetto sono neri.

La destra è stata prodiga di consigli a Lula affinché non stravolgesse l’attuale condizione di stabilità macroeconomica, nel suo sforzo di risolvere il problema della povertà. In previsione di un aumento dell’inflazione, del peggioramento degli indicatori del rischio e di una rapida svalutazione della valuta nazionale durante il 2002, la carica di presidente della Banca Centrale Brasiliana risultò essere materia di litigio. Pedro Malan, Ministro delle Finanze durante il governo Cardoso, aveva dichiarato all’inizio di giugno 2002 che il prossimo presidente del Brasile non avrebbe dovuto cambiare il presidente della Banca Centrale, Armínio Fraga, nell’interesse di mantenere la credibilità internazionale e la stabilità macroeconomica. Il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Paul O’Neill, contava sul fatto che si seguisse il consiglio di mantenere una certa continuità (Souza e Sofia, 2002). Dopo che si conobbero i risultati delle elezioni, Côrtes Neri, del Centro di Politiche Sociali della Fundação Getúlio Vargas, raccomandò Lula di lasciare Fraga al suo posto al fine di mantenere la fiducia internazionale sull’economia brasiliana, senza la quale, disse, non si sarebbe potuto raggiungere alcun obiettivo d’importanza sociale (2002). La destra era preoccupata sulla possibilità che Lula potesse deviare dal sentiero neoliberale che il Brasile stava tenacemente percorrendo ad opera di Malan e Fraga. Fu anche diffusamente creduto che Antônio Palocci, il futuro ministro delle finanze di Lula, volesse dare continuità all’operato di Fraga (Patury e Lima, 2002). Quando Lula finalmente annunciò che non avrebbe mantenuto Fraga, cominciò la ricerca di un nome che avesse avuto la fiducia delle istituzioni finanziarie e delle banche internazionali. Fábio Barbosa, il presidente della sussidiaria brasiliana della banca statunitense ABN Amro che fu inizialmente invitato ad assumere la carica, la rifiutò. Tra gli altri nomi che vennero presi in considerazione ci fu quello di Pedro Bodin, uno dei direttori del gruppo di società Icatu con sede a Rio de Janeiro che ha interessi in holding, capital lending ed assicurazioni.

Alla fine la persona scelta per l’incarico fu Henrique de Campos Meirelles, un multimilionario dello Stato del Goiás. Questo cominciò la sua carriera come Director of Leasing della sussidiaria brasiliana della BankBoston, diventando nel 1996 Head of the Global Marketing Division della stessa banca. Nelle elezioni del 2002 fu inoltre eletto Senatore per lo Stato del Goiás per conto del PSDB. Cardoso stesso era intervenuto per assicurarsi che Meirelles ottenesse dal partito la carica al Senato.

Mentre il candidato di Lula al posto di presidente della Banca Centrale era un multimilionario neoliberista, quello candidato alla presidenza dell’altro importante istituto bancario dello Stato, la Banca Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social o BNDES), Carlos Lessa, era un dichiarato anti-neoliberista e neonazionalista e un ben conosciuto economista della sinistra del PT. Subito dopo la sua nomina, Lessa dichiarò che avrebbe voluto integrare il programma d’investimenti del BNDES con quello del PT Fame Zero. Questo affermò:

“Secondo la mia preparazione e inclinazione, non sono un neoliberista. Sono un neonazionalista e le mie principali priorità sono l’integrazione sociale e la riduzione delle disuguaglianze sociali” (citato In Santos e Gois, 2002).

Oltre alla nomina di Lessa al BNDES, Lula aveva pubblicamente raccomandato Paul Singer, noto economista brasiliano della sinistra e principale autore del diffuso manifesto economico della sinistra, “economia della solidarietà (economia solidária)” (Singer e Souza, 2000). Questo fu probabilmente un altro pezzo di quell’intricato esercizio di “checks and balances” che Lula dovette mettere in atto per essere effettivamente in grado di governare. Se la nomina per la Banca Centrale fu una concessione di Lula alla destra al fine di acquisire credibilità internazionale la nomina al BNDES fu la sua abile mossa per placare l’ala sinistra del suo partito. La BNDES è dopotutto una stragrande istituzione nazionale che ha prestato, nel 2002, 30 miliardi di reais, una somma più grande dell’intero budget del Ministero della Salute. Se usato come strumento per la politica sociale, potrebbe avere un forte impatto nella lotta alla povertà.

Ci fu un ampio scontento nei ranghi e nelle file del PT, circa le nomine di Furlan e Rodrigues nel collegio dei ministri e di Meirelles alla Banca Centrale. Furlan il presidente della Sadia, il più grande esportatore di prodotti per l’agricoltura in Brasile, e Rodrigues, presidente dell’associazione brasiliana dell’agribusiness, poiché grandi proprietari terrieri e Meirellaes poiché funzionario senior di una banca straniera. I grandi proprietari terrieri, i banchieri stranieri e i loro alleati brasiliani sono esattamente le persone che il PT si è impegnato a combattere nella sua campagna per creare una società più omogenea e giusta. La senatrice senior del PT dal Alagoas, Heloisia Melena, criticò pubblicamente la nomina di Meirelles, facendo breccia nella disciplina del partito (Zanini, 2002). Il suo deputato dal Pará, Babá, definì la nomina di Rodrigues “la negoziazione delle idee del PT” (Cantanhêde, 2002b).

Anche l’MST che ha supportato con consistenza il PT in tutte le elezioni, criticò apertamente il partito per aver stretto alleanze con il PL ed esponenti del PMDB. Infatti proclamò: “Questo tipo d’alleanze feriscono la tradizione della sinistra e la coerenza del partito” (Stedile, citato in Fraga, 2002)

7. Conclusione: primi indicatori della speranza e del dubbio

Ci sono dubbi persistenti sul fatto che il PT al governo sia in grado di crescere al di fuori delle tendenze politiche impresse su questo dalle circostanze delle sue origini. Due vecchi professori di scienze politiche della prestigiosa Università di San Paolo, scrivendo dopo la vittoria elettorale di Lula, rammentano esplicitamente che i modelli di stato assistenziale che le democrazie sociali dell’Europa avevano cercato di costruire erano tutti fondati sulla dottrina del neocorporativismo: “gruppi sociali organizzati (associazioni commerciali e sindacati) che lavorano insieme allo Stato e che realizzano accordi rilevanti per affrontare le questioni economiche e sociali più importanti” (Gonçalves and Azevedo, 2002). Questi affermano che il nuovo governo Lula dovrebbe provare a creare un contratto sociale in Brasile di questo genere. Ma questi stessi esprimono dubbi sulla loro capacità di farlo.

“[...] la realtà è che il PT non ha ancora spiegato come risolverà il suo storico dilemma. Durante i suoi 20 anni di vita, non ha ancora definito la forma esatta della sua democrazia sociale. Ha ripudiato lo stalinismo, ma sta ancora flirtando, qua e là, con idee che sono romanticamente rivoluzionarie e socialiste, oltre ad essere autoritarie. Disdegna la democrazia sociale a causa del suo “servile” impegno al capitalismo e alle mere riforme. Ma allo stesso tempo è finito con lo sposarla” (Gonçalves and Azevedo, 2002).

Un ben noto commentatore politico, Clóvis Rossi, ammonisce Lula dallo stringere troppo la mano alle attuali e dominanti dottrine del neoliberalismo ortodosso, “certi principi devono essere visti come più sacri della vergine Maria: un surplus fiscale sufficientemente elevato a mantenere un buon rapporto Debito/PIL, un’opportuno rimborso del debito e dell’elevato tasso d’interesse”. I paesi dovrebbero quindi provare ad evitare situazioni debitorie ma nel caso accadesse non farne un’apocalisse. Questo punto è reso vivace con una logica realistica:

“È quindi meglio se ogni famiglia fosse risarcita del suo debito in maniera religiosa, in maniera da non dovere spendere non un centesimo in più di ciò che guadagna. Non ci sono raccomandazioni ideologiche ma senso comune. Ma è ugualmente ovvio che in una situazione in cui non si abbia denaro per comperare del cibo a volte non si è neanche in grado di ripagare i debiti. Se un figlio avesse bisogno di un’operazione si spenderebbe più di quanto si possiede e non lo si lascerebbe morire o soffrire. Questi sono atti di senso comune. Ciò che non ha senso è terrorizzare con la minaccia di un’apocalisse nel caso una certa politica economica non venga seguita” (Rossi, 2002).

Un’intervista che Antonio Palocci, il nuovo ministro delle finanze, rilasciò al Folha de São Paulo il 21 dicembre non fornì alcuna indicazione di un chiaro impegno del nuovo governo Lula a rompere definitivamente con l’impostazione data negli otto anni di governo Cardoso. Questo elogiò il ministro delle finanze del centro-destra di Cardoso, Pedro Malan, l’architetto delle politiche monetarie durante i due mandati dell’amministrazione Cardoso, per “l’aver lavorato correttamente, con dedizione, e come una delle persone più serie che abbia conosciuto nel governo (Cardoso)”. Questo affermò (i) che avrebbe continuato con la politica Cardoso-Malan sul surplus nella bilancia dei pagamenti allo scopo di gestire il debito, (ii) che avrebbe mantenuto il tasso d’interesse entro l’iniziale obiettivo del 6,5% e (iii) che non avrebbe ridotto il tasso d’interesse fino quando una serie di condizioni non si fossero verificate, tra cui l’inizio di una riduzione del rapporto debito/PIL e del tasso d’inflazione, un livello positivo della bilancia commerciale, una prevalente fluidità nella concessione del credito e una ragionevole condizione di crescita. Inoltre, aggiunse, che il nuovo governo avrebbe messo in atto una nuova politica dei redditi ma non specificò come questa si sarebbe differenziata da quella di Malan. Affermò che “avrebbe iniziato a combattere la fame in maniera sistematica” ma non disse come. Ammise apertamente che avrebbe potuto continuare la politica macroeconomica di Malan per circa due anni. Questo è come ha cercato di distinguere tra l’approccio allo sviluppo del PT e quello seguito nelle due amministrazioni di Cardoso negli otto anni precedenti:

“Il Brasile ha bisogno di una seria politica fiscale e di monitoraggio ma ciò non può esercitare un controllo sul paese. Deve essere beninteso che il discorso che il presidente della repubblica deve fare, può non essere lo stesso di quello fatto dal presidente della banca centrale. Il sistema di traguardi dell’inflazione è un sistema macroeconomico utile a raggiungere un equilibrio economico ma non ad esercitare un controllo sui progetti della nazione. [...] Noi dobbiamo invertire la direzione di questo processo e capire che è la crescita sostenibile a generare più stabilità degli strumenti macroeconomici” (Salomon e Alencar, 2002).

Palocci sembra essere impegnato in questa sede in una difficile azione di riequilibrio. Da un lato, cerca di rimanere all’interno dell’intelaiatura di promesse elettorali del PT “di mantenere il sociale come asse portante dello sviluppo”, dall’altro afferma che le politiche monetarie e fiscali di Cardoso-Malan continueranno qualunque siano le conseguenze sociali. Questo non sembra aver avuto pienamente successo nel rassicurare la classe media e quella dei professionisti del Brasile. Un commentatore del largamente diffuso Folha de São Paulo mise presto in guardia, dopo l’intervista di Palocci, che le politiche finanziarie del PT avrebbero potuto creare un “paese limitato” e che:

“[...] avrebbero provocato una convulsione economica con risultati incerti, escludendo il paese dal mercato mondiale. Una più delicata transizione sarebbe più prudente ed efficace. Se questa transizione può essere assicurata, ci sarà stabilità. Sarà poi possibile iniziare tali cambiamenti politici ed economici di cui il paese ha bisogno e alcune idee radicali non sembreranno più attraenti” (Freire, 2002).

Nell’affermare l’idoneità del team di Lula a combattere la povertà, ciò che dobbiamo capire è che questa battaglia è essenzialmente un processo politico - questo coinvolge mutamenti di posizione fondamentali nell’equilibrio dei poteri della società civile, e comporta vincitori e vinti. In una democrazia pluralista, il contesto in cui Lula deve operare, i cambiamenti fondamentali possono essere apportati soltanto attraverso il consenso e non con la forza. Assicurarsi il consenso dei ricchi, trincerati dietro le loro posizioni privilegiate, lasciando che altri condividano alcune delle loro ricchezze e convincendoli ad abbandonare alcuni loro privilegi potrebbe non essere un compito facile in nessuna circostanza. Una condizione iniziale necessaria, se non sufficiente, per assicurarsi il consenso sarebbe incrementare la pressione al cambiamento dal basso mobilitando i poveri. Il PT è nella migliore posizione per fare ciò d’ogni altro partito politico in Brasile.

Il PT ha già dimostrato un considerevole grado di successo nell’assicurarsi il sostegno di parti significative del centro e della destra. Nella realpolitik contemporanea del sistema di governo del Brasile, non si può governare senza il sostegno del Parlamento. Ciò che deve essere considerato, in ogni caso, è il conto che sarà chiamato a pagare in cambio del suo sostegno. Si deve inoltre mantenere la sinistra, inclusi i membri del proprio partito, unita su un minimo di programma accordato. Ciò ha spesso dato prova di essere ancor più difficile dell’assicurarsi il supporto del centro e della destra. Inoltre ci saranno crescenti pressioni dal FMI e dagli Stati Uniti contro l’adozione di politiche che possano minare gli interessi globali del capitalismo. L’abilità di resistere a queste pressioni dipenderà da quanto sarà forte l’equazione domestica del potere. In questo momento, la sua posizione in questa equazione non è molto forte. Ci sono quindi, ovvi limiti su ciò che può ottenere politicamente durante il mandato di Lula del 2003-06. Ma ciò può certamente indirizzare il paese verso un definitivo corso di fondamentali mutamenti nelle politiche a favore dei più poveri. Può sfruttare questo periodo per estendere la sua base di sostegno a quei segmenti della società che sono ampiamente rimasti al di fuori delle sue pieghe, come ad esempio i poveri delle campagne, i piccoli agricoltori, i poveri delle aree urbane nei settori privi di organizzazioni e i lavoratori al di fuori delle attività manifatturiere. Con una base di sostenitori più ampia e più forte e con una migliore organizzazione, potrebbe ottenere ancor di più in un secondo mandato, nel caso fosse in grado di replicare. La cronicità della povertà è, dopotutto, un qualcosa che si trasmette di generazione in generazione. Pensare di dover avere a che fare con una gestione di otto anni, potrebbe non essere, quindi, del tutto non realistico.