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Il punto, la pratica, il progetto

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

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Il movimento dei lavoratori davanti ai nuovi assetti capitalistici internazionali della competizione globale

Luciano Vasapollo

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In Italia si può allora sostenere che esistono e coesistono distinte strutture economiche, disomogenee strutture economico-produttive a cui corrispondono soggettualità diverse, derivanti in maniera naturale da tali strutture e tendenze a formazioni degenerative di un processo che ha assunto a volte connotato e risultati non attesi, che possono tramutarsi anche in elementi diforte conflittualità sociale.

Non si tratta, quindi, di un semplice processo di deindustrializzazione ma di una trasformazione capitalistica che crea nuovi soggetti del lavoro, del non lavoro, del lavoro negato, la nascita di nuove attività, la maggior parte delle quali a carattere terziario e precario, che generano, e forzano nello stesso tempo, nuovi meccanismi di crescita, di organizzazione della società e di accumulazione del capitale nella cosiddetta era della nuova globalizzazione, o meglio della competizione globale.

Dai risultati delle diverse fasi dell’analisi-inchiesta che abbiamo realizzato come CESTES-PROTEO, emerge un terziario che sempre più interagisce e si integra con le altre attività produttive, specialmente con quelle industriali con un ruolo strategico produttivo in chiave salariata e subordinata anche dei nuovi soggetti del lavoro autonomo di ultima generazione. Si determina, quindi, un nuovo modello produttivo e localizzativo, che si può definire come un contesto economico produttivo fortemente caratterizzato da un terziario implicito (interno alla stessa industria) ed esplicito che modella il territorio, nella sua caratterizzazione sia economica sia sociale. E attraverso il ruolo del settore terziario assume sempre più una centralità produttiva la risorsa informazione.

Si ha così un paradigma di flessibilizzazione del vivere sociale imposto da un’impresa diffusa socialmente nel sistema territoriale. Si tratta, cioè, di un terziario a centralità comunicazionale che si accompagna a delocalizzazioni, a processi di terziarizzazione, ad esternalizzazioni del ciclo produttivo e ad un modello di flessibilità generale e di sfruttamento nel e del sociale.

Tutto ciò ha assunto un ruolo sempre più trainante del modello di capitalismo italiano, non spiegabile soltanto da semplici processi di deindustrializzazione o di ricompattamento e riconversione industriale, ma dalle esigenze di ristrutturazione e diversificazione complessiva delle modalità della crescita capitalistica. Ci si accorge che cresce un settore terziario che sempre più identifica e si identifica in nuovi soggetti sociali, che tende a caratterizzarsi anche con forme di lavoro a sempre più alto contenuto di precarizzazione e di flessibilità del lavoro e del salario. Ci si trova, così, in presenza di un alto turn over della manodopera con continua creazione e distruzione di lavoro; un aumento del lavoro falsamente indipendente soprattutto nell’industria, un aumento di utilizzo di orari di lavoro e turni non regolari, e infine una crescita costante e continua dei lavori a tempo parziale, determinato, dell’apprendistato, del part-time forzato. La crisi sta portando alla diminuzione del lavoro regolamentato e a tempo indeterminato ma non del lavoro salariato e subordinato. Un lavoro sempre più flessibile e atipico e sempre più spesso attinto attraverso processi di delocalizzazione internazionali alla ricerca di forme di lavoro a scarso contenuto di diritti e a bassissimo salario; a ciò si accompagnata una forte presenza di lavori intellettuali e tecnico professionali spesso precarizzati come quelli manuali e ripetitivi.

La contrazione del costo del lavoro e la flessibilità del lavoro non riescono neppure a rilanciare gli investimenti. L’atteso consolidamento della ripresa dell’economia italiana e internazionale è sperata solo in funzione del carattere complessivo che va assumendo, nelle sue diverse forme, a secondo dei paesi, il contesto di economia di guerra.

Ciò è strettamente correlato ad un contesto di sostenimento della domanda complessiva attraverso politiche economiche di stampo da keynesismo militare nel contesto di “guerra infinita”, che altro non vuol dimostrare se non la possibilità di crescita economica e di ripresa dei processi di accumulazione attraverso un contesto di economia di guerra accompagnato da una compressione generale del costo del lavoro e della spesa sociale.

 

6. Alcune ipotesi per la ripresa del conflitto capitale-lavoro

Il movimento dei lavoratori, e gli oppositori al modello capitalistico in genere, dovranno fare i conti con lo scenario di keynesismo di guerra come fenomeno economico strutturale e quindi prepararsi a restrizioni da parte dei governi sul piano delle libertà individuali e sindacali, dei diritti in genere e con forme di sviluppo della spesa pubblica a carattere militare, con conseguenti restrizioni economiche che colpiranno sempre di più i salari e la spesa sociale. È questo lo scenario dei prossimi anni entro cui il movimento dei lavoratori dovrà organizzarsi e configgere considerando anche l’ipotesi, suffragata ormai da dati reali, che anche l’economia di guerra difficilmente porterà il capitalismo fuori da una crisi che assume sempre più carattere strutturale.

Si realizza così una società con maggiori differenziazioni sociali, in cui è sempre più ridotto il sistema di protezione sociale a favore delle fasce dei cittadini più deboli. Fasce di nuove marginalità del lavoro e del non lavoro che si allargano sempre più andando a comprendere anche quegli strati di società che fino a non molti anni fa erano ritenuti protetti; come ad esempio i lavoratori del pubblico impiego, alcune fasce di artigiani e commercianti, i pensionati. Si vanno creando, così nel contempo nuove povertà, nuovi bisogni a cui non si riesce o non si vuole dare risposta, ampliando in ultima analisi l’area dell’emarginazione sociale complessiva.

La realtà economica è, quindi, in rapida e ineluttabile evoluzione, ma tende a rendere sempre più evidente la linea di demarcazione fra proprietà - capitale e una classe dei lavoratori che non può accettare quelle compatibilità funzionali alla crisi quantitativa di accumulazione che il capitale sta attraversando.

Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono, anche, trasformazioni nell’essere e nell’interagire dei nuovi soggetti produttivi e sociali in genere, e ciò è possibile leggerlo e interpretarlo attraverso analisi basate sulla centralità del terziario, anche dei servizi alle imprese e alla fabbrica industriale, e su un ruolo dello Stato che assume sempre più le funzioni di sostenimento dell’impresa abbandonando il ruolo di regolatore e mediatore del conflitto capitale-lavoro. Tali processi di trasformazione sono molto spesso ignorati, i nuovi soggetti economici non sono protetti, molto frequentemente neppure considerati, perché è predominante la cultura delle compatibilità industriale. Si ripropongono così analisi politiche, sindacali, contributi scientifici scontati e compatibili agli attuali processi ridefinitori del capitale, ma comunque non riferibili alla concreta realtà socio-economica che ancora una volta va interpretata in termini di classe. I vari modelli di analisi economica e sociale adottati a tutt’oggi da studiosi di varia formazione e collocazione politica risultano ancorati a forme di misurazione basati su parametri elaborati e desunti da una logica interpretativa di “stampo antico” cioè esclusivamente fordista, o proiettate nel futurismo postfordista in cui si suppone superato il conflitto capitale-lavoro. Logiche assunte come centrali da gran parte delle forze sindacali confederali e a volte da forze politiche della sinistra, anche di una parte di quella radicale e alternativa.

Il processo di sviluppo economico che si attraversa ha bisogno di nuove logiche interpretative, di nuovi strumenti ignorati dalle analisi economiche di impostazione “industrialista”, “fordista” e del modernismo postfordista.

L’analisi va, quindi, riportata sul piano delle nuove relazioni industriali. Si individuano così i caratteri strutturali dei sistemi produttivi locali basati sul lavoro specializzato; sull’intensificazione dei ritmi sull’elevata divisione del lavoro, sulla spinta alla specializzazione produttiva; sulla molteplicità dei soggetti economici, di nuovi soggetti del mondo del lavoro; sulla diffusa professionalità dei lavoratori accompagnata, per i lavori più miseri, da commesse esterne con forte componente di lavoro nero e sottopagato; sulla diffusione dei rapporti faccia a faccia senza intermediazioni sindacali.

Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono anche, e forse soprattutto, trasformazioni nell’essere e nell’interagire delle modalità di sviluppo di un capitalismo che abbandonando la centralità di fabbrica propone un sistema produttivo e culturale sempre più spostato e incentrato nel territorio, assecondato dal ruolo attivo del Profit State. Ciò è possibile leggerlo ed interpretarlo solo attraverso analisi disaggregate della distribuzione territoriale delle attività, con una forte caratterizzazione tipica dell’analisi di classe, rilanciando un’offensiva culturale, politica e sindacale a partire da una nuova grande stagione di lotte, di un nuovo grande movimento dei lavoratori realmente indipendente, in cui la CUB e il sindacalismo di base avranno certamente un ruolo da protagonisti.