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Per la critica del capitalismo

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Armando Fernández Steinko
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Professore titolare di Sociologia, Università Complutense, Madrid

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Firenze ‘02: Altre Europe sono possibili. Costruire l’opposizione alla barbarie del capitale

Armando Fernández Steinko

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Il rifiuto della prospettiva unica basata sull’individualismo razionalista, che successivamente si è evoluto fino all’individualismo possessivo della rivoluzione industriale perdendo i suoi contenuti umanisti, inizia con la rivoluzione delle arti all’inizio del XX secolo. La pittura era stata il mezzo d’espressione che aveva saputo esprimere meglio la nuova sensibilità rinascimentale nella Firenze di Giotto e la pittura fu ancora una volta la prima a metterla radicalmente in dubbio, con il cubismo di Picasso e Braque, anche se tutte le arti lo faranno poco tempo dopo. Il cubismo, l’idea del “collage” che lo accompagna, scopre che l’unicità del punto di vista è relativa, che la realtà è troppo complessa per poter essere osservata interamente da un unico punto di vista statico. Questa scoperta nel modo di trattare lo spazio visuale ha il suo equivalente nella teoria della relatività con cui Einstein e compagnia fanno esplodere i pilastri della scienza nata nel Rinascimento, pilastri che erano basati anch’’essi sull’osservazione della natura a partire da un punto di vista unico e statico (principi matematici e fisici di Newton).

Il XX secolo è il secolo della democrazia e la democrazia non è altro che la dispersione, tra un numero inteminabile di attori con diritti uguali (“cittadini”) del diritto a decidere nelle questioni politiche, economiche e culturali. La democrazia è la moltiplicazione di punti di vista, attori e opinioni rilevanti. La fine del fordismo, che si sviluppa negli anni ’70 senza che ancora si possa parlare di un nuovo modo relativamente coerente e determinato di regolamentazione sociale dei processi economici (“capitalismo flessibile” [1]), erode la dottrina della unicità e la strumentalità di cui il fordismo è figlio ed anacronistico difensore. L’unica forma di democrazia che è capace di generare il fordismo è quella che riproduce, spesso, i principi della concetrazione del sapere e delle risorse politiche in mano di pochi (professionalizzazione della politica, modelli di democrazia minimalista del secondo dopoguerra mondiale che durano fino ad oggi, concentrazione delle decisioni collettive in squadre negoziatrici specializzate, ecc.). In questo senso, il fordismo è erede di quei principi rinascimentali che, in quelle remote date fiorentine, hanno organizzato una ribellione contro il caos medioevale a partire da questo punto di fuga, da questa unicità che comprende tutto ed è razionalizzante. Questo lo hanno intuito molto presto Adorno e Horkheimer [2], anche se hanno diffuso infinite confusioni, mettendo nello stesso sacco i contenuti umanisti dell’inizio del Rinascimento e la sua degradazione tardo-capitalista a partire dal 1890.

Perpetuare oggi uno sistema lineare e univoco di visione, comprensione e soprattutto di gestione del sociale diventa sempre più difficile, in un mondo policentrico, multiculturale e vario. Una parte di questa ribellione contro le grandi infrastrutture di rappresentanza create intorno al 1950 -siano esse partiti, sindacati, collegi professionali o gli stessi parlamenti- che stiamo vivendo ora, è sintomo di un lungo declino dell’ordine creato dal Rinascimento, quell’ordine che intorno al 1890 entra in una veloce spirale di degrado con la trasformazione del capitalismo in imperialismo, con il trionfo del pensiero neoclassico in economia e dell’individualismo metodologico in sociologia [3]. Il Ciclo di Protesta che inizia nel 1968 è stato il primo tentativo cosciente e sistematico di perforarlo, ma il fordismo possedeva ancora riserve di sviluppo e leggittimazione culturale, ambientale ed economica. La postmodernità degli anni Ottanta e la critica dei “grandi racconti” è stato il secondo tentativo di abbatterlo, sebbene la sua alleanza con il neoliberismo gli abbia rubato qualsiasi contenuto emancipatore, sviando la critica della burocrazia verso l’individualismo. Le democrazie partecipative, la così detta Rivoluzione Zapatista, lo stesso movimento no global, che a Firenze ha raggiunto la sua maturità, sono il terzo grande assalto contro una determinata maniera di concepire ed organizzare la vita, il sapere riguardante il mondo, la protesta ed anche la partecipazione, assalto che questa volta si inserisce nel desiderio di creare un proprio spazio al di fuori di questo centro-sinistra europeo e mondiale che fa così ridere.

Questo terzo tentativo potrebbe però vincere solo una volta riusciti a rompere quella paralizzante alleanza tra ribellione contro l’unicità fordista e postmodernità neoliberale. Questa rottura doveva verificarsi in Europa, perchè è stato in Europa dove è nata ed è in Europa dove doveva morire. Firenze è diventato ancora una volta il simbolo di una nuova rottura civilizzatrice, una rottura che sembra, solo sembra, mettere in discussione il principio da cui essa stessa nacque. Il punto di fuga Rinascimentale è stato un programma emancipatore monumentale per la sua epoca così come la moltiplicazione di attori, punti di vista e sorgenti di creatività e sapere, è il grande programma emancipatore di quello che potrebbe essere il Primo Ciclo di Protesta il Millennio.I gruppi come quello del “consumo critico” vogliono osservare la diversità dalla diversità e non dall’unicità di una dottrina determinata rappresentata da uno di quei “politici” professionali. A questi livelli del capitalismo c’è già troppo sapere disperso tra troppe persone che sanno fare molte più cose di quelle che il mercato del lavoro gli permette di fare, per pensare che l’unica forma di generare sapere sia continuare a concentrarlo nelle mani di pochi specialisti, organizzazioni o dogmi. Esistono troppe situazioni di vita diverse, troppe lingue e Paesi, troppi gruppi politici, associazioni, iniziative e circoli per poter credere in una avanguardia con una ipotetica capacità di decifrare il segreto di un già impossibile e unico punto di fuga. Il Forum Sociale di Firenze dimostra che è possibile osservare la complessità del mondo dalla diversità per cercare di trasformarlo, che non esiste uno, ma migliaia di punti di fuga e che quella molteplicità non genera incoerenza, dispersione ed individualizzazione postmoderna come temono ancora i professori politici del fordismo che ancora esitono, ma esattamente l’opposto. Firenze mette nella sua giusta luce l’idea del collage, l’idea della simultaneità e della multifocalità. Sono idee delle quali si erano appropriati i postmoderni e neoliberali per combattere i “grandi racconti”, ma idee che hanno a che vedere maggiormente con il cosmo di “Manhattan Transfer” e “La Colmena” che con morire in un ghetto di Harlem o diventare una “pazza postmoderna”, idee che non escludono la coerenza all’interno della diversità, ma che, al contrario, la necessitano per elaborare una visione del tutto.

In questa minestra, in questo insieme diverso, le teorie e le scelte politiche più adatte alla realtà, con maggiore capacità di prevenire e prevedere i fatti e le dinamiche, i gruppi con maggiore influenza reale, con più capacità di convinzione tra i cittadini, sono quelli che stanno diventando “egemoni”. Ma questo, se succede, sarà il risultato di una selezione naturale, della stessa dinamica tentacolare. Il “movimento dei movimenti” non è controllato da nessun centro (non può esserci qualcosa come una razionalità suprema al di quella che si danno gli stessi attori), è un polipo sociale la cui testa non comanda i tentacoli, ma è mossa verso dove decidono i tentacoli stessi. Lo ha già detto Fausto Bertinotti del Partito della Rifondazione Comunista: “è imprescindibile che nessuna presunta avanguardia si senta tentata di egemonizzare un movimento come questo”. I soggetti della trasformazione sono molteplici, non sono definiti anticipatamente, ma si creano con il movimento stesso. Se è vero che anche nella storia avvengono progressi, il compito principale del XXI secolo sarà quello di mettere in moto una cultura politica così ambiziosa come questa utilizzando tutti i saperi, tutte le esperienza, tutti gli insuccessi e le conquiste che hanno legato a noi sei secoli, a partire da quei primi anni del Rinascimento fiorentino.

NOTE


[1] Ver Bieling, H.-J./Dörre, K./Steinhilber, J/Urban H.J. (eds.): Flexibler Kapitalismus. VSA, Hamburgo 2001.

[2] Dialéctica de la Ilustración. Trotta, Madrid 1994.

[3] A. Fernández Steinko: El sueño del fragmento. Cap.22).