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Per la critica del capitalismo

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

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Ritorno al futuro

Luciano Vasapollo

Il terreno di una possibile alternativa al capitalismo ripartendo dal conflitto capitale-lavoro

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Ma quale fine del lavoro! Sempre più è viva l’analisi scientifica di Marx sul lavoro salariato, sulla “proletarizzazione” ed immiserimento, assoluto e relativo, di strati sempre maggiori delle società a capitalismo avanzato; per non parlare dei livelli di schiavitù, di feudalesimo e di miseria assoluta nel Terzo e Quarto mondo.

Tuttavia, le tendenze attuali, con l’aumento del numero dei lavoratori salariati impegnati al di fuori della produzione materiale propriamente detta, l’aumento del numero degli impiegati, dei flessibili, dei precari, dei temporanei, degli atipici in genere, l’incremento del tasso del lavoro intellettuale, o del finto lavoratore autonomo, nella composizione dell’ “operaio collettivo”, sono ben lungi da testimoniare la “deproletarizzazione” della classe operaia, o della classe lavoratrice in genere.

6. E’ così che nonostante il passaggio dall’era fordista alla cosiddetta era post-fordista, dall’operaio massa all’ “operaio sociale”, dalla centralità di fabbrica alla fabbrica sociale generalizzata, dalle “tute blu” ai colletti bianchi, dal lavoro manuale a lavoratori della conoscenza e dell’intelligenza, anche nei paesi a capitalismo avanzato permane e vive sempre più il lavoro salariato con forme sempre più sofisticate e sempre più incisive di sfruttamento.

Marx rivelò la tendenza oggettiva della produzione capitalistica verso uno sfruttamento massimo della classe operaia. Tale tendenza si è verificata e si verifica nel corso di tutta la storia del capitalismo.

Ciò che è caratteristico del modo capitalistico di produzione, quindi ancor oggi e a maggior ragione oggi, non è il fatto che ci sia sfruttamento di una parte della popolazione da parte di un’altra, quanto la forma che tale sfruttamento assume, cioè la produzione di ...

”plusvalore, per il quale il capitalista non paga nessun equivalente. E’ su questa forma di scambio tra capitale e lavoro che la produzione capitalista, o il sistema del lavoro salariato, è fondata, e che deve condurre a riprodurre continuamente l’operaio come operaio e il capitalista come capitalista.”

A questo punto, è logico esporre uno dei più grandi risultati delle analisi economiche di Marx chiamato “paradosso del profitto”: il profitto non si origina nello scambio, esso proviene dal fatto che le merci si vendono proprio al loro valore.

D’altra parte nel III Libro del Capitale, Marx evidenzia in maniera esplicita che nel costo del prodotto ci sono tutti gli elementi costitutivi del suo valore, pagati dal capitalista o per i quali ha immesso nella produzione un equivalente; e, quindi, questi costi di prodotto devono essere reintegrati per permettere al capitale di conservarsi, di recuperare la sua entità originale. Pertanto il valore di una merce è dato dalla durata del lavoro che la produzione della merce costa, e solo una parte del totale di questo lavoro è pagata; d’altra parte i costi della merce sono invece solo quella parte del lavoro che il capitalista ha remunerato.

Da quanto sopra scritto si sarà sicuramente intuito che il profitto non è altro che lo stesso plusvalore. Anzi più propriamente il profitto è la forma fenomenica del plusvalore, cioè il risultato del capitale complessivamente anticipato.

Ma è nel capitolo 9 del III Libro del Capitale in cui tradizionalmente si è cercata la spiegazione di Marx della “Formazione di un saggio generale del profitto (saggio medio del profitto) e trasformazione dei valori delle merci in prezzi di produzione”, partendo proprio dall’assunto che i prezzi di produzione altro non sono che i prezzi realizzati facendo la media dei vari saggi di profitto dei diversi ambiti produttivi e aggiungendo tale media ai prezzi di costo sostenuti dagli stessi ambiti produttivi si ha la definizione “classica” di prezzo di produzione.

Ed è proprio questo lo snodo fondamentale, e se vogliamo anche lo scontro teorico, che è presente da decenni e che si è riproposto al convegno presentazione del 21 maggio u.s.

All’impostazione fondamentale dell’analisi di Marx della trasformazione del valore in prezzi hanno risposto nel libro e nel convegno, alcuni studiosi che da anni si occupano di questo problema (come G.Carchedi, A. Freeman, A.Ramos e A. Kliman), smontando completamente le critiche semplicemente rispondendo che si tratta di un problema inesistente, in quanto la trasformazione dei valori in prezzi è stata risolta già da Marx nel III Libro del Capitale. In questa prospettiva di grande aiuto è il confronto con il manoscritto originale di Marx pubblicato per la prima volta nel 1992 nella MEGA2. Gli Autori di “Un vecchio falso problema” hanno affrontato ancora una volta i cosiddetti “critici” con pazienza, con serietà, con rigore scientifico, anche nella scelta di un linguaggio e di un approccio divulgativo, per riaffermare un punto di vista di correttezza formale e sostanziale dell’intero impianto dell’analisi di Marx.

I prezzi di produzione, quindi, si basano sul fatto che esiste un saggio tendenziale generale del profitto, il quale a sua volta si basa sul fatto che i saggi di profitto di ogni singolo ambito produttivo sono stati già trasformati in altrettanti saggi medi di profitto.

Si può così ricostruire una formulazione coerente della teoria marxiana del valore che non venga intaccata dal supposto “traumatico passaggio” (come lo vedono i critici di Marx) dal “capitale in generale” ai capitali “particolari”.

Il plusvalore può anche assumere la forma modificata del profitto, o il tasso di profitto prendere la forma modificata del tasso di plusvalore, ma questa evoluzione, spiega Marx nei Grundrisse, si realizza “solo nell’analisi di numerosi capitali (reali) e non ha ancora il suo posto qui”, cioè nel momento in cui si pone in essere un tasso medio di profitto e la trasformazione del valore in prezzi determinata dal regime di concorrenza, che non è preso in considerazione dall’analisi del “capitale generale”.

D’altra parte, ci spiega Marx, che per fare un’analisi scientifica del reale sviluppo del capitale, per analizzare il rapporto capitale-lavoro e il ruolo del plusvalore come reale perno del modo di produzione capitalistico, non si può e non si deve partire dai “numerosi capitali reali”, ma dal “capitale”, cioè quello di tutta la società, come bene spiegano i Grundrisse:

“Il subentrare di numerosi capitali reali non perturba la nostra analisi. Al contrario il rapporto fra i numerosi capitali diventerà chiaro solo quando avremo messo in evidenza quello che hanno tutti in comune, ossia che sono capitale.”

7. In questo sviluppo di momenti successivi, ma strutturati, sembra si possa trovare una spiegazione adeguata della “presunta” contraddizione fra il I ed il III Libro del Capitale.

Marx ha dimostrato chiaramente che il profitto ha origine nel plusvalore e che il sistema dei prezzi è spiegato come espressione fenomenica della legge del valore. E allora se le merci non vengono scambiate al loro valore è perché si attua uno scambio di prodotti di capitali che sono titoli per distribuire fra capitalisti la massa del plusvalore.

Già nella Prefazione al III Libro del Capitale Engels sottolineava i criteri con cui aveva scelto di pubblicare il materiale scritto da Marx; quindi ammette una selezione degli scritti e una sua personale interpretazione degli stessi. Tant’è che parte delle “cattive interpretazioni”, anche da parte di alcuni marxisti in buona fede, derivano da una non coerente ricostruzione dell’insieme della teoria marxiana. Si pensa, infatti, nell’ambito del progetto della MEGA di riaffermare il ritorno ai testi originali, di riaffermare, cioè, il vero pensiero di Marx, quindi quello da lui scritto, e non le varie interpretazioni storico-politiche fino alle attuali. E’ così che allora si ipotizza di intitolare il III Libro storico del Capitale “Testo pubblicato da Engels come Capitale, Libro III sulla base dei manoscritti di Marx del 1864-76”.

Se si procede ad una coerente ricostruzione filologica dei testi marxiani, cosa adesso possibile grazie ai testi della MEGA2, si può sostenere che molte delle interpretazioni tradizionali della “trasformazione” dei valori in prezzi siano legate ad un’incomprensione di alcuni snodi teorici fondamentali (se non addirittura, in certi casi, a letture interessate).

Le risposte di Kliman, Freeman, Carchedi, Ramos oltre quelle di Callari e De Angelis sono state molto puntuali, e alcune di queste possono essere lette in maniera approfondita sul libro presentato. Comunque, alle critiche i nostri Autori rispondono con la loro Temporal Single-System Interpretation (TSSI). In pratica ed estrema sintesi, si sostiene che il prezzo ricevuto dal venditore e pagato dal compratore dei mezzi di produzione è ovviamente lo stesso. Tuttavia, i mezzi di produzione comprati e venduti all’inizio di un processo non sono gli stessi mezzi di produzione comprati e venduti alla fine dello stesso processo, e quindi non vi è nessuna ragione di supporre che abbiano lo stesso prezzo. La critica della circolarità, d’altra parte, sostiene che i mezzi di produzione comprati a t1 sono gli stessi di quelli venduti a t2; e ciò significa sovrapporre i due momenti t1 e t2 abolendo la variabile tempo. Se si introduce invece la dimensione temporale, sostengono i nostri Autori, la questione diventa semplice e si toglie qualsiasi incoerenza alla teoria di Marx.

La risposta di questi studiosi nel libro, e come ampiamente sostenuto nella giornata di studio, alla supposta contraddizione nell’economia marxista è molto importante perché rimette al centro il meccanismo di creazione del profitto nel modo di produzione capitalistico basato sullo sfruttamento del lavoro salariato, dimostrando nel contempo che la categoria dello sfruttamento non è valida e vera soltanto per un principio logico ed etico, ma l’intera teoria economica di Marx regge perché è spiegabile da un punto di vista quantitativo e, quindi, è nella sua essenza fortemente scientifica.

8. In conclusione, se i vari critici, compresi quelli presenti alla giornata di studio avessero “sgonfiato” la loro modellistica e impiegato un differente formalismo in cui i prezzi degli input e quelli degli output non siano determinati simultaneamente, se avessero cioè tenuto conto della variabile tempo, allora non solo i risultati della trasformazione dei valori in prezzi si sarebbero dimostrati in modo formalmente rigoroso e scientifico ma avrebbero ben capito che il problema della trasformazione è un “problema inesistente”.

I lavori dell’ “approccio temporale” vengono per la prima volta introdotti sistematicamente nel dibattito italiano e così si riempie una lacuna che aiuta i marxisti, ma soprattutto il mondo accademico italiano ad uscire anche dal suo provincialismo. Non vi è più “scusa” per continuare ad ignorare i contributi dell’ “approccio temporale” e chi lo farà non potrà più appellarsi alla propria ignoranza ma dovrà, in molti casi, ammettere la propria interpretazione interessata.

9. Le trasformazioni strutturali che stanno caratterizzando il sistema socio-economico sono soprattutto trasformazioni che nascono dalla continua interazione del nuovo terziario postfordista con il resto del sistema produttivo, con tutto il territorio proprio perché si tratta di trasformazioni nate dall’esigenza di ridefinizione produttiva e sociale del capitale. Per poter essere lette sono pertanto necessarie analisi fortemente disaggregate della distribuzione localizzativa delle attività da confrontare con una lettura territoriale, più squisitamente sociale e politico-economica. Le nuove figure del mercato del lavoro, i nuovi fenomeni imprenditoriali sempre più spesso si configurano in forme occulte comunque di lavoro salariato, lavoro subordinato, precarizzato, non garantito, di lavoro autonomo di ultima generazione che maschera la cruda realtà dell’espulsione dal ciclo produttivo; si tratta di nuova emarginazione sociale altro che autoimprenditorialità!

E’ allora il territorio il centro verso il quale far convergere una parte rilevante degli interessi della collettività, della classe, delle nuove soggettualità che operano in un’impresa diffusa socialmente nel sistema territoriale. Una fabbrica sociale generalizzata in cui si generano nuovi soggetti che si devono ricomporre ad unità come corpo organizzato, come una totalità di parti interagenti come nuovi soggetti di classe, che si danno una certa caratterizzazione sociale perché derivano da una certa caratterizzazione produttiva della riconversione neoliberista, del modo di produrre e di proporre socialmente la centralità dell’impresa, del profitto, del mercato.

Attraverso una procedura oggettiva e scientifica, si può analizzare entro lo stesso ambito di studio l’analisi economica internazionale e nazionale per verificare le modalità di insediamento del sistema economico spazialmente concentrato, specializzato in un certo settore o in certe modalità produttive, relazionandolo ad una popolazione socialmente e territorialmente caratterizzata in modo coerente. Nuovi soggetti di classe, quindi, capaci, cioè, di innescare contraddizioni economico-sociali e processi di socializzazione. Valori e comportamenti orientati e derivati dalla presenza di un modello di sviluppo che a causa della ristrutturazione dell’impresa e del capitale incide profondamente sul territorio e crea la sua contraddizione nella nuova fase del conflitto capitale-lavoro.

Tali processi necessitano di una diversa e più articolata lettura socio-politica; hanno bisogno di nuove logiche interpretative, di nuovi strumenti ignorati dalle analisi di impostazione industrialista dell’era fordista per rilanciare una nuova fase del conflitto di classe.

Ne consegue che la liberazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalistico è possibile soltanto mediante il superamento del modo di produzione capitalistico. Questa deduzione aveva ed ha tuttora un’importanza molto grande poiché pone decisamente in discussione ogni sorta di illusione circa il superamento del conflitto capitale-lavoro all’interno del modo di produzione capitalistico.

Solo così si realizza un processo di profondo rinnovamento e superamento, in senso economico, politico e quindi sociale, totalmente fondato sul terreno di una possibile alternativa al capitalismo. Questa deve essere la linea guida della trasformazione, il compito fondamentale dell’onesto studioso marxista.

Come ci ha insegnato la gloriosa storia del movimento operaio, solo dalla stretta simbiosi fra teoria e prassi si può realizzare quell’ “intellettuale collettivo”, quella completa scienza che sia in grado di esprimere una funzione guida per tutti i movimenti di opposizione antiglobalizzazione liberista in modo tale che possano muoversi lungo la linea strategica della lotta contro la competizione globale per poli e con essa per il superamento del modo di produzione capitalistico.

E’ per questo che compito degli studiosi scrupolosi, onesti e coerenti è quello di affermare con forza la validità scientifica e l’attualità del pensiero di Marx e, se marxista, anche della sua attuazione pratica concreta. Si può così riprendere un dibattito in positivo e non soltanto attuare un’operazione politica e culturale dei marxisti in termini difensivi. Lanciando, in definitiva, una vera e propria “offensiva” scientifica, culturale che sappia riappropriarsi con forza, anche se con elementi di critica ma sempre in positivo, della teoria marxiana, della sua validità scientifica, ripercorrendo al contempo le esperienze di tutti quei movimenti culturali, ma anche politici e sindacali, che hanno affrontato e ancora affrontano la critica scientifica, anche radicale in chiave di alternativa al capitalismo.