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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Rappresentanza sindacale. La legge che non c’è

Arturo Salerni

I percorsi normativi nel pubblico e nel privato

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7. Considerazioni sulla portata dei referendum

Con questa situazione normativa, articolata e spesso contraddittoria, oltre che fortemente differenziata tra ciò che rientra nel pubblico impiego e tutto quello che da tale settore sta fuori (e che cresce in relazione alla progressiva trasformazione e privatizzazione di enti significativi, erogatori di pubblici servizi), si giunge ai quattro referendum in materia sindacale del giugno 1995.

Il primo, promosso dai radicali, riguarda l’attribuzione delle ritenute sindacali operate - su richiesta dei lavoratori - dal datore di lavoro: il referendum passa, e si giunge ad un ulteriore rafforzamento della posizione “oligopolistica” delle sigle più tradizionali. Ad esse infatti tale possibilità viene riconosciuta non in forza di legge ma in quanto organizzazioni firmatarie di contratti che prevedono per le associazioni stipulanti la possibilità appunto di ottenere la ritenuta diretta del contributo. Di fatto si giunge ad impedire che le organizzazioni che non abbiano stipulato il contratto collettivo nazionale possano fruire della ritenuta diretta - sulla busta paga dei lavoratori loro aderenti - del contributo associativo. Attraverso la qualunquistica agitazione della bandiera per cui “la colpa è dei sindacati”, si è determinato un indiscutibile relativo rafforzamento delle posizioni di alcuni privilegiati rispetto a quelle di tutti.

Il secondo referendum ha prodotto l’abrogazione dell’art. 47 del Decreto Legislativo 29 del 1993, e cioè la possibilità di determinare a mezzo di un accordo sindacale le regole in ordine all’individuazione dei criteri di rappresentatività, alla titolarità della contrattazione, all’esercizio dei diritti sindacali nell’ambito del pubblico impiego. Si voleva evitare cioè che alcuni giocatori stabilissero le regole del gioco. Attraverso una interpretazione operata dal Consiglio di Stato - per la verità forzata - in ordine alla portata abrogativa del referendum si è giunti a ritenere che l’abrogazione dell’art. 47 conducesse alla caducazione di tutta la complessa normativa (legge quadro, accordi intercompartimentali, circolari della Funzione Pubblica) che aveva sino ad allora regolato la materia, e che abbiamo descritto.

Gli altri due referendum, come è più noto, investivano l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori. Quello cosiddetto massimalista puntava all’eliminazione dei due indici di rappresentatività contenuti nell’art. 19 (essere associati a confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale o essere firmatari di contratti collettivi di lavoro nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva): l’eventuale abrogazione in tal caso avrebbe costretto il legislatore a riformulare la norma individuando criteri di effettiva e verificata rappresentatività delle strutture sindacali. Il secondo - quello che è passato - puntava ad eliminare il requisito di cui alla lettera a) dell’art. 19 quale criterio per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali, titolari dei diritti attribuiti dallo Statuto dei Lavoratori.

Sta di fatto che l’abrogazione dell’art. 19 nella forma “minimalista”, quale che sia stata la reale intenzione dei proponenti, ha chiuso una delle strade per l’accesso ai diritti sindacali in azienda, determinando le distorsioni di cui diremo appresso.

E’ innegabile che l’esito del referendum popolare del giugno 1995 in tema di diritti sindacali è stato quello di andare in direzione opposta alla richiesta - pur emersa dalle urne - di maggiore democrazia e di maggiore pluralismo sindacale.

Per pochissimi voti non è passato il referendum “secco” sull’art. 19 legge 300/70, e si è così determinato un restringimento della possibilità per tanti soggetti sindacali rappresentativi di addivenire al riconoscimento dei diritti sindacali.

A seguito del referendum viene a mancare quale requisito per il riconoscimento dei diritti sindacali quello indicato dalla abrogata lettera a) dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori (ovvero l’affiliazione dell’associazione sindacale nel cui ambito viene costituita la rappresentanza sindacale aziendale ad una Confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale).

Resta questo strano art. 19 mutilato dal referendum, per cui il riconoscimento dei diritti sindacali (compreso quello relativo alla ritenuta del contributo sindacale) dipende dall’atteggiamento datoriale (e cioè dalla scelta dell’imprenditore di trattare e siglare accordi con questa o quella sigla sindacale e di escludere questa o quell’altra).

Va ricordato con riferimento a tale situazione che, come sostenuto nella sentenza n. 39 del 1990, la Corte Costituzionale riteneva troppo restrittivo il criterio di accesso ai diritti sindacali individuato dal legislatore del ‘70, nella configurazione che offriva - naturalmente - più strade di quelle offerte a seguito dell’esito referendario. Peraltro va considerato che la Corte Costituzionale nell’ammettere il referendum (cosiddetto non massimale) richiesto dal Signor Cagna ed altri sull’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori affermava che dal quesito “risulta l’intendimento (minimale) di ottenere almeno l’abrogazione dell’indice presuntivo di rappresentatività previsto dalla lett. a) e l’abbassamento al livello aziendale della soglia minima di verifica della rappresentatività effettiva prevista dalla lettera b)”.

Anche su tale affermazione della Corte dobbiamo poggiare oggi la nostra battaglia per una nuova legge sulla rappresentatività ed i diritti sindacali. Va ricordato sul punto che il nuovo testo dell’art. 19 inserisce anche il contratto aziendale tra quelli la cui sottoscrizione comporta la possibilità di costituzione della rappresentanza sindacale aziendale, con conseguente riconoscimento dei diritti previsti dal titolo III della legge 20 maggio 1970 n. 300.

Va affermato con forza che “abbassamento al livello aziendale della soglia minima di verifica della rappresentatività effettiva” deve significare qualcosa di diverso rispetto all’attuale situazione normativa che vede quale unico indice la sottoscrizione del contratto applicato nell’unità produttiva.