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La P.A. in crisi per la scelta tra necessità e timore del cambiamento

Augusto Ricci

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Parte Iia "C’è qualcosa di nuovo...", oggi nella P.A.

Su questa crisi, per cosi dire, insita nel genoma della P.A. oggi se ne aggiunge una nuova.

Dal 1989, che possiamo considerare la fine della III guerra mondiale, (la Storia, sempre la Storia!): il mondo cambia rapidamente, ogni volta che termina un conflitto s’impone lo "stile" della parte vincitrice, ed oggi il mondo intero si avvia sempre più velocemente verso la globalizzazione.

Questa, che non considero solo negativa, ha come caratteristica quella, da un lato, di accentuare le diffferenziazioni, rapidamente, tra i vari individui e strutture, e dall’altra di omogeineizzarle in una visione globalizzata e l’omologazione della Società e del pensiero è massima proprio nel momento della globalizzazione quando è massima la flessibilità e l’individualità!

Questo ossimoro, unione di concetti contrastanti, si può considerare positivo se si finalizzasse in una ’distinzione’, alla Barca, che valorizzi l’individualità quale espressione d’essere della "persona umana", v. Marx, ed altamente negativa, sempre alla Barca, se si vedessee, invece, come strumento di separazione.

La P.A., sempre considerata come lo strumento gestionale dello Stato, la quale ha lavorato finora per strutture separate ed autoreferenziate anche con la Legg 142 del 1990, sulle Autonomie locali, che pure costituisce un momento veramente innovativo, continua ad avere ancora un funzionamento scollegato tra le sue varie componenti.

L’autoreferenziamento è sempre consistito nel ’mandato’ delle Leggi ad avere quel determinato ruolo che lo Stato definisce per la singola struttura, la quale deve rendere conto del suo funzionamento solo al Potere committente e non ai bisogni del cittadino, a cominciare da quelli più elementari quali ad es. il linguaggio burocratico e l’informazione.

A questi problemi ci si adegua recentemente in maniera decisa con alcune Leggi, v. la 241/90, sui criteri di economicità, efficacia, D.L. 39/93 che con l’A.I.P.A. introduce l’informatica nella P.A., e con le cosidette Leggi Bassanini, v. la 59/97, la 127/97, D.L. 112/98, 191/98 etc ove le più popolarmente conosciute sono quelle sulla "trasparenza" e la semplificazione burocratica riguardante l’autocertificazione.

Leggi che operano un tentativo di capovolgimento copernicano, rispetto al passato, ma che hanno evidenziato quella che chiamo la "crisi nuova" della P.A.

L’esempio lo trovo, e lo abbiamo vissuto un pò tutti, con le autocertificazioni: una Legge dello Stato è stata recepita da alcune amministrazioni che chiedevano le autocertificazioni, mentre altre, nello stesso tempo, non le accettavano, così che, personalmente, m’è capitato di dover lottare con un’amministrazione, per es. l’Università, che non accettava autocertificati e con la Circoscrizione che, forte della Legge, non mi voleva rilasciare i certificati.

Io cittadino messo in mezzo e con la necessità delle scadenze, sono dovuto ricorrere alla forza pubblica per farmi, da un lato, rilasciare il certificato, e, dall’altro, per farmi accettare l’autocertificazione, che, comunque, avevano l’obbligo di accettarmi.

E non sono stato, purtroppo, il caso isolato come si evince dal fatto che lo stesso Ministro Bassanini ha dovuto invitare i cittadini, con inserzioni sui mass media, ad avvalersi dell’applicazione della Legge.

Come si fà a pensare alle Istituzioni quali gestori dei tuoi bisogni ed ad avere fiducia in esse quando si comportano in questo modo?

È più facile che ti prenda la "depressione da Istituzioni", e poi ci meravigliamo della disaffezione e dall’allontanamento dai modelli sociali, soprattutto da parte dei giovani che, essendo in formazione, non hanno punti di riferimento!

Con le citate Leggi comincia ad entrare nei "santuari" della P.A. il concetto della partecipazione, della trasparenza, del decentramento, un tentativo di dare risposta, in qualche modo, "just in time", per così dire, ai bisogni emergenti e s’introduce il concetto di managerialità (anche se questa è tradotta, nella pratica, più come un mantenimento dello "status quo" che nel concetto di imprenditore per la quale si era, forse, formulata): tutto ciò frantuma la struttura monolitica autoreferenziata che aveva solo il compito di gestire il mandato del Potere e sè stessa, ma non lo Stato sociale.

L’introduzione dell’autonomia, anche economica, dei centri di costo e del controllo degli outcomes, cioè dei risultati degli interventi che devono essere efficienti ed efficaci, creano, già da soli, elementi completamente nuovi nella gestione della P.A.

Elementi che vengono avvertiti come necessari per rispondere a bisogni che, a motivo della frantumazione delle basi sociali, non sono più inquadrabili in "categorie" che fino ad ora erano aumentate in numero, ma in maniera limitata nel tempo e nel modo, mentre ora nella società flessibililizzata sono divenuti particellizzati fino a divenire tanti quanti sono gli individui.

Pertanto la P.A. avverte l’urgenza del cambiamento dovendo ripondere ai bisogni quotidianamente emergenti, ma non avendo la mentalità d’impresa per es del "just in time", impiegata, però, come strumento per rispondere adeguatamente ad essi, tenta di adeguare sè stessa per mantenere l’omeostasi della sua struttura.

A proposito del "just in time": Ohno [b] "inventa" il toyotismo in un momento di crisi del Giappone post-guerra che deve rispondere con la qualità ad un mecato “particellizzato”, a costi bassi, senza grandi risorse economiche, contro concorrenti dotati di mezzi formidabili.

Le premesse per trasportare l’ohnismo nel sociale, cioè, il concetto d’impresa sociale, come strumento e non come fine!, trova suggestive similitudini.

Il monopolio bilaterale

In un sistema di mercato il cittadino e la P.A. costituiscono un esempio di monopolio bilaterale, termine che definisce un sistema nel quale c ’è un solo produttore od erogatore di servizi, in questo caso la P.A., ed un solo acquirente, nel nostro caso il cittadino.

Solo che il cittadino che, avendo votato i propri rappresentanti politici ai quali compete la gestione della cosa pubblica attraverso la P.A., costituisce, o dovrebbe costituire, il committente sociale della stessa P.A. ed avere il potere monopsonico, termine economico che definisce un mercato in cui c’è un singolo acquirente.

Questa situazione di committente e di monopsonista rendono, sulla carta, il cittadino fortissimo nei confronti della P.A..

In realtà, perdurando il "male antico", questa, strumento del Potere, considerando i cittadini quali sudditi inverte il processo, v. l’errore fondamentale di Giannini.

Tenta di adeguarsi, ma poichè vengono emanate sempre nuove Leggi o Norme nel tentativo di adeguarsi agli emergenti bisogni sempre più numerosi e “particellizzati” e poichè il mandato che si affida alle Direzioni operative sul territorio viene fornito " in generale" cioè espresso come solo mandato od è indicato il processo, ma non le procedure che lo rendono, poi, praticamente applicabili, finisce che le direzioni periferiche, quelle cioè operative, improvvisano l’interpretazione applicativa.

Si ha, di fatto, una flessibilità solo che è inversa: calata dall’alto per necessità della struttura e non nascente dai bisogni di popolazione.

Abbiamo così, comunque gli effetti della globalizzazione, ma non, almeno, gli aspetti positivi di risposta efficiente ed efficace!

La Direzione generale vive distaccata dalla realtà operativa in una fase più "politica", la Direzione periferica, più a contatto con i cittadini, vive il decentramento come un momento di distacco, "orfana" delle direttive del vertice, ed improvvisa la quotidianità, senza neanche essere mentalmente preparata al lavoro di gruppo (che non è la stessa cosa di creare gruppi di lavoro) ed organizzando staff o gruppi finalizzati non tanto alla risoluzione dei problemi, quanto all’"infinità del fare" del già citato L. Barca2: il far per il fare e non per risolvere i problemi che dovrebbero costituire l’alfa e l’omega della struttura stessa.

La piccola, fondamentale, Direzione periferica, non delegando, per timore di perdere potere in questo momento in cui vede un pò tutto modificarsi, finisce per esser soffocata dalla quotidianità, non solo, ma finisce anche, dopo un pò, per non da risposta nè a questa nè a rispondere alla sua funzione più precipua di direzione; se la prima è un’assunzione impropria di ruolo, finiamo per avere anche una "vacatio" di ruolo specifico.

Acefala la Direzione generale per distacco, bloccata la piccola Direzione per soffocamento da quotidianità, come si comportano gli operatori?

Sono stati coinvolti con l’attivazione di formazione ed aggiornamento, ma spesso quando andiamo a questi corsi non riconosciamo neanche la nostra struttura ove lavoriamo da tanti anni, perchè ce ne viene presentata una aulicizzata ed idealizzata lasciandoci, troppo spesso, il vuoto dell’inutilità di questa cosidetta formazione che sembra finalizzata più alla necessità di "aver fatto" (v. l’infinità del fare!) formazione o di mantenere le Unità di formazione piuttosto che finalizzata ai discenti, ma non ci dobbiamo meravigliare: è il solito "male antico" nel moderno.

I lavoratori vengono spinti all’attivazione personale: lo stipendio base può essere aumentato partecipando alle cosidette progettualità obiettive.

Sulla carta tutto bene, ma poichè, almeno in questa fase, gl’incentivi "calano a pioggia" e non sono, quasi mai, legati ad un reale obiettivo raggiunto, stiamo inculcando una reazione difensiva nel lavoratore che sempre più stà considerando il proprio stipendio come se fosse un reddito da cittadinanza, mentre i cosidetti compiti d’istituto vengono sempre più visti come attività che devono essre retribuite a parte con un momento economicamente incentivante.

Ancheperchè la partecipazione a tali progettualità và segnalata sulle "note caratteristiche" che, cacciate dalla porta, stanno rientrando dalla finestra chiamandosi ora "indice di produttività"

E che dire: con che spirito l’operatore deve lavorare, se la quota incentivante maggiore va sempre alla Direzione che partecipa, troppo spesso, per il solo fatto di esistere?

Mi torna in mente una frase di Sylos Labini [b], il quale a proposito della P. A. dice che essa pensa sempre che: "prima charitas, charitas mei est".

Gli operatori della P.A. costituiscono il front-line con i cittadini con i quali condividono i bisogni, essendo cittadini anch’essi con le stesse identiche necessità.

Ogni operatore essendo costretto a dare una risposta individualizzata al problema burocratico nella sua vita lavorativa quotidiana, ove gli capitasse d’imbattersi in un suo personale problema sa la "strada giusta" per risolverlo, ma solo se il problema è all’interno della struttura che conosce, mentre se il suo bisogno è competenza di altra amministrazione è consapevole che anche lì esiste una "strada giusta", ma che, stavolta, altri e non lui sa.

Allora diviene comprensibile, anche se mai giustificabile, il comportamento a volte scortese od apatico degli operatori della P.A.: "scaricano" sugli altri le tensioni che sentono in loro e non sono in grado di positivizzarle in un confronto dialettico per es. con l’amministrazione.

Il personale dello Stato, il classico impiegato, dovrebbe avere la possibilità di essere orgoglioso di svolgere una funzione così importante all’interno della struttura gestionale della Stato stesso. Se solo tutti noi ci riflettessimo e l’impiegato ne prendesse coscienza!

La sindrome del burn-out, il mobbing, la tensione sociale, la litigiosità del futile ogni momento crescente, in poche parole il profondo disagio sociale non è causato nè dalla "mucca pazza", nè dalle onde elettromagnetiche, o, per lo meno, non solo: l’isolamento entro il quale ciascuno viene sempre più sospinto ci costringe a difendere la nostra individualità per non scomparire nel nulla di una società massificata in cui, per altro, c’è l’esaltazione del personaggio, non importa se positivo o negativo, e dell’ "eroe". Il monadismo accentua però, per definizione, la differenza tra i singoli, ci accomunano solo le mode eteroindotte , per dirla alla Riesman [b], quasi sempre dal mercato, che ci sembrano far vivere un effimero, per motivo e durata, momento sociale.

Il considerarci sempre di più fortemente singoli imprenditori non ha però aspetti solo negativi, perchè come dice Huizinga ne "l’autunno del medio evo", citato da Riesman:... "con lo sviluppo dell’autocoscienza e dell’individualità la gente doveva assestarsi nel mondo in nuove forme".

"È meglio sbagliare con il partito che aver ragione da soli" (Berthold Brecht)

Se riusciremo a compiere il passaggio da individui chiusi in sè, ma che proprio per questo hanno preso coscienza di sè stessi, ed esprimere collettivamente i bisogni comuni, inizieremmo a compiere il passaggio da sudditi a cittadini.

La critica sociale costruttiva, ricordiamo sempre che lo Stato è costituito da tutti noi, e non è un’entità a sè stante, la collettivizzazione della richiesta di efficienza ed efficacia della P.A., oggi può apparire come un’idea giacobina (qualcuno ha detto, però, anche, che la vera rivoluzione è la normalità).

Pensiamoci un attimo: non è un’idea nè conservatrice, nè rivoluzionaria: se il concetto d’impresa generalizzata nella società è una realtà, altrettanto "normale" dovrebbe essere il passaggio da una forma, per così dire, classica di sindacato ad un’altra forma.

In fondo ci sono o si propongono vari modi di essere sindacato, v. ’d’industria’, ’d’impresa’, ma se si intende per tale una struttura di rappresentanza e tutela allora un sindacato di cittadini esprimerebbe e garantirebbe collettivamente i bisogni sociali e rappresenterebbe, a mio avviso, una sorta di trasversale trait d’union tra i singoli cittadini, i partiti politici, che comunque rimangono insostituibili espressioni democratiche, lo Stato e, conseguentemente, la P.A.

In questo modo, con una collettivizzazione partecipata, propositiva, e perciò, positivamente critica (ecco la critica sociale!) che ’aggiorni’ ’just in time’, un pò come i circoli di qualità [b], l’operato della strutture, pronte al recepimento, ai bisogni emergenti mi auguro che si possa provare a trovare una via di soluzione ai mali antichi e nuovi della P.A.

In fondo, in un Contratto Sociale non trova una giusta collocazione un sindacato sociale?

Sindacato che, attivando la sua specifica azione di tutela, diventa garante del corretto funzionamento del gestore, lo Stato, della volontà popolare; quindi non parte contro parte, ricordiamoci che siamo in un monopolio bilaterale, ma due modi diversi di un tutto unico, in un modello sociale ove le modifiche degli inevitabili cambiamenti si positivizzino in un confronto, instaurando la "cultura del dialogo", e non siano negativizzate nella "cultura dell’indifferenza" o nella "cultura del conflitto" che non conducono da nessuna parte e non convengono a nessuno.


[b] Ohno T. “L’esprit toyota” Ed. Masson Paris 1989.

[b] Dario Rei “Servizi sociali e politiche pubbliche”, Ed. N.I.S Roma 1994.

[b] David Riesman “La folla solitaria”, Ed Il mulino Bologna 1956.

[b] Giorgio Merli “I circoli di qualità”, Ed. Lavoro Roma 1986.