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Trasformazioni sociali e diritto

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Arturo Salerni
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Associazione Progetto Diritti; Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo

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Stato, regioni e autonomie locali: il trasferimento delle funzioni legislative ed amministrative tra norme ordinarie e Costituzione

Arturo Salerni

Nel precedente numero di Proteo abbiamo passato in rassegna sia pure in termini generali gli interventi - anche in corso di approvazione - di modifica costituzionale e sul piano della legislazione ordinaria nell’ambito del complesso tema della ripartizione delle funzioni tra Stato, Regioni ed Autonomie Locali.

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Ed ancora - nel medesimo articolo [1] - si evidenzia che tale difficoltà ricostruttiva è aggravata dalla considerazione che nell’art. 117 [2] si afferma che alla competenza esclusiva della legge statale spetta la disciplina delle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (oltre che la materia della legge elettorale e degli organi di governo relativa agli enti locali): per cui oltre ai tre aggettivi riferiti alle funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane (proprie, attribuite e conferite) si aggiunge il concetto di “funzioni fondamentali”, “e non si capisce se le funzioni fondamentali rientrano tra le proprie, o tra quelle conferite (ovviamente dallo Stato) o sono una categoria diversa (del tutto separata dalle prime due, o comprensiva in parte o in tutto anche di funzioni proprie o di funzioni conferite, o ambedue).

Il seguito del secondo comma dell’art. 118 aggiunge altri elementi di confusione nel panorama si qui descritto, in quanto in esso si prevede che a Comuni, Province e Città metropolitane spettano le funzioni ad essi “conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze” (e qui si tratta delle competenze attribuite alla legge statale e alla legge regionale).

Orbene le competenze della legislazione sono indicate nell’art. 117 (sia nell’ambito della legislazione esclusiva che nell’ambito della legislazione concorrente) ed in tali materie la legge - statale - può prevedere di attribuire le funzioni amministrative ad organi dello Stato oppure di attribuirle agli enti locali.

Invece per ciò che concerne le Regioni - competenti a legiferare in tutte le materie non espressamente indicate dall’art. 117 e, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, anche in quelle di legislazione concorrente [3] - la legge regionale può riservare alle Regioni direttamente le funzioni amministrative oppure conferirle a Comuni, Province e Città metropolitane.

Ed aggiunge Rescigno nello scritto già ampiamente richiamato: “non è affatto vero che le funzioni amministrative spettano in principio ai Comuni (come dice il primo comma [dell’art. 118]): i Comuni avranno tante competenze quanto saranno indicate o da leggi statali o da leggi regionali. Al più, stando alla lettera dell’art. 118, si potranno ipotizzare casi nei quali, in assenza di leggi e riserve di legge, i Comuni potranno svolgere funzioni amministrative che si auto-attribuiscono, fermo restando però che nei casi di riserva di legge ci vuole sempre la previa legge, e nei casi non ricoperti da riserva la legge statale o regionale può sempre intervenire e quindi modificare anche le funzioni amministrative dei Comuni (resta fermo, si spera, che le funzioni che comportano poteri autoritativi hanno sempre bisogno di una previa legge).

Ma è evidente che laddove le forze politiche che governano Comuni, Province e Città metropolitane - riportandosi al primo comma dell’art. 118 - decidessero di opporsi al conferimento di funzioni amministrative a Stato e Regioni (per opera della legge statale o regionale), in nome del principio di “sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”, si aprirebbe una serie infinita di conflitti istituzionali.

Conflitti tra istituzioni che peraltro costituiranno - sia pur nell’ambito delle linee generali che abbiamo tracciato - un tratto saliente del percorso che seguirebbe l’entrata in vigore della modifica costituzionale, nell’ipotesi in cui venisse approvata la riforma a seguito del referendum previsto dall’art. 138 anche con riferimento - come già abbiamo

accennato nella prima parte di questo dossier - al tema delle scelte di natura tributaria, confusamente delineato dalla nuova formulazione dell’art. 119.

Sembrerebbe addirittura, in base a quanto contenuto nel secondo comma dell’art. 119 (per cui Regioni ed enti locali “stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri”) che Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane decidano da sé l’eventuale introduzione di tributi e la loro configurazione, e ciò in palese contraddizione con quanto disposto dall’art. 23 della nostra Costituzione per cui è solo con la legge che si possono imporre tributi (e com’è evidente Comuni, Province e Città metropolitane non hanno il potere di legiferare).

Ma sicuramente appare dal testo dell’art. 119 una assoluta difficoltà di coordinamento tra i diversi enti impositori, anche alla luce dell’incomprensibile disposizione contenuta nell’art. 117 con riferimento alla concorrente competenza legislativa di Stato e Regioni in ordine al coordinamento del sistema tributario.

Il pubblico impiego: dalle riforme a Costituzione invariata alle modifiche della Costituzione

5. Come si colloca la materia del pubblico impiego, anzi del rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni, alla luce della riforma costituzionale del 2001 è sicuramente uno degli argomenti da analizzare ed affrontare.

Più volte la rivista ha analizzato le trasformazioni normative del pubblico impiego, avvenute a costituzione invariata, ed i segni, il senso e la direzione di quel complesso di disposizioni che si sono susseguite a partire dal decreto legislativo n.29 del 1993.

La privatizzazione del rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione da un lato (con ciò che esso significa sul piano della contrattualizzazione del rapporto e sul terreno delle relazioni sindacali) e dall’altro il perseguimento degli obiettivi di economicità, di efficienza e economicità dell’attività della pubblica amministrazione, nel senso descritto da Rita Martufi e Luciano Vasapollo [i], sono i dati che principalmente emergono nell’opera di riforma partita con il primo governo Amato e portata avanti - specie con il decreto legislativo n.80 del 1998
 dal Ministro della Funzione Pubblica Bassanini durante il Governo Prodi.

A chi spetta la competenza legislativa in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, siano esse statali o regionali, oppure enti locali o aziende pubbliche (in primis le AA.SS.LL.)? La lettura dell’art. 117 terzo comma induce a dire che per ciò che concerne gli aspetti più propriamente lavoristici del rapporto di lavoro tra la Pubblica Amministrazione ed il pubblico dipendente siamo nel campo della cosiddetta legislazione concorrente tra Stato e regioni, ed ovvero che resta riservata alla legislazione dello Stato la sola determinazione dei principi fondamentali in materia.

Non si può, quindi, sul punto che rimandare a quanto già detto sulla materia della “tutela e sicurezza del lavoro”, e su tutte le implicazioni che la ripartizione delle competenze legislative in questo campo comporta (si pensi alla materia dei licenziamenti, della rappresentanza sindacale, dell’esercizio del diritto di sciopero, delle forme di flessibilità del rapporto di lavoro), pur consapevoli della diversità esistente - sul piano della concreta applicazione del principio della concorrenza tra aree territoriali - tra scopi ed essenza del lavoro nel settore privato e nel settore pubblico.

Ma sul piano degli aspetti organizzativi della pubblica funzione, con le conseguenti ricadute sul piano del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, occorre districarsi nella selva delle disposizioni contenute nel titolo quinto della seconda parte della Costituzione (siccome modificata dal Parlamento) per individuare a chi spetti la funzione legislativa ed a chi il potere regolamentare.

Per ciò che concerne “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” [4] la potestà legislativa spetta esclusivamente allo Stato ed allo Stato, “salva delega alle Regioni” [5], spetta anche la potestà regolamentare (come in tutte le materie di legislazione esclusiva).

Per tutte le materie non espressamente attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato o alla legislazione concorrente la potestà legislativa spetta alla regione. È da ritenersi che le questioni relative ad ordinamento e funzionamento degli uffici siano questioni interne alle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (per esempio, previdenza sociale) o attribuite alla legislazione concorrente (ad esempio, protezione civile).

Va considerato che, sempre a mente dell’art. 117, sesto comma, la potestà regolamentare spetta alle Regioni nelle materie non attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato e che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” (torna qui evidentemente in ballo tutto il discorso che abbiamo sommariamente indicato in precedenza sul significato da attribuire all’aggettivo “attribuite” nel nuovo testo costituzionale).

È inutile ribadire che tutto il ragionamento sugli ambiti diversificati di contrattazione collettiva torna in ballo in relazione ad una evidente possibile diversificazione della disciplina legislativa e regolamentare del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, la cui trasformazione in senso privatistico, peraltro (come già accennato), si è sviluppata - senza necessità di modifiche costituzionali - nel corso dell’ultimo decennio.

L’obiettivo della applicazione di “condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato” è fissato dall’art. 1 del decreto legislativo n.80 del 1998 (che sostituisce la definizione originariamente contenuta nell’art. 1 del decreto legislativo n.29 del 1993, “integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato”) ed è evidente che l’assimilazione delle condizioni giuridiche delle due tipologie di rapporto di lavoro rende assimilabile l’impatto che su di esse può determinare il nuovo impianto costituzionale, frettolosamente approvato in chiusura di legislatura.

La legislazione regionale potrà intervenire massicciamente su diversi aspetti della condizione lavorativa del pubblico dipendente, determinando modifiche la cui portata oggi non è facilmente prevedibile e sicuramente determinando differenziazioni notevoli in ragioni delle aree geografiche di appartenenza.

6. Con riferimento al percorso di assimilazione delle due tipologie lavorative, e richiamando alcuni elementi di analisi di cui la rivista si è fatta negli anni portatrice, è opportuno riportare i primi tre commi dell’art. 2 del decreto legislativo n.29 del 1993, così come sostituiti dal decreto legislativo n.80 del 1993:

1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all’atto della definizione dei programmi operativi e dell’assegnazione delle risorse, si procede a speciale verifica ed eventuale revisione;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell’art. 4, comma 2 [6];

c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistmi informatici e statistici;

d) garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari della amministrazioni pubbliche dell’Unione Europea.

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario.

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e con le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all’art. 49, comma 2 [7]. L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale, I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.


[1] A pagina 18.

[2] Secondo comma, lettera p.

[3] Indicate nel terzo comma dell’art. 117.

[i] “The Federal Business Revolution” Parte prima: i percorsi attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione in Proteo 3/2000, pagine 11 e seguenti.

[4] Art. 117, secondo comma, lettera g) del testo di modifica costituzionale.

[5] Art. 1, sesto comma, nuovo testo del titolo V della parte seconda della costituzione.

[6] Riportiamo più avanti il testo del comma richiamato.

[7] Recita l’art. 49, comma 2, del decreto legislativo n.29/1993: “Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi.